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Haven | Recensione PS5 - Un videogioco d'amore

Saga incontra Persona incontra...

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a cura di Paolo Sirio

Informazioni sul prodotto

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Haven
  • Sviluppatore: The Game Bakers
  • Piattaforme: PC , PS4 , SWITCH
  • Generi: Avventura , Gioco di Ruolo
  • Data di uscita: 2020

The Game Bakers cambia registro e passa da un titolo d'azione basato integralmente su complesse boss fight, ovvero Furi, ad un altro che ambisce invece a raccontare ed esporre, sia in termini narrativi che ludici, una storia d'amore: Haven. L'ambizione scorre potente nel progetto di un piccolo studio indie che negli anni si è ritagliato una sua fedele community, e le ispirazioni – che, curiosamente, ci sono state illustrate fin dal primo istante per dare agli appassionati di quei giochi (e non solo) così come alla stampa dei riferimenti ben precisi e degli strumenti con i quali giudicare lo sforzo produttivo alle sue spalle – sono tutte lì a dimostrarlo.

I titoli che hanno dato il là ad un gioco tanto particolare come Haven sono grossi e soprattutto peculiari, e questo ha visto il team di sviluppo francese fiondarsi nel classico campo minato in cui capita si mischino componenti che prese singolarmente sono grandiose ma introdotte nello stesso calderone potrebbero dare risultati sfortunati. Un rischio importante per qualcuno che avrebbe potuto semplicemente capitalizzare il successo del gioco di debutto e presentarsi con un Furi 2, e che già per la sua stessa esistenza merita un plauso a prescindere dalla buona riuscita dell'intento, che valuteremo naturalmente in questa recensione.

Un videogioco d'amore

Al di là della voglia di prendersi dei rischi e cercare una nicchia nella nicchia del gaming, Haven ha un merito in particolare, quello di introdurre il concetto di videogioco d'amore. I videogiochi hanno ormai fatto la pace con la loro potenzialità di raccontare storie dalle mille sfaccettature, e non si limitano più a metterci nei panni del super soldato sotto steroidi che abbatte migliaia di nemici con il suo fucile d'assalto; The Game Bakers ha fatto però un salto in avanti, non chiudendo il tema portante della sua produzione dietro il muro della narrazione o soltanto del gioco, ma rendendolo una meccanica di sistema.

In Haven, l'amore è una meccanica che sottende l'intero gioco e ne pervade la narrativa così come il suo funzionamento, e il titolo – che fondamentalmente è un dungeon crawler anche se si sforza parecchio di rendersi di difficile classificazione – ci mette davanti ad alcune scelte di design estremamente sorprendenti per rimarcare tale concetto ed è capace, soprattutto, di prendersi del tempo per descrivere i rapporti, il rapporto tra i due protagonisti che in realtà ne sono uno solo, in maniera credibile e relazionabile.

C'è almeno un paio di chicche nelle quali vi imbatterete giocandoci. Nel momento in cui lascerete il controller anche per alcuni secondi, vedrete Yu e Kay abbracciarsi teneramente o baciarsi, e questa non è una semplice animazione idle di quelle simpatiche che siamo abituati a vedere ripetersi nelle grandi produzioni; perché quando partirà quest'animazione i due si cureranno a vicenda, con i tempi dettati da un cooldown “dell'abilità” pensati per non rompere (eccessivamente) il titolo. È un'animazione che spiega di più del rapporto tra i due personaggi, quindi ha una funzione narrativa, ma ha anche un impatto sul comportamento del gioco, in una sorta di invasione di campo del racconto nel gameplay dove è l'amore a prendere il controllo attraverso la sua capacità di curare, letteralmente, ogni male.

Più estetica ma ugualmente raffinata è l'animazione per la quale, senza accorgertene, ti ritrovi a tenere per mano l'altro personaggio (i due sono switchabili ma non hanno caratteristiche uniche, uno vale l'altro, e pure questo è un dettaglio significativo, a pensarci): succede in maniera naturale, mentre stai correndo a bordo di uno di quei flussi blu che funzionano come fossero una ringhiera in Jet Set Radio, e ogni volta che lo noti non puoi fare a meno di pensare che è una delle cose più carine che siano successe ai videogiochi negli ultimi anni.

Queste due animazioni ci hanno toccato in maniera molto simile al tasto per abbracciare in Spiritfarer, dove il gaming dimentica per un attimo le cose che deve fare per forza – degli open world strapieni di roba da fare, delle missioni tutte uguali tra loro buttate lì per fare quantità, e di tutto il resto contro cui ormai sapete ci batteremo sempre – e si rivestono dell'umanità che hanno perduto lungo la strada. Che non è la stessa umanità dell'inserire un comando per accarezzare cani e gatti, no, non è un'umanità a comando o per convenienza, è l'umanità dei gesti spontanei che non ti vengono sbattuti in faccia perché altro non sono che un altro elemento da spuntare nella lista delle cose da fare in fase di design.

Ovviamente, qualcosa del genere può funzionare soltanto se le dai un contesto solido, e nel caso di Haven il quadro generale è una grossa ispirazione o persino citazione dichiarata dell'epopea, semplificando notevolmente, lo sappiamo, da Romeo e Giulietta nello spazio che abbiamo apprezzato in Saga.

The Game Bakers è stata molto brava nel raccontare i diversi passaggi quotidiani di una storia d'amore, che vanno dallo stare insieme senza fare nulla per il solo piacere di stare insieme al lasciarsi vedere struccati perché va bene così e soprattutto senza saltare i momenti difficili come i litigi (che portano a conseguenze forse banali ai fini del gameplay) o persino soltanto i dubbi sul rapporto (qui il concetto è invece più sfumato e godibile) – e lo stesso impegno è stato riporto nella costruzione di un mondo che non fungesse soltanto da scenario ma agisse da ostacolo per questa relazione, perché ogni buona storia d'amore, per funzionare, ha bisogno di una minaccia che la metta a rischio.

Come vedremo tra poco focalizzandoci sul gameplay, che pure mantiene fede alla tenerezza della coppia donandole una forte vena pacifista per cui se sconfiggi una creatura alieni la "plachi" e non la elimini sul serio, lo studio transalpino ha sparato altissimo e spesso si fatica a capire dove voglia andare a parare ma la “mitologia” in sé, tutto l'apparato che circonda l'intreccio, è tratteggiato con una certa dose di maestria e ha quello che serve per intrigare.

Ma perde di vista il resto?

Quando parliamo di videogioco d'amore, per paradosso, intendiamo che Haven soffre un po' lo stesso problema in cui si imbattono gli innamorati: la dinamica di coppia, sia a livello narrativo che in termini di sviluppo del gioco, è totalizzante, e questo comporta alcune storture che non rendono giustizia né a quel mondo di cui parlavamo poc'anzi, né ad un gameplay che non sa precisamente cosa vorrebbe essere da grande.

Sotto il profilo della storia, The Game Bakers è passata da un obiettivo all'altro con una certa fretta, cambiando le carte in tavola almeno due-tre volte, e lasciando un po' interdetto il giocatore che si stava dedicando a raggiungere un traguardo e poi se lo vede messo in secondo piano di punto in bianco; banalmente, per via di questi corti circuiti, capitano dei momenti in cui non sia di preciso cosa dovresti fare per mandare avanti il gioco e questo, dopo aver dedicato già una decina di ore ad un titolo che non ha il respiro di un JRPG da 100+ ore, è un po' scoraggiante.

Il gameplay di per sé ha buoni spunti e delle trovate genuinamente appaganti, ma soffre allo stesso modo della sindrome di chi vuole fare tante cose e non sa troppo bene su quale applicarsi di più. Ad esempio, procura piacere fisico ripulire i diversi isolotti dalla ruggine come se fossimo in un Super Mario Sunshine o in uno Splatoon invertito, ma comprenderete presto – più o meno quando sopraggiungerà quel pizzico di noia di cui sopra quando verrete barcamenati da uno scopo all'altro – che questa sarà una meccanica poco importante ai fini del prosieguo nella main quest.

Lo stesso dicasi per l'espansione del Nido, l'astronave/casa in cui vivono i due protagonisti: per larghi tratti del gioco la sua strutturazione, che ha riflessi sia estetici che funzionali con nuovi moduli per il potenziamento e la sintesi di farmaci, ti viene presentata come fine ultimo, ma alla fine scopri che non lo è davvero e non ci resti granché bene.

E per i combattimenti vale la medesima regola: gli scontri sono a turni e sono basati sul concept di mandare in crisi un nemico esattamente come su Persona, solo che l'interfaccia a scomparsa non fa un grande lavoro quando c'è da sottolineare questo concetto e il giocatore è chiamato ad andare molto a sensazione, come se quel tipo di dinamica fosse stato inserito senza troppa convinzione in un titolo non propriamente concentrato sui combattimenti – quando invece per funzionare avrebbe bisogno di un focus a parte (e non a caso Persona 5 è pieno di spiegoni e pezzi di UI ovunque, raffinata ma comunque ovunque, sullo schermo).

Le fight, perfino coi boss, avvengono in maniera molto rapida e fluida, e prevedono pure qui delle meccaniche di coppia, che si tratti di una protezione per il partner, oppure un attacco con una bomba di energia per mandare in crisi l'avversario con uno e un colpo netto per sfruttare il crollo delle sue difese con un altro; è una struttura che, al netto di alcune incertezze vagamente frustranti nella comparsa dell'interfaccia, ha il suo fascino e avremmo voluto vederla approfondita di più, tant'è vero che soltanto un paio di scontri secondari e/o di notte l'hanno messa davvero sotto stress.

Persona, e in generale i lavori di Atlus, vengono chiamati in causa anche dal sistema di potenziamento di Yu e Kay: i level up avvengono infatti tramite le relazioni sociali che intratteniamo con i due personaggi – gli unici, a tutti gli effetti, a proposito della capacità polarizzante della loro relazione affettiva -, che si tratti di cucinare e mangiare, oppure andare a letto insieme (per dormire o fare altro, noterete che il gioco non rinuncia affatto ad una pur leggera componente erotica) così da guadagnare dei livelli non dichiarati che alzano parametri come salute massima o danno inferto tramite le mosse di coppia. Citando Atlus, non possiamo non menzionare come pure qui sul nostro sia stata riposta una notevole cura sulla colonna sonora, che ha infatti brani di musica elettronica molto accattivanti a cominciare dalla suggestiva intro fino al gameplay vero e proprio.

Se finora abbiamo discusso di componenti che rilevano delle mixed bag, ovvero qualcosa che va e qualcosa non va, quello che non va seriamente è la navigazione: Haven è un dungeon crawler nell'intimo, come abbiamo anticipato qualche riga fa, ma gestisce la navigazione in maniera confusa persino quando mette a disposizione una mappa e una meccanica light di viaggio rapido.

Capire dove andare e cosa fare in quel determinato punto è spesso un'impresa, e specialmente se siete giocatori che cercano un'esperienza fluida, che non vi blocchi in una determinata sessione di una manciata di ore la sera dopo una giornata di lavoro, potrà darvi particolarmente fastidio che non ci sia una corrispondenza 1:1 tra la suddetta mappa e l'ambientazione – capita di dover andare a destra per spostarsi a sinistra, ad esempio, o che ci siano dei vicoli ciechi non esplicitati.

Non aiuta particolarmente il fatto che, da vecchio vizio dei dungeon crawler a dirla tutta, le ambientazioni si somiglino un po' tutte e la varietà, sia estetica che funzionale, non sia il forte del prodotto, così come i movimenti nello stretto siano alquanto impacciati.

E la next-gen?

Abbiamo giocato Haven in versione next-gen su PS5 e questa edizione prevede, come da standard che si sta ormai affermando nell'industria, due modalità grafiche diverse: la prima punta esplicitamente sulla grafica, aumentando non solo la risoluzione visibilmente ma anche il quantitativo di dettagli sullo schermo (noterete prati con più fili d'erba, per citare l'elemento che spicca di più), mentre la seconda scommette sulle performance.

Ovviamente, la prima modalità ha un appeal estetico più forte ma va precisato che giocandoci noterete costanti cali di frame rate ad ogni movimento, il che, con un sistema di controllo che vi chiederà di stare sempre di corsa per non dire in volo, è tutto fuorché l'ideale; ragion per cui nella nostra run abbiamo preferito la seconda, che mantiene un'offerta visiva molto gradevole che non sa di compromesso – in movimento, appunto, noterete pochissimo lo stacco – ma con un livello prestazionale molto più idoneo.

Il DualSense di PlayStation 5 viene messo sì sotto sforzo nel corso del gioco, ma si può parlare di uno sfruttamento alquanto “piatto” rispetto a ciò che abbiamo testato finora; se avete giocato altri titoli next-gen sulla console di Sony, insomma, non resterete a bocca aperta quando i grilletti opporranno resistenza durante il volo (una resistenza crescente a seconda di parametri come la fame) e dovrete togliere il dito da L2/R2 per poi rimettercelo, anzi semmai dopo tot ore la cosa potrebbe venirvi a noia. Il feedback aptico non è troppo chiamato in causa, sebbene quando vi capiterà di passare per dei veri e propri terremoti noterete una vibrazione, quasi un formicolio, molto più intenso del solito.

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Voto Recensione di Haven - Recensione


7

Voto Finale

Il Verdetto di SpazioGames

Pro

  • Un videogioco d'amore, in tutti i sensi

  • Costruzione credibile della relazione tra i protagonisti

  • Ha alcuni spunti ludici interessanti...

Contro

  • Perde spesso di vista il punto

  • La navigazione è problematica

  • ... ma li sviluppa in maniera confusa

Commento

Haven ha buone premesse e spunti di originalità rari nel panorama videoludico moderno che ci fa piacere premiare, e che – se anche voi state pagando dazio alla stanchezza per il modello tripla-A tradizionale – troverete rinfrescanti. Nel tentativo di impreziosirsi di citazioni e ispirazioni nobili, e soprattutto focalizzandosi pure testardamente sul convogliare le sensazioni di una storia d'amore credibile e totalizzante, introduce svariate meccaniche che non hanno lo sviluppo che meriterebbero e non sa bene quale delle tante identificare come portante, e ciò vale, in maniera abbastanza ironica, sia per il lato ludico che per quello narrativo. Ma, con quello che è forse il primo videogioco d'amore, il risultato non poteva essere che questo.