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Recensione

Minit, una recensione in sessanta secondi

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a cura di Daniele Spelta

Redattore

Una singola scelta di game design può fare tutta la differenza del mondo. Minit è un semplice puzzle-adventure che rimanda ai classici di Nintendo, ricorda da vicino il primo Zelda e ha un impianto quanto mai minimale, sia nel ricorso visivo a due soli colori, il bianco e il nero, sia nelle meccaniche di gioco, fatte di semplicissimi puzzle ambientali e di un sistema di combattimento quanto mai ridotto all’osso, il tutto immerso in una mappa dai confini non troppo ampi. In Minit però, a prescindere da dove vi trovate e cosa state facendo, ogni sessanta secondi si muore: Kitty Calis, Jan Willem Nijman, Jukio Kallio and Dominik Johann – i ragazzi alle spalle dell’opera – hanno costruito attorno a questo loop un titolo unico, coraggioso e radicale. Il fato crudele, che potrebbe subito far pensare a frustrazioni e crisi di nervi, è stato sapientemente sfruttato ed è alla base di un sistema di gioco vincente e, anzi, proprio questa ristrettezza temporale ha permesso agli sviluppatori di creare un senso d’ugrenza unico, capace di generare tensione anche laddove non vi è una reale barriera, andando a scardinare dalle fondamenta alcuni dettami che parevano oramai scolpiti nella pietra. Minit è un gioco coraggioso, propone qualcosa di realmente inedito anche nel panorama degli indie e, anche solo per questa sua voglia di azzardare, meriterebbe la giusta attenzione.
LeQuack
Il protagonista dell’avventura dovrebbe essere una papera, ma l’uso del condizionale è d’obbligo perché non ne sono affatto certo, data l’estrema stilizzazione di ogni personaggio presente nel mondo di gioco. La sorte del pennuto non è affatto fortunata e il suo destino muta quando entra in possesso di una spada abbandonata nei dintorni da casa sua: l’arma è infatti maledetta e qui inizia il triste ciclo di morti e rinascite, con l’ultima speranza racchiusa nella restituzione della lama al suo legittimo proprietario, l’unico in grado di spezzare la maledizione. La narrativa non è il punto forte dell’opera, è un mero pretesto per avere un obiettivo e per arrivare fino ai titoli di coda, ma ciò non significa che il mondo di gioco non abbia nulla da dire, anzi. Ogni NPC incontrato sulla strada ha la sua bizzarra storia da raccontare, parole all’apparenza insensate ma che servono a progredire nell’avventura, un sistema di quest non lineare che intreccia attorno a situazioni assurde, una ragnatela che si dipana a poco a poco per la mappa. Il senso dell’umorismo non manca mai, una volta ho sprecato tutti i sessanta secondi ad ascoltare una tartaruga che parlava lentissimo, oppure sono rimasto interdetto davanti ad un pesce che preferiva starsene fuori dall’acqua invece che nuotare nel mare. In Minit non ci sono indizi chiari, ma tutto è lasciato alla fantasia del giocatore, che deve essere bravo a leggere fra le righe e a mettere in ordine – e spesso a dare un senso – agli oggetti che recupera durante il suo cammino, il tutto nei sessanta secondi segnalati in un angolo dello schermo, una spada di Damocle a cui è impossibile sfuggire. Ad esempio, che farsene di un secchiello d’acqua? Che porta apre la chiave trovata in cima ad un faro? Perché sono tutti in sciopero nella miniera mentre a me rimangono solo pochi secondi di vita? Non ci sono risposte certe e questo inizialmente può causare un po’ di sconforto, ma bastano poche run per capire come la software house abbia letteralmente giocato con la morte, privandola di quel senso di frustrazione che può generare l’ennesimo fallimento, tanto che esiste pure un tasto adibito al suicidio, utile quando si è oramai certi di non arrivare a quell’obiettivo che ci si era prefissati .
Fuori in sessanta secondi
