Le pubblicità nei videogiochi possono creare un disastro, oppure una grande opportunità

Un modo di fare pubblicità che diventa sempre più cyberpunk.

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a cura di Valentino Cinefra

Staff Writer

Qualche tempo fa è uscita una notizia molto interessante sul tema della pubblicità nei videogiochi. Non è esplosa più di tanto perché, successivamente, è venuto fuori che le informazioni della notizia stessa erano leggermente diverse dalla verità, ma c’è comunque spazio per una grande riflessione da fare: c’è un modo per mettere la pubblicità nei videogiochi in maniera coerente e non invasiva?

Lo scorso giugno è venuto fuori che esiste una piattaforma, con brevetto dedicato, che permetterebbe alle aziende di inserire veri e propri spot pubblicitari all’interno dei loro ecosistemi di gioco. Immaginate di stare giocando a The Last of Us Parte 2 e, proprio come durante la visione di un film in TV, a un certo punto la partita si interrompe per mostrarvi la nuova offerta di un operatore telefonico. Oppure, in attesa dell’avvio di una partita di Valorant o Pokémon Unite, parte la pubblicità di una nuova serie su Netflix in uscita a breve.

La piattaforma è PlayerWON di Simulmedia, che si occupa di pubblicità e marketing su TV e altri media, è la notizia fece scalpore perché, secondo un report poi smentito di Axios, l’azienda sembrava aver preso già accordi con Electronic Arts ed Hi-Rez Studios. Il colosso americano ha smentito poco dopo, dichiarando che non c’è nessuna intenzione di inserire pubblicità nei proprio prodotti.

Però la piattaforma esiste, ed è stata rilanciata recentemente proprio sul sito di Simulmedia. Questo significa che PlayerWON verrà integrata prima o poi in qualche videogioco, e non si parla solamente di free-to-play ma di qualsiasi videogioco possa uscire da ora in poi.

La nuova frontiera delle pubblicità nei videogiochi

Come funzionerebbe PlayerWON, nel concreto? Simulmedia la definisce un’esperienza di pubblicità orientata verso il giocatore. Il CEO dell’azienda Dave Morgan aggiunge:

"L’introduzione della pubblicità in queste grandi ed emergenti piattaforme mediatiche richiederà un delicato equilibrio incentrato su un singolo, semplice ed intoccabile precetto: il giocatore è al comando."

Con PlayerWON, dice l’azienda, i giocatori non vedranno le pubblicità a meno che non scelgano di farlo, con i loro tempi ed il controllo totale. Ed anche in quel caso ci saranno sempre modi per saltarle, se decideranno poi di non guardarle nell’effettivo. Le pubblicità saranno proiettate solo nei momenti morti (scongiurando, quindi, l’esempio fatto sopra riguardo il titolo Naughty Dog), e i giocatori che le guarderanno riceveranno delle ricompense, ma che non intaccheranno mai l’esperienza di gioco dando un vantaggio pratico rispetto a chi sceglierà di non guardarle.

Secondo un’indagine dell’azienda il 77% dei giocatori di titoli free-to-play sono disposti a guardare una pubblicità dai 15 ai 30 secondi in cambio di oggetti o contenuti in-game in omaggio. PlayerWON si farebbe carico di proiettare dei veri e propri spot televisivi, con quel livello di qualità, e non gli attuali spot che girano per esempio nei videogiochi free-to-play.

Il dettaglio interessante della piattaforma è che non saranno solo gli inserzionisti a beneficiare delle pubblicità, ma anche gli sviluppatori stessi. Non si parla di quote sui guadagni dalle pubblicità, ma di una spinta a far rimanere i giocatori più a lungo sulle loro piattaforme.

Il concetto è: se rimani a vedere le pubblicità all’interno del videogioco, stai rimanendo più tempo all’interno del videogioco. Soprattutto per le piattaforme multiplayer online, ma non solo, il più grande nemico degli sviluppatori è il tempo, il vero ostacolo da affrontare è fornire un prodotto abbastanza appagante che i giocatori decidano di ignorarne un altro. La stessa cosa che succede con le piattaforme online di streaming, per intenderci.

Inoltre, ricevendo delle ricompense in-game dopo aver guardato delle pubblicità, i giocatori dovrebbero sentirsi più soddisfatti perché, senza spendere un soldo, hanno ricevuto dei contenuti di quello specifico videogioco. Immaginate di giocare a Fortnite e di volere una particolare skin, non avete i soldi per comprarla ma vi potrebbe venire regalata se guardate, che so, tre pubblicità in una settimana. Avete ricevuto un nuovo contenuto per Fortnite, vi sentirete più integrati nella piattaforma e, magari, non ve ne andrete. Avrete sviluppato quella lealtà che è fondamentale per le aziende.

Il mercato dei videogiochi come il nuovo pubblico da conquistare

L’idea che si prospetta con una piattaforma come PlayerWON, che è già attiva su molti videogiochi anche se non sappiamo esattamente quali, è disturbante ed interessante, per certi aspetti.

Parliamo dei videogiochi che vengono pagati, siano esse avventure o esperienze multigiocatore. Sebbene possa sembrare aberrante ricevere contenuti pubblicitari per qualcosa che si è già pagato, in realtà stiamo già andando verso quella strada.

