Il futuro di Wolfenstein torna al centro del dibattito, mentre MachineGames, reduce dal lancio di Indiana Jones e del suo primo DLC (trovate qui la nostra recensione), si trova nuovamente sotto i riflettori. In parallelo, nuove dichiarazioni hanno riacceso le speranze dei fan per un terzo capitolo della saga di B.J. Blazkowicz, in un equilibrio delicato tra ambizioni creative, sfide commerciali e un contesto politico internazionale sempre più complesso.
In un documentario di No-Clip, Jerk Gustafsson, direttore dello studio, ha rivelato che fin dalle prime settimane di lavoro presso id Software l’intera trilogia era già stata delineata:
«Avevamo già il piano per quello che sarebbe successo nel secondo e nel terzo gioco.»
Lo sviluppatore ha poi aggiunto di sperare che «Wolfenstein non sia ancora finito», lasciando intendere che la storia abbia ancora molto da raccontare.
Il problema è che il mondo del 2025 non è quello del 2017, quando uscì The New Colossus. All’epoca il gioco, ambientato in un’America sotto occupazione nazista, fu interpretato come un commento politico sull’era Trump.
Oggi, con l’ex presidente tornato alla Casa Bianca e nuove tensioni legate a immigrazione e minoranze, l’impatto narrativo di un eventuale seguito sarebbe ancora più delicato.
A complicare ulteriormente il quadro ci sono i conflitti globali: l’invasione russa dell’Ucraina, la crisi a Gaza e un panorama geopolitico che rende rischioso anche solo sfiorare certi temi in un prodotto mainstream. Per gli sceneggiatori, la sfida è enorme: mantenere la rilevanza politica senza scivolare in un terreno troppo vicino alla cronaca.
MachineGames deve inoltre confrontarsi con la realtà aziendale. Dopo l’acquisizione di ZeniMax da parte di Microsoft, lo studio si trova sotto l’ombrello di una compagnia che sta riducendo costi e progetti.
Tra il 2022 e il 2024 almeno un titolo non annunciato è stato cancellato, e le tensioni interne non mancano: diversi dipendenti hanno firmato una lettera aperta criticando il coinvolgimento di Microsoft nel conflitto di Gaza e chiedendo lo stop alle collaborazioni con le forze armate israeliane.
La saga di Wolfenstein ha sempre avuto un’anima politica, decostruendo archetipi del genere shooter attraverso la figura di Blazkowicz. The New Colossus, infatti, era stato letto anche come una critica al “white dudebro hero”, con l’origine ebraica del protagonista raramente sottolineata dai fan.
Un eventuale terzo capitolo dovrebbe raccogliere questa eredità, bilanciando la forza simbolica della saga con un contesto mondiale dove autoritarismo, guerre e oppressione sono purtroppo diventati drammaticamente reali.
La domanda, a questo punto, non è solo se Wolfenstein 3 vedrà la luce, ma se sarà in grado di mantenere quella carica provocatoria che da sempre lo contraddistingue, senza restare schiacciato dal peso di una realtà che corre più veloce della finzione.