Grand Theft Auto Vice City, lo Scarface eterno dei videogiochi

Tra un 1986 fittizio e un 2002 autentico, torniamo alla caustica Miami virtuale di Rockstar Games e del suo celebre Grand Theft Auto: Vice City.

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a cura di Adriano Di Medio

Redattore

Ancora adesso, detiene la medaglia d’argento come videogioco più venduto dell’epoca PlayStation 2. Da quando è uscito nel 2002, ha rappresentato per tantissimi giocatori il simbolo della libertà soleggiata, facendo loro rimpiangere un’epoca in cui non avevano mai vissuto. Grand Theft Auto Vice City è una rappresentazione plastica e siliconata di un’epoca intera.

Con il ventennale dalla sua uscita ormai più prossimo che mai (e voci insistenti su un GTA 6 che potrebbe trovare casa proprio a Vice City), qui su SpazioGames non abbiamo resistito a tornare nelle assolate spiagge di Vice City, per vivere ancora una volta l’epopea folle di Tommy Vercetti. E con un po’ di sorpresa, vi abbiamo trovato ben più di uno spunto di riflessione.

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Vice City e il sogno stroncato

Malgrado ai tempi né il pubblico né i suoi stessi creatori ne avessero probabilmente sentore, Grand Theft Auto: Vice City è stato tra i primissimi videogiochi a essere davvero per un pubblico adulto, e non solo maturo. Ed era una definizione che andava oltre la concezione più spicciola: Vice City racconta a tutti gli effetti un’ascesa fatta di violenza all’interno di una società malata. Una società sintetizzata nella città di Vice City, che sotto alla spensieratezza del 1986 nasconde (nomen omen) ogni tipo di vizio, stravaganza e perversione.

A riguardarla oggi, l’epopea criminale di Tommy Vercetti è probabilmente quella che più di tutte ha incarnato per il brand Rockstar la definizione plastica di “evoluzione”. Il protagonista di Grand Theft Auto: Vice City è infatti un passo avanti a tutto quello che c’è stato prima, nonché tra i primi personaggi Rockstar con un background definito e soprattutto con delle motivazioni autentiche per portare avanti la sua scalata malavitosa. Una storia che ha poi dettato i canoni di buona parte dei protagonisti “in stile Rockstar”: origini basse o disagiate, vite di espedienti, problematiche o devianze adolescenziali, fino al crimine come unico mezzo di emancipazione. Tommy in questo senso aveva iniziato molto “meglio” di altri, nel suo essere figlio di un tipografo e con il sogno stroncato di una vita onesta.

Tony Vercetti o Tommy Montana

Ma più che degli anni Ottanta, in sé Grand Theft Auto: Vice City è un tributo a quei film e quella cinematografia di genere che proprio in quel decennio si occupò di sdoganare una serie di temi e idee che fino a quel momento erano stati per somma parte dei tabù. Il tributo più evidente (nonché il più palese) è quello a Scarface, il film del 1983 diretto da Brian De Palma con Al Pacino, un altro racconto di scalata nel mondo criminale a cui segue un’altrettanto repentina caduta.

Fin dalla sua distribuzione nel 1983, la pellicola di De Palma ha raggiunto lo status di cult, e l’opera Rockstar è solo l’ultima delle testimonianze della sua grandezza.  Persino I Simpson l'hanno tributato più volte, e una delle più recenti è la gag del divano LA-Z Rider, che ha come sottofondo il brano Push It to the Limit, canzone presente proprio in Scarface.

Ma Grand Theft Auto Vice City porta il tributo al limite del ricalco, dai dettagli piccoli (uno dei completi di Tommy è lo stesso portato da Tony) a quelli macroscopici, come missioni intere che ricordano le scene del film con Al Pacino.

Altre parodie sono ovviamente i telefilm d’azione dell’inizio del medesimo decennio, e proprio da uno dei più celebri qual è Miami Vice il videogioco Rockstar prende ispirazione per l’ambientazione. In questo senso Vice City è la chiara parodia della Miami di quell’epoca, così come Tommy Vercetti lo è del Tony Montana interpretato da Al Pacino.

Entrambi scalano il mondo criminale delle rispettive città con enorme rapidità, seppure alla fine con esiti diversi. Ma dove Tony è cubano, Tommy ha radici italo-americane, intuizione per legarlo tramite l’incipit della trama a quello che a posteriori sarà definito “universo 3D” della saga di GTA (che oltre a Vice City comprende Grand Theft Auto III, GTA: San Andreas e i due capitoli per PSP Liberty City Stories e Vice City Stories).

Ma oltre a tale intuizione, il fatto che per il protagonista sia stato scelto proprio il nome Tommy potrebbe essere un tributo non troppo velato a Quei bravi ragazzi, il film del 1990 diretto da Martin Scorsese e che ugualmente raccontava la spirale del crimine. Forse non è un caso che tra gli attori proprio del Goodfellas scorsesiano ci sia anche Ray Liotta, che in Vice City da la voce proprio a Vercetti.

La Città del Vizio e il salvacondotto dell’immortalità

Seppure un buon protagonista sia essenziale per la riuscita di una narrazione, basta veramente poco per rendersi conto di quanto in realtà la vera protagonista di Grand Theft Auto: Vice City non sia l’ascesa di Tommy Vercetti, ma l’ambientazione stessa. La Città del Vizio vanta un livello di somiglianza ancora oggi notevole con la Miami reale: la forma stessa della città, a parte la sua natura di insulare, è praticamente identica alla città reale della Florida, che appunto negli anni Ottanta si ritagliò la nomea di caldo luogo goliardico ed edonista. Un’atmosfera talmente ben ricreata che le ha di fatto conquistato il salvacondotto dell’immortalità videoludica.

E già a partire da questo capitolo di GTA iniziavano ad affacciarsi le ciniche parodie del mondo reale, “disciplina” che poi avrebbe assunto l’apoteosi con Grand Theft Auto: San Andreas. Più che i (soliti) doppi sensi su nomi e brand fittizi, forse la più graffiante di tutte è come l’aeroporto di Vice City si chiami Escobar International Airport, come uno dei più grandi narcotrafficanti di quegli anni Pablo Escobar; nonché del fatto che proprio negli anni 1980 le sostanze stupefacenti avevano contribuito alla nascita di enormi giri criminali.

Nella realtà l’Aeroporto Internazionale di Miami è intitolato a James Mark Wilcox, deputato che nel 1934 salvò dalla bancarotta West Palm Beach, tra le città principali dell’area metropolitana di Miami.

Grand Theft Auto: Vice City, la malattia dell’epoca idealizzata

Grand Theft Auto: Vice City è quindi già di suo tra le prime rappresentazioni nazional-popolari di una società occidentale che Rockstar, oggi come ieri, vede come malata. Una rappresentazione che per la prima volta si intinge di ironia ed esagerazione, unico modo per riuscire a raccontare e sopportare certi eventi, personaggi e situazioni. Allo stesso tempo però Vice City ammette in maniera ancora piuttosto candida un fattore importante della propria natura: Vice City come “stanza della rabbia”.

Una realizzazione molto basica, in cui al giocatore è permesso fare quello che più gli aggrada e soprattutto è libero anche di ignorare completamente la trama principale per approfittare di un’esplorazione fin dall’inizio quasi del tutto libera, e soprattutto dove ogni attività non è solo fine a sé stessa.

Che sia improvvisarsi tassisti e vigilante fino alla consegna delle pizze tramite apposito motorino, tutto ha un senso e una sanzione (ricompensa) all’interno del sistema interno del gioco. Una vocazione che è riuscita ad arrivare intatta fino a oggi, sopravanzando un contesto e un game design che molti potranno trovare come grezzo e a volte anche troppo “punitivo” nella decurtazione di equipaggiamenti e risorse monetarie.

L’italoamericano contro il gangsta

Ritorniamo per un momento alla natura di Tommy Vercetti per un breve confronto conclusivo. Il protagonista di Grand Theft Auto Vice City è appunto un personaggio mediamente più profondo della media Rockstar di quel periodo, ma allo stesso tempo non dimentica una concezione più “grezza”. Perché al di fuori del suo lato più umano, che passa appunto per Mercedes e per i ricordi che si lascia sfuggire sul padre tipografo, Tommy è comunque un killer professionista che non si fa rimorsi.

Pure se la storia principale è scritta in modo tale che non sia necessario toccare gli innocenti, Tommy quindi rimane un individuo pericoloso, potenzialmente un “mostro” con il quale fare a pezzi la città.

In questo senso in lui sopravvive la necessