NFT nel gaming: cosa sono, cos'è il Play-To-Earn e tutto ciò che c'è da sapere

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a cura di Marcello Paolillo

Senior Staff Writer

Negli ultimi mesi si parla moltissimo degli NFT, acronimo che di fatto rappresenta l'atto di proprietà e il certificato di autenticità scritto su blockchain di un bene unico, qualunque esso sia. Acronimo che significa non-fungible token (ossia token non fungibile o gettone non replicabile), gli NFT vengono usati in molteplici applicazioni che richiedono oggetti digitali unici, fossero oggetti da collezione digitali, opere d'arte e, ovviamente, anche i videogiochi.

Visto il sempre crescente interesse sull'argomento legato al gaming, specie per il fatto che giorno dopo giorno decine di compagnie, VIP o aziende decidono di investire o dedicare tempo agli NFT, sulle pagine di SpazioGames abbiamo deciso di fare il punto della situazione, cercando di spiegarvi con chiarezza cosa sono i non-fungible token e come possono influenzare il mercato dei videogiochi nei prossimi anni, trattandosi di fatto di un'industria in costante crescita ed espansione.

Cosa sono gli NFT?

Come accennato poche righe più in alto, gli NFT sono veri e propri certificati di proprietà applicati su opere digitali, una sorta di token crittografico che mira a rappresentare un atto o un certificato di autenticità scritto su blockchain di un bene unico, sia esso digitale o fisico.

Parliamo di un qualcosa di piuttosto diverso dalle classiche criptovalute che con gli anni hanno fatto molto discutere gli appassionati di economia (impossibile infatti non aver sentito almeno una volta il termine bitcoin), visto e considerato che gli NFT vengono usati in applicazioni legate in primis al mondo dell’arte. I non-fungible token permettono infatti di portare prove di autenticità o di proprietà digitale altresì molto difficili da identificare.

Nel 2022 tutti i creatori di contenuti digitali devono infatti fare i conti con il potenziale della riproduzione di massa o, peggio, la distribuzione non autorizzata nel web. Gli NFT mirano quindi a mettere una "pezza" al problema, dando maggiore valore alle identità digitali. Attenzione, però: è importante chiarire che l’acquisto di un NFT non riguarda l’acquisto dell’opera nella sua interezza, bensì solo la possibilità di dimostrare un diritto d'autore.

Tutto ha inizio con la documentazione firmata e salvata in formato digitale ,successivamente compressa in una sequenza chiamata "hash" e a sua volta memorizzata su una blockchain. L’uso di questi token ha permesso la messa in moto di un mercato automatico: il creatore può usare il token per aggiungere al suo interno un hash specifico e di conseguenza venderlo in cambio di un pagamento (rigorosamente in criptovaluta). Sarà quindi facile dimostrarne il possesso di un diritto d'autore con una semplice prova di autenticità digitale, atta quindi a verificare la proprietà dell’opera.

Come posso comprare un NFT?

Per comprare un NFT o un’opera d’arte digitale è fondamentale essere in possesso di un portafoglio crittografico (o crypto wallet) compatibile con Ethereum, oltre a essere successivamente in possesso di criptovaluta ETH. È possibile aprire un portafoglio su varie piattaforme (come ad esempio MetaMask, Binance o Coindesk) per poi convertire danaro reale in criptovaluta: la compravendita di NFT avviene infatti su varie piattaforme di acquisto dedicate, all'interno delle quali sarà possibile vendere, acquistare o anche solo visionare i token non fungibili creati dagli artisti.

Importante sottolineare come le piattaforme NFT addebitano costi per le transazioni, i quali variano a seconda della piattaforma. Nella maggioranza dei casi queste spese sono a carico dei venditori, con commissioni che possono raggiungere anche il 2,5% in più, in aggiunta al prezzo base dell'NFT necessario ad ultimare la transazione.

