La controversia sui prezzi gonfiati del PlayStation Store continua a far discutere anche nelle aule di tribunale americane, dove un giudice federale ha respinto l'accordo da 7,85 milioni di dollari che Sony aveva raggiunto con un gruppo di videogiocatori.
La disputa legale affonda le radici in una decisione strategica presa da Sony nel 2019, quando l'azienda giapponese annunciò che i rivenditori non avrebbero più potuto vendere codici digitali per il PlayStation Store.
Questa mossa eliminò di fatto la concorrenza nel settore dei giochi digitali per PlayStation, concentrando tutto il potere d'acquisto nelle mani della stessa Sony.
Due anni dopo, nel 2021, un gruppo di videogiocatori decise di portare l'azienda in tribunale con un'azione legale collettiva, che sembrava arrivata alla risoluzione dopo questo accordo, oggi contestato in via ufficiale e di conseguenza non valido.
Secondo quanto riportato da Bloomberg (via PlayStation LifeStyle), l'accordo viene visto come un "coupon agreement", che avrebbe portato a tutti i giocatori coinvolti nella causa circa 2 dollari: un patto mal visto dal giudice, che vuole vederci chiaro sulla questione.
Il monopolio digitale sotto accusa
I ricorrenti hanno costruito la loro argomentazione su un'osservazione tanto semplice quanto devastante: i prezzi dei giochi digitali su PlayStation Store risultano sistematicamente superiori rispetto alle controparti fisiche vendute nel mercato retail tradizionale.
Secondo la class action, questa disparità di prezzo non riflette i costi di produzione o distribuzione, ma rappresenta piuttosto l'abuso di una posizione dominante.
L'accusa formulata dai videogiocatori è diretta e circostanziata: Sony sfrutta il proprio monopolio per imporre prezzi "supracompetitivi" sui giochi digitali, prezzi che sarebbero impossibili in un mercato davvero concorrenziale.
La strategia dell'azienda di eliminare i rivenditori di codici digitali viene interpretata come un tentativo deliberato di soffocare la concorrenza e massimizzare i profitti a discapito dei consumatori: capita spesso di vedere videogiochi fisici che costano meno delle controparti digitali, ma per chi ha acquistato console senza lettore ottico (che trovate su Amazon) viene tolta ogni possibilità di scelta, a meno di non voler ovviamente acquistare un'unità disco.
Sony, dal canto suo, ha sempre respinto ogni accusa di comportamento scorretto, pur decidendo di raggiungere un accordo stragiudiziale per evitare le incertezze e i costi di un processo prolungato.
La scelta di patteggiare, tuttavia, non ha convinto il giudice Araceli Martínez-Olguín, che secondo Bloomberg ha bocciato l'intesa di marzo 2025 per mancanza di chiarezza e inadeguatezza rispetto alle linee guida stabilite dalla Corte Distrettuale per il Distretto Settentrionale della California.
La decisione del tribunale rappresenta un colpo significativo per Sony, che ora si trova a dover rinegoziare i termini dell'accordo: i ricorrenti hanno ottenuto 30 giorni di tempo per rimediare alle carenze identificate dal giudice, aprendo la strada a una possibile riformulazione della proposta di risarcimento.
Il caso americano non rappresenta un episodio isolato nella strategia legale contro Sony: l'azienda giapponese sta affrontando azioni legali simili in diversi paesi, come ad esempio nei Paesi Bassi.
Questa moltiplicazione di contenziosi suggerisce che il modello di business adottato da Sony per la distribuzione digitale sta incontrando resistenze crescenti da parte delle autorità regolatorie e dei consumatori a livello globale.
Il rigetto dell'accordo da parte del giudice federale potrebbe aprire la strada a precedenti significativi per l'intero settore, sempre ammesso naturalmente che non si riesca a rinegoziare un ulteriore accordo.
Se si riuscisse a dimostrare l'esistenza di pratiche monopolistiche dannose, le conseguenze potrebbero estendersi ben oltre Sony, motivo per il quale sarà interessante monitorare gli sviluppi: vi terremo aggiornati non appena ne sapremo di più in merito.