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Recensione

Akiba's Beat

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Avatar di Gianluca Arena

a cura di Gianluca Arena

Senior Editor

Pubblicato il 18/05/2017 alle 00:00
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Il Verdetto di SpazioGames

6

In molti, tanto tra gli appassionati quanto tra gli addetti ai lavori, sperano che il successo mondiale di Persona 5, osannato dalla critica ed adorato dal pubblico dentro e fuori dal Giappone, possa riportare in auge i giochi di ruolo giapponesi, che hanno visto la loro popolarità decrescere vertiginosamente negli ultimi anni, durante i quali il mercato è stato invaso da congeneri sviluppati in occidente.
Dopo la non troppo riuscita sortita nel campo dei picchiaduro con Undead & Undressed, il brand di Akiba’s Beat torna sulle scene con un titolo più canonico, che sembra voler sfruttare la scia del capolavoro Atlus per conquistare nuove fette di pubblico.
Ovviamente lo abbiamo provato per voi in versione PS4 e quello che segue è il nostro verdetto.

NEET
Asahi, protagonista di Akiba’s Beat, si autodefinisce più volte, soprattutto durante le prime ore di gioco, un NEET, termine inglese che designa le persone che non studiano, non lavorano e non stanno nemmeno facendo apprendistato.
Un modo carino e moderno per definire i nullafacenti, se non fosse che, a differenza dell’alter ego del giocatore, molti giovani oggi si trovano in questa situazione non per scelta propria: tralasciando discorsi sui massimi sistemi, a memoria non ricordiamo un eroe videoludico altrettanto strafottente e pigro, i cui unici interessi sembrano essere i videogame, i manga e dormire fino al pomeriggio.
Al di là di questo peculiare approccio alla vita di Asahi, comunque, il plot e i personaggi che concorrono a formare il substrato narrativo dell’ultima fatica Acquire risultano assai poco originali, alla stregua di un frullato ottenuto miscelando idee, stereotipi e topoi narrativi pescati qua e là: la fonte principale d’ispirazione, se così vogliamo chiamarla, è sicuramente la saga di Persona, nello specifico il recente quinto capitolo, ma ci sono accenni anche alla ripetizione ciclica di uno stesso segmento temporale (Edge of Tomorrow e Groundhog Day) come anche alla compenetrazione tra dimensione reale e dimensione onirica.
Insomma, sfruttando la scia dell’enorme successo di critica e pubblico delle avventure dei Phantom Thieves, il team di sviluppo ha tentato di mettere in scena una Tokyo contemporanea ripiegata su se stessa, dove le preoccupazioni e i desideri distorti dei cittadini rischiano di intaccare l’essenza stessa del continuum spaziotemporale, cui un misterioso individuo in mantello e cappello sembra stia mettendo mano…
Se i più giovani (e coloro che masticano un buon inglese…) troveranno una marea di riferimenti alla cultura otaku, ai videogiochi, a tutto ciò che è oggigiorno definito “nerd”, con una definizione molto generica, i giocatori più navigati sbadiglieranno per l’eccessiva verbosità dei protagonisti, la sovraesposizione della storia e la ripetitività di moltissimi dialoghi, che battono come un martello su punti già abbondantemente chiari anche ai giocatori meno attenti.
La lista degli stereotipi comprende anche un famiglio parlante, dall’aspetto tenero ma dalla lingua lunga, un paio di pre-adolescenti insicuri ma dalle risorse celate e una studentessa appena trasferitasi ad Akihabara: Asahi e il suo team, quindi, non brillano certo per originalità ed unicità dei loro caratteri, ma, a monte della cinquantina scarsa di ore necessarie a vedere uno dei finali, il legame empatico che si sarà creato con questi personaggi sarà comunque discreto, al netto di simpatie ed antipatie personali.
Come anche per altri aspetti della produzione, insomma, la storia dietro Akiba’s Beat non ha mordente ma, nel contempo, non si segnala nemmeno per storture clamorose, sorretta anche da un discreto doppiaggio inglese e dalla possibilità di godere anche della traccia audio originale.

Copia e incolla
Non pensiamo di fare un torto ad Acquire nel dire che le meccaniche di gioco di Akiba’s Beat siano un concentrato di due serie ruolistiche tra le più amate e seguite della storia videoludica, ovvero i Tales of di Namco e i Persona di Atlus.
Come abbiamo più volte detto su queste pagine, non c’è alcuna vergogna nel riprendere concetti e dinamiche dai migliori esponenti del genere: il problema, piuttosto, consiste nel farlo malamente, trasformando l’omaggio in scimmiottamento.
Purtroppo, questo è proprio il caso di Akiba’s Beat, che prova a mescolare senza successo l’esplorazione, l’ambientazione e la parte narrativa dei titoli di Shoji Meguro e a copincollare il combat system che ha reso famosa, negli anni, la serie di Bandai Namco, senza aggiungere peculiarità che possano distinguerlo e, per giunta, senza prendere dai titoli summenzionati gli aspetti migliori, ma limitandosi ad una blanda imitazione delle meccaniche, non sorretta dalla stessa cura per i dettagli e dalla stessa precisione dei controlli.
Le fasi di gioco al di fuori dei dungeon, qui chiamati Delusionscapes, richiamano in modo evidente gli ultimi tre episodi dello spin off della saga di Shin Megami Tensei, in particolare l’ultimo, che abbiamo (giustamente) glorificato su queste pagine poco più di un mese fa: ci si muove per le strade di Akihabara, mai stata così anonima, vuota e piena di muri invisibili, interagendo con i pochissimi NPC presenti per far proseguire la trama, ottenendo, di quando in quando, missioni secondarie, spesso legate ai membri del party reclutabili.
In queste fasi manca il brio, l’impressione di muoversi in una città pulsante, viva, con decine di cose da fare: è pur vero che, venendo da Persona 5, il paragone diretto sarebbe penalizzante per qualsiasi prodotto, ma, al di là di esso, Akiba’s Beat non riesce mai a stupire, a coinvolgere, trascinandosi stancamente tra un dungeon e l’altro al ritmo di dialoghi prolissi e soporiferi.
Una volta all’interno della aree di combattimento, poi, le cose non migliorano: qui l’ispirazione principale è il frenetico battle system che ha contribuito al successo dei Tales of, con attacchi in tempo reale, un tasto adibito alla parata ed uno alla schivata, con la possibilità, tenendo premuto L1 nella versione PS4, di muoversi liberamente in tre dimensioni.
Copiate le basi, però, il team di sviluppo ha dimenticato di includere anche la stessa reattività dei comandi e la sensazione di velocità: se gli scontri con i nemici comuni, complice un’IA deficitaria, si risolvono in pochi secondi, preda del button mashing, quelli con i boss a partire già dal secondo dungeon si prolungano per diversi minuti, senza che, però, il party del giocatore sia mai davvero in pericolo.
All’estrema morbidezza del livello di sfida, infatti, si aggiungono un ritmo interrotto dalla necessità di ricaricare i punti azione, un’incomprensibile lentezza nella risposta ai comandi (non è così inusuale parare e vedere il personaggio che si copre con mezzo secondo di ritardo) e una generale mancanza di spettacolarità, con mosse speciali assai poco attrattive tanto nell’esecuzione quanto negli effetti.
Il dungeon design è estremamente debole e il bestiario nemico, pure nutrito numericamente, non sorprende mai, con una sfilza di nemici poco ispirati che sembrano brutte copie di quelli visti nell’ultimo titolo dedicato ai Digimon, dov’erano, però meglio integrati nel contesto.

Quasi PSP
Purtroppo il comparto tecnico non aiuta a risollevare la situazione: Akiba’s Beat è bruttino da vedere, con un set di animazioni estremamente limitato e comunque legnoso, una mole poligonale che risente dello sviluppo cross platform con Vita e un character design che più generico non si può.
Il fatto che il titolo non sia un’esclusiva PS4 può spiegare, in parte, perché non assistiamo ad uno spettacolo degno di questo nome (il test è avvenuto su una PS4 Slim), ma addossare tutte le colpe di una cosmesi debole a PlaystationVita sarebbe ingiusto: titoli recenti (pensiamo soprattutto a Toukiden 2) sviluppati per entrambe le piattaforme Sony hanno dimostrato che, con un po’ di impegno in più in fase di ottimizzazione, è possibile raggiungere risultati discreti nonostante le limitazioni dovute alla minore potenza computazionale della console portatile.
In più, quando anche ci si trovi dinanzi ad una conta poligonale povera, una direzione artistica ispirata può giungere in soccorso, cosa che, sfortunatamente, non avviene in questo caso: il bestiario nemico è numericamente limitato ed assai poco ispirato, e il cast di protagonisti, che pure vanta una cura maggiore rispetto agli NPC, si abbevera con troppa foga alla fonte dei cliché di genere, restituendo una poco piacevole sensazione di deja vu.
Almeno la colonna sonora, nel complesso, riesce a non sfigurare, non tanto per meriti propri, ma perché, dinanzi alla pochezza del comparto visivo, riesce quantomeno a non demeritare, proponendo brani ritmati e mediamente orecchiabili.

Buona quantità di contenuti

Adatto ai neofiti

Copia un po’ di qua, un po’ di là

Combat system ingessato e assai poco divertente

Dungeon design blando

Anonimo in ogni sua parte

6.0

Akiba’s Beat riesce a strappare una risicata sufficienza solo grazie alla buona quantità di contenuti e alla sua natura user-friendly, che lo rendono un punto d’ingresso ideale nel mondo dei JRPG per i giocatori meno avvezzi o più giovani, ma per il resto delude sotto quasi tutti i punti di vista, dalla banalità del design al leggero input lag che affligge i controlli, passando per la mancanza di idee originali di sorta.

Se siete grandi amanti dei JRPG e siete in crisi d’astinenza, potreste anche prenderlo in considerazione al primo calo di prezzo, ma continuiamo a preferire una seconda (o terza, o quarta) run ad uno dei titoli che lo hanno ispirato piuttosto che una prima al titolo Acquire.

Non dite che non vi avevamo avvisato.

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