Durante lo sviluppo di The Outer Worlds 2 (qui la nostra recensione), il nuovo titolo di Obsidian Entertainment disponibile da oggi su tutte le piattaforme, i designer hanno dovuto affrontare una sfida inaspettata: trasformare quelle misteriose fenditure dimensionali chiamate Rift da semplici elementi scenografici a meccaniche di gioco interattive. La decisione, arrivata relativamente tardi nel processo creativo, ha finito per influenzare profondamente l'esperienza di esplorazione finale, come hanno rivelato i game director Brandon Adler e Matthew Singh in una recente intervista.
Inizialmente concepite solo come elementi visivi per suggerire la minaccia incombente sulla colonia, le Rift sono diventate uno strumento fondamentale per la riesplorazione delle aree già visitate. Singh ha spiegato che il team ha volutamente disseminato questi portali nelle prime zone di gioco per catturare l'attenzione dei giocatori, pur mantenendone l'interazione completamente facoltativa. All'interno di queste fenditure si nascondono ricompense significative che invogliano a tornare anche nelle location iniziali dell'avventura.
La trasformazione delle Rift in elementi giocabili ha richiesto un processo iterativo complesso. Adler ha affidato al team di Singh il compito di individuare le posizioni ottimali per integrarle nel design complessivo del gioco, un lavoro che ha incluso anche miglioramenti alla qualità della vita come la marcatura automatica sulla mappa una volta scoperte. "Avrei voluto che ci fossimo arrivati ancora prima, perché credo sarebbero state integrate ancora più profondamente in quello che stavamo realizzando", ha ammesso Adler, pur riconoscendo che l'implementazione è avvenuta comunque in tempo utile per renderle significative e divertenti.
Ma l'approccio all'esplorazione di questo seguito è stato influenzato da fonti ben più inaspettate di quanto si possa immaginare. Per migliorare la qualità delle aree rispetto al primo capitolo, che risultavano più ristrette e meno gratificanti da attraversare, Obsidian ha studiato attentamente alcuni titoli open world di successo come The Legend of Zelda: Breath of the Wild. Secondo Adler, il capolavoro Nintendo utilizza un "linguaggio delle forme" straordinario per guidare naturalmente il giocatore da una location all'altra, sfruttando persino la geometria stessa del terreno.
La fonte d'ispirazione più sorprendente, però, arriva dal mondo reale e precisamente dal celebre parco a tema californiano. Disneyland utilizza da decenni il concetto di "Weenies", punti di interesse visivo strategicamente posizionati per dirigere il flusso dei visitatori tra le diverse attrazioni. Tim Kaine, uno dei game director del primo The Outer Worlds, ha addirittura tenuto una presentazione approfondita al team analizzando come questi elementi vengano impiegati per guidare le persone attraverso il parco.
Questa filosofia progettuale ha permesso al sequel di offrire spazi più ampi e coinvolgenti rispetto al predecessore, pur mantenendo un equilibrio tra esplorazione e presenza di centri abitati dove interagire con personaggi e missioni. Il team ha dovuto trovare un compromesso, allontanandosi parzialmente dall'approccio puramente open world per garantire comunque numerose cittadine da esplorare e con cui dialogare.
Ricordiamo che The Outer Worlds 2 è accessibile dal lancio su Xbox Game Pass Ultimate e PC Game Pass, seguendo la politica standard dei giochi first-party Microsoft. Il gioco è presente su Xbox Series X|S, Windows PC attraverso Battle.net, Steam e Xbox su PC, oltre che su PlayStation 5. Si tratta di un seguito autonomo che, pur condividendo l'universo narrativo del primo capitolo, si sposta in un nuovo sistema solare fittizio chiamato Arcadia senza collegamenti diretti con la storia precedente.