Questo non significa che il game over venga ridotto ad un fastidio di cui non tenere affatto conto. Questa scelta radicale assume un valore fondamentale in ogni frangente, perché anche il più semplice dei puzzle, come spostare in modo corretto un paio di casse, può diventare una sfida quando il counter si avvicina inesorabilmente verso le zero. Ragionare attorno ad un enigma non significa perdersi infinite volte e sprecare tanto tempo davanti ad un’imperscrutabile Sfinge, perché tutto è stato perfettamente calibrato attorno ai sessanti secondi. Il medesimo discorso è valido anche per i combattimenti e per le boss-fight, in cui anche sconfiggere un paio di banditi posti dall’altra riva del fiume può rivelarsi una corsa contro il tempo.
Le morti che si accumulano sulle spalle del giocatore non hanno dirette ricadute sul senso di progressione, poiché ogni oggetto recuperato lungo il cammino viene mantenuto anche nella run successiva, mentre alcune case sparse qua e là per la mappa servono come punto di respawn e occorre sfruttare al meglio la loro posizione per accorciare gli spostamenti. Per quanto limitato, il mondo di gioco è di per sé un intero rompicapo e ogni elemento è collegato sapientemente con il precedente e con quello che lo segue, formando così un puzzle continuo, fatto di dungeon, botole, paludi, segherie, ponti da aggiustare e tante altre location, spesso abitate da NPC strampalati e con missioni altrettanto strane. La fatalità incombente, unita alla cripticità sul cosa fare, aumenta poi il senso di soddisfazione ad ogni piccolo passo in avanti fatto, anche quando si è sconfitto solo un improbabile spirito della palude equivale. L’assenza di una mappa spinge poi il giocatore a memorizzare ogni direzione e i vari spostamenti, in un’ottica di salvaguardia anche dell’ultimo secondo: potenzialmente, Minit può essere portato a termine in una decina di minuti, una sfida adatta quindi anche agli amanti delle speedrun. Nonostante le sue esigue dimensioni, i vari scenari vengono ampliati da un’esplorazione che, per via delle costanti morti, non può che vivere di brevi sessioni, perfette per valorizzare e ancora più caratterizzare le micro-sezioni e i vari personaggi. Il risultato alla fine è un piccolo trattato di game design e level design, dove ogni elemento è stato perfettamente misurato tenendo a mente la scadenza dei sessanta secondi, sempre sufficienti a garantire l’idea di progressione.
Un mondo d’altri tempi
Minit è un esperimento affascinante e riuscito, grazie anche al suo stile visivo, che trasuda personalità da ogni pixel, con un mondo in 8bit tanto nostalgico – graficamente – quanto moderno – per via del suo senso dell’umorismo – e con quel tocco di assurdità tipico delle produzioni Devolver Digital, etichetta oramai sempre più sinonimo di garanzia. Anche la colonna sonora, anch’essa spiccatamente retrò, non fa altro che impreziosire l’opera, con temi che paiono provenire da un’altra epoca e sfruttati inoltre sapientemente per essere complementari al continuo conto alla rovescia.

– Design unico e azzeccato

– Mondo di gioco affascinante e con tanti personaggi assurdi

– Tanto da fare in poco spazio

– Sapiente level design

– All’inizio può sembrare frustrante

– La storia praticamente non c’è

9.0

Difficile trovare un gioco che, con pochissimi ingredienti, sappia fare meglio di Minit, un’avventura dal gusto retrò e dall’estetica minimal, un’opera coraggiosa e dal design brillante e vincente, capace, a suo modo, di sconfiggere la morte. C’è senso del’umorismo, una folta schiera di strani personaggi e situazioni al limite dell’assurdo, tenuti assieme da un sistema di quest in grado di valorizzare ogni piccola scoperta, un avanzamento che, passo dopo passo, elimina anche quella potenziale frustrazione causata dalle inevitabili morti.

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9