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Recensione

Darkest Dungeon

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Avatar di Specialized

a cura di Specialized

Pubblicato il 25/01/2016 alle 00:00
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Il Verdetto di SpazioGames

8.5

Il tema della pazzia non è mai stato affrontato veramente dai videogiochi, se non per caratterizzare qualche folle cattivone o per ambientare qualche survival horror in un ospedale psichiatrico (vero Outlast?). Darkest Dungeon fa invece della pazzia uno dei suoi tratti distintivi, scegliendo questa condizione psicologica come elemento portante del gameplay e come spunto di grande originalità. Perché stiamo parlando di pazzia per un roguelike dall’impianto ruolistico? Perché Darkest Dungeon, finalmente approdato su Steam in versione definitiva dopo un lungo peregrinare tra Kickstarter e Accesso Anticipato (lo trovate qui a 19,99 euro), è semplicemente un gioco folle. 
Il regno della follia
Immaginatevi di scegliere un classico party di quattro eroi a sfondo fantasy, di condurli in un dungeon (appunto) e di vederli, combattimento dopo combattimento, perdere piano piano la lucidità mentale. La paura, il buio, l’assenza di cibo, le ferite subite, la stanchezza. Molti elementi contribuiscono a far innalzare la barra della pazzia e quando si arriva al 100% ecco la catastrofe. Il personaggio impazzito inizia a comportarsi senza senso, arrivando persino a non volersi far curare perché è diventato all’improvviso un masochista, oppure insinuando la paura anche negli latri membri del party. Nei casi peggiori sopraggiunge addirittura l’infarto e il nostro eroe impazzito ci lascia direttamente le penne, costringendoci di fatto a rinunciare alla missione (in tre non andrete molto lontani). Vi abbiamo descritto giusto uno dei possibili scenari a cui potrete assistere in Darkest Dungeon, tanto per farvi capire cosa vi aspetti da questo titolo unico nel suo genere. Per fortuna la pazzia può essere curata, mandando il malato (o i malati) a svagarsi in una taverna, a pregare in un monastero o a sottoporsi a dei trattamenti in un manicomio. Tutto ciò avviene nel villaggio che funge da hub principale del gioco.
Morte perenne
Qui è anche possibile ingaggiare altri eroi per rimpiazzare quelli momentaneamente malati e vendere gli oggetti raccolti nei dungeon e ogni edificio, corrispondente a una precisa funzione, può essere potenziato con il denaro raccolto nelle missioni aumentandone così l’efficacia. Inoltre, prima di partire per una nuova quest, bisogna comporre il party e acquistare il giusto equipaggiamento tra cibo, torce, pale, bende, pozioni e altro ancora. Una scelta sbagliata e la vostra missione potrebbe durare molto meno del previsto e anche questo la dice lunga sul tipo di approccio di Darkest Dungeon. Che essendo un roguelike in tutto e per tutto, non rinuncia al permadeath dei nostri eroi, propone dungeon generati proceduralmente e presenta un livello difficoltà decisamente elevato. Se infatti la prima quest non presenta particolari problemi, già dalla seconda il gioco cambia completamente volto, costringendoci seriamente a ponderare ogni singolo turno nel corso dei combattimenti e a valutare la giusta posizione dei personaggi, visto che ritrovarsi con un guerriero in fondo al gruppo può essere disastroso, così come essere impossibilitati a fare un incantesimo perché il mago si trova in una posizione sconveniente. Spesso diventa poi essenziale cedere e tornare al villaggio prima che un personaggio con cui giochiamo muoia o un altro diventi pazzo. Sono tantissime le scelte che si devono fare e sta anche qui la difficoltà di Darkest Dungeon, ma anche il suo punto di forza. Il gioco è sì difficile ma mai in modo subdolo e vigliacco. 
I labirinti della mente
Con la giusta esperienza (e con almeno 10-15 ore di gioco alle spalle) si inizia davvero a ingranare, a capire gli attacchi più utili contro un certo tipo di nemici e a scegliere la giusta tattica, sebbene i combattimenti casuali e improvvisi impediscano di scoprire in anticipo contro chi dobbiamo scontrarci. Se poi a tutto ciò aggiungiamo il bel comparto grafico di impianto fumettistico, l’atmosfera cupa e malata da medioevo dark-fantasy, il gran numero di classi (una quindicina) e l’importanza del loot, la carne al fuoco inizia a essere davvero tanta. Difetti? Principalmente due. Da un lato le fasi di esplorazione non sono molto avvincenti anche per la ripetitività delle ambientazioni e perché in fondo ci si sposta soltanto da una stanza all’altra. L’altro limite, riscontrato comunque dopo una quarantina di ore di gioco (non poco insomma), è una certa ripetitività, che emerge soprattutto a causa di un grinding praticamente obbligatorio se si vuole proseguire dopo il terzo macro-livello. Difetti comunque non invalicabili che tolgono solo un po’ di risalto a un titolo certamente non per tutti ma dannatamente affascinante, difficile, molto longevo e capace di dare enormi soddisfazioni a chi cerca un roguelike un po’ diverso dal solito.  

– Gameplay originale e solido

– Il tema della pazzia è ben sfruttato

– Atmosfera oscura e malata

– Longevo e impegnativo

– Non è un titolo per tutti

– Esplorazione un po’ ripetitiva

8.5

La validità di Darkest Dungeon non ci coglie certo impreparati visto che già in Accesso Anticipato questo roguelike atipico e dannatamente difficile ci aveva impressionati. Ora che il codice è stato tirato a lucido e i bug sono stati eliminati, il consiglio è di fare vostro il gioco e di passarci ore e ore tra combattimenti a turni, cure dei vostri eroi, un’attenta pianificazione pre-quest, creature infernali per tutti i gusti e uno stile grafico di grande personalità.

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