Ovviamente, come accade del resto anche nelle normali compravendite tra privati, è cosa buona e giusta controllare la validità dell’account del venditore (e il suo storico), in modo da analizzare le vendite precedenti e il prezzo degli NFT, non cadendo così nella "trappola" di strane strategie al rialzo. Da non dimenticare anche che, a differenza delle criptovalute più tradizionali, gli NFT traggono valore dai media che rappresentano (sì, anche quelli legati ai videogiochi): vale a dire che nel caso in cui si decida di investire in NFT sarà come puntare tutto su un oggetto da collezione, con il suo valore nel tempo che sarà determinato da fattori non legati all'oscillazione dei mercati finanziari vituali, bensì in primis dal prestigio e dalla nomea dell’artista che ha dato alla luce il non-fungible token da noi adocchiato.

Cos'è il Play-To-Earn?

Il mondo delle cryptovalute è stato da poco preso di mira dal cosiddetto Crypto Gaming: questo è legato al possesso degli elementi in gioco dagli sviluppatori ai giocatori, dando possibilità a creator e agli utenti di riscattarsi e fruire al meglio del tempo speso all'interno di un determinato titolo.

Il Crypto Gaming si basa in primis sul concetto di digital scarcity, ovvero una limitazione delle risorse presenti in un gioco al fine di garantire il valore. Tradotto in altre parole, l'essere in possesso di oggetti in-game e la possibilità di certificare il possesso ci permetteranno di scambiarli anche al di fuori del gioco, anche in cambio di criptovalute con un valore monetario reale.

Se una determinata software house crea un titolo e lo distribuisce ai giocatori gratuitamente o a pagamento, all’interno dello stesso potranno quindi essere inclusi elementi estetici o artistici che permetteranno di trasformare l’esperienza nel gioco. Siano oggetti estetici o veri e propri appezzamenti di terreno, se paghiamo per comprare un determinato oggetto la licenza digitale rimarrà di nostra proprietà, con la possibilità di essere rivenduta.

Un caso recente di cui abbiamo parlato su queste stesse pagine è quello di The Sandbox, il metaverso di PIXOWL INC. che sembra avere già le idee chiare su ciò che desidererà proporre a una community composta da centinaia di migliaia di utenti. Nel gioco in questione veri e propri yacht digitali sono stati venduti a oltre 600mila dollari, oltre al fatto che lo stesso pass per accedere all’Alpha di The Sandbox (disponibile su OpenSea a 1.96 Ethereum) è stato proposto al prezzo esorbitante di circa 10mila dollari.

Ma non solo: uno dei valori che si possono acquisire nel gioco sono le LAND (ossia le terre), le quali hanno un numero definito: si tratta a tutti gli effetti di token ERC-721 unici e non fungibili sulla blockchain di Ethereum, le quali possono essere scambiate sul marketplace ufficiale in cambio di SAND, il token di utilità di The Sandbox. Importante sottolineare come il sistema del Play-To-Earn non è in nessun modo collegabile al concetto di pay-to-win, così come risulta completamente slegato anche dal più tradizionale (e pericoloso) gioco d’azzardo, visto che non parliamo di titoli in cui per guadagnare token occorre scommettere su attività specifiche.

Cosa ne pensano degli NFT i big del videogioco?

Da diverse settimane sentiamo parlare dell’accostamento tra videogiochi e NFT, con i token non-fungibili letteralmente presi di mira da un gran numero di publisher internazionali, i quali hanno annusato un'occasione di crescita non indifferente.

Tra questi Ubisoft, il colosso d'oltralpe che non ha mai nascosto di voler investire sulla tecnologia blockchain e sugli NFT, con la convinzione che questi elementi possano in qualche modo puntare al futuro dei videogiochi.  A confermare la strada intrapresa dai creatori di Rayman è il lancio di Ubisoft Quartz, una piattaforma dedicata allo scambio e all’utilizzo di token non fungibili all’interno dei suoi titoli (in primis, Tom Clancy's Ghost Recon Breakpoint). Vero anche che Quartz non sembra aver ottenuto il riscontro sperato, nonostante l’azienda abbia deciso di regalare NFT ai suoi dipendenti, a loro volta non troppo convinti dalla validità pratica dei non-fungible token.

Nonostante ciò, la reazione negativa nei confronti degli NFT non sembra aver preoccupato molto il publisher francese, il quale ha tenuto a sottolineare che per loro «è solo l’inizio», visto e considerato che la strada in tal senso sarebbe ancora tutta da percorrere, scetticismo a parte.

Anche in Giappone, un publisher della portata di Konami sembra essersi accorto delle potenzialità della cosa: in occasione del 35esimo anniversario della serie Castlevania, la compagnia nipponica ha deciso di lanciare degli NFT dedicati al franchise sugli ammazzavampiri. L'iniziativa, mirata in primis agli appassionati storici della serie action platform, è parsa piuttosto interessata all'acquisto di articoli digitali da dichiarare di loro proprietà, come artwork o oggetti in-game tratti da vari capitoli della saga.

Anche Square Enix si è vista essere inizialmente molto attratta dagli NFT, tanto che i fan di serie acclamate come quella di Final Fantasy hanno pensato che il publisher nipponico potesse presto decidere di accogliere i token non fungibili all'interno dei vari capitoli del brand, specie uno dei giochi multiplayer più popolari di sempre, ossia Final Fantasy XIV. L'MMO avrebbe potuto rappresentare un ottimo modo per sperimentare con vendita e commercio di NFT legati al franchise.

L’entusiasmo del colosso nipponico autore di franchise come Final Fantasy e Dragon Quest ha reso scettici i giocatori di fronte a questa nuova via di monetizzazione dei videogiochi: del resto, diversi fan avevano comunicato di essere pronti ad abbandonare l’MMO in massa nel caso in cui le preoccupazioni si fossero rivelate concrete.

A fronte di ciò e per tutelare la stabilità e l'immagine di un gioco come FFXIV, il director e producer Naoki Yoshida ha ammesso di essere consapevole delle preoccupazioni del giocatori circa la tecnologia blockchain e di non voler spingere il piede sull'acceleratore, nonostante nulla escluda eventuali applicazioni future sul tema.

Anche Riot Games, autori di Valorant, sono finiti giocoforza nella questione legata alla possibile inclusione degli NFT nei videogiochi. Lo scorso gennaio un post pubblicato sull’account Twitter tedesco del gioco è stato preso di mira dopo che sembrava aver aperto le porte alla tecnologia blockchain. Alla base di tutto, l’intento del team di sviluppo era infatti quello di promuovere l’eroina Killjoy, mostrandola mentre apprezzava un’opera d’arte di Martin Houra, un artista noto per distribuire i suoi lavori solo tramite NFT. Proprio questo dettaglio ha scatenato la community di giocatori, pressoché certa che Riot stesse promuovendo con l'inganno i token non fungibili anche su Valorant.

A seguito della polemica, il team di sviluppo si è dunque visto costretto a rimuovere il post social e scusandosi coi fan di tutto il mondo, chiarendo che non era loro intenzione promuovere i non-fungible token nel loro sparatutto in prima persona multigiocatore di successo o magari anche in League of Legends. Riot ha quindi preso le distanze dai token, subito dopo aver riscontrato una netta reazione negativa da parte dei giocatori.

Quali problemi si creano tra NFT e videogiochi?

Singolare un caso avvenuto lo scorso gennaio e che ha coinvolto uno dei giochi più famosi dell’ultimo decennio e forse di sempre, ossia Minecraft. Blockverse, un server PvP del titolo il cui accesso era riservato a persone che possedevano un token, era impostato in formato play-to-earn, la cui fornitura iniziale prevista ammontava a 10mila NFT al prezzo di 0.05 ETH cadauno, ovvero circa 124 dollari.

Il totale iniziale di NFT è andato esaurito in meno di 10 minuti ma, solo pochi giorni dopo, i creatori del progetto hanno cancellato il loro sito web, il server Discord e il server del gioco, portandosi via anche con i soldi. Si parla infatti di una somma di denaro davvero considerevole, ossia circa 1.2 milioni di dollari. Il team è poi riapparso nuovamente su Twitter ringraziando gli utenti per il successo ottenuto e scusandosi per l'inconveniente, se così possiamo definirlo. Peccato solo che dei soldi non c’è traccia.

Quali vantaggi offrono gli NFT ai giocatori?

Atsushi Inaba, boss di PlatinumGames, si è espresso sull’argomento legati agli NFT nel corso di un’intervista a VGC. Inaba si è mostrato essere molto perplesso, specie relativamente al fatto che secondo il suo punto di vista gli NFT non hanno un granché da offrire ai videogiocatori«Capisco che sia un tema caldo e che sia sempre più sotto i riflettori» ha spiegato il CEO della compagnia. «Tuttaviam il modo in cui l’argomento ha ottenuto visibilità si concentra su come possa essere un modello di profitto per le compagnie, senza nessun impatto positivo sui creatori o sugli stessi utenti, da nessun punto di vista. È una cosa frustrante da vedere».

A dare man forte alle parole di Inaba anche Hideki Kamiya, designer e director di titoli come Bayonetta, il quale ha spiegato senza mezzi termini che la questione legata agli non fungile-token nel mercato dei videogiochi «è una cosa che non porta nessun beneficio all’utente». Kamiya ha in ogni caso sottolineato che se in futuro la cosa si espandesse in modo da proporre un qualcosa di positivo per il giocatore, allora l'interesse potrebbe crescere in maniera esponenziale.

C'è tuttavia chi è ancora più critico sull'argomento: stiamo parlando di Josef Fares, ossia il director del GOTY dei The Game Awards 2022, It Takes Two. Usando i toni irriverenti e senza peli sulla lingua che da sempre lo caratterizzano, Fares ha infatti spiegato che includere gli NFT nei suoi progetti preferirebbe farsi «sparare in un ginocchio».

Secondo il creativo qualsiasi decisione un giocatore prenda in un titolo, se si è spinti ad aggiustare il design per fare in modo che il giocatore paghi o faccia qualcosa che lo invogli a spendere dei soldi, è una cosa del tutto sbagliata, specie se l'autore realizza un gioco che abbia come obiettivo quello di raccontare una storia.

Qual è il futuro degli NFT nel gaming?

Stando ad un recente sondaggio, gli sviluppatori di videogiochi non sembrano essere realmente così interessati agli NFT. L'analisi, fatta durante lo State of the Game Industry Report nel corso della GDC, ha chiesto a 2700 sviluppatori la propria opinione riguardo i non-fungible token. Il 70% dei developer si è detto “non interessato” al concetto alla base dei token non fungibili, mentre il resto si è diviso tra quelli “più o meno interessati” (21%) e quelli "molto interessati" (7%). Gli stessi sviluppatori sono stati interrogati anche sul loro pensiero riguardo l’idea che gli NFT siano considerati come il futuro del gaming. Alcuni tra questi hanno definito il sistema dei token come uno “schema piramidale”.

Da un altro lato c'è chi ha però intenzione di investire negli NFT, come ad esempio la nota catena di vendita al dettaglio GameStop: stando ad un report dei Wall Street Journal pubblicato lo scorso mese di gennaio, la compagnia avrebbe deciso di investire nell’assunzione di un discreto numero di professionisti ed esperti per costruire un marketplace digitale, dedicato esclusivamente ai contenuti unici, NFT inclusi.

Parlando invece di singoli professionisti del settore, anche il noto attore e doppiatore Troy Baker aveva deciso di farsi portavoce e di investire in una società che sta sviluppando una IA per creare NFT di doppiatori. In altre parole, l'idea sarebbe quella di creare dei token non fungibili di voci digitali create da una intelligenza artificiale, grazie a una collaborazione con VoiceverseNFT. Tuttavia, in seguito all'aspra reazione dei suoi fan, Baker aveva annunciato di essere tornato sui suoi passi – a sintesi dell'attuale situazione del panorama videoludico sul tema.

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