Negli ultimi anni i product placement videoludici sono aumentati a dismisura, anche al di fuori di Fortnite, ed ogni servizio a pagamento di qualsiasi media contiene pubblicità ormai in maniera più che consolidata. Non c’è niente che possa rompere più l’immersione di uno spot di omogeneizzati durante i caricamenti di Death Stranding, ma sfortunatamente sembra quella la direzione verso cui stiamo andando. D’altronde anche nelle più recenti edizioni di Street Fighter V c’erano degli sponsor, legati però sempre al titolo Capcom in qualche modo, dalle cui pubblicità si potevano guadagnare un piccolo quantitativo di valuta di gioco.

Di fatto creare delle pubblicità all’interno del mercato videoludico è uno dei migliori modi per veicolare un prodotto, oggi. La televisione non è più remunerativa, né tantomeno seguita dalla fascia di pubblico dei 18-34enni che rappresentano la maggior parte dei videogiocatori. Quel pubblico che popola i social network, che usa Twitch come una nuova televisione. Lì ci sono gli spot pubblicitari per i non abbonati, ma la piattaforma di streaming è incentrata tutta sul dare vantaggi e premi a chi sottoscrive un abbonamento, fornendo un flusso di denaro che però confluisce verso Amazon e non agli inserzionisti.

Gli studi attuali dichiarano come le pubblicità videoludiche siano meno costose (si parla di 20 dollari/CPM) ma garantiscano un attaccamento maggiore al brand su molte delle aziende coinvolte. Un pubblico che peraltro è già estremamente assuefatto ai contenuti pubblicitari, siano essi occulti o dichiarati, che seguono influencer e streamer i quali lavorano più o meno apertamente in concordato con delle aziende che veicolano attraverso loro prodotti e servizi.

Tutto questo per dire che, probabilmente, nel giro di qualche anno gli spot pubblicitari nei videogiochi rischiano di essere inevitabili. C’è un modo per integrarli in maniera coerente e non invasiva? Forse sì.

Pubblicità e videogiochi a portata di utente, ma ci crediamo?

Delle parole di Simulmedia verso PlayerWON ci fidiamo, il giusto ma neanche troppo, e le prendiamo cum grano salis. È chiaro che nessuna agenzia pubblicitaria dirà mai apertamente qualcosa tipo “sì amici videogiocatori, vi riempiremo di pubblicità e voi non potrete fare niente per impedircelo!”, ma allo stesso tempo è noto come la community dei videogiocatori sappia fare fronte comune per ribellarsi e far sentire la propria voce. Nei peggiori e nei migliori casi.

Non mi aspetto, quindi, che da un giorno all’altro verremo invasi di pubblicità come nel peggiore sito di truffe in cui si vincono iPhone, automobili, ville o cose del genere. Mi aspetto, però, che la pubblicità nei videogiochi diventi un tema integrato nei videogiochi.

Ma provate ad immaginare la Night City di Cyberpunk 2077 invasa di pubblicità reali, e non fittizie. Gli spot ideati da CD Projekt Red sono a regola d’arte, fanno parte dello storytelling del mondo ideato da Mike Pondsmith, raccontano tematiche e suggeriscono l’umore delle vite dei cittadini, ma se intervallate da pubblicità di prodotti che, poi, si trovano realmente uscendo di casa, potrebbero creare per assurdo una maggiore immedesimazione.

Il trucco per veicolare le pubblicità senza rovinare l’umore dei videogiocatori potrebbe essere la coerenza.

Riprendiamo l’esempio di The Last of Us Parte 2 dove, invece di uno spot di un operatore telefonico, appare una pubblicità di uno zaino da trekking. D’altronde la profilazione degli utenti e dei contenuti è, per fortuna o sfortuna non è questa la sede di deciderlo, una realtà ormai più che consolidata. Le pubblicità sono mirate e quasi sempre infallibili basandosi sulle preferenze di ricerca ed eventuali caratteristiche dell’utente. Lo stesso procedimento potrebbe essere applicato ai videogiochi non in base al profilo del videogiocatore, ma del prodotto stesso.

Pubblicità di benzina, ricambi per automobili o assicurazioni auto in Forza Horizon 5; palestre, accessori per lo sport e marchi sportivi in FIFA 22; proposte di viaggio, abiti da trekking in The Legend of Zelda: Breath of the Wild, e così via. Se proprio dobbiamo iniziare a sorbirci le pubblicità nei videogiochi che almeno siano coerenti con quello che si sta giocando, se non integrate all’interno degli stessi.

Sarebbe una prospettiva interessante, il proverbiale male minore, di quella che è una tendenza che non sembra facile poter arrestare. Questo potrebbe portare ulteriori guadagni agli sviluppatori, soprattutto quelli minori che di solito si devono districare tra preordini, ma soprattutto transazioni interne ed espedienti di questo tipo.

Ma l’industria videoludica si è fatta sempre prendere molto la mano: il mercato che spinge le lootbox, le aste interne per le skin, i sistemi pay-to-win mascherati da videogiochi accessibili a tutti, la giungla dei DLC senza pudore. È difficile pensare che lo stesso mondo che usa pratiche del genere si possa moderare per quanto riguarda le pubblicità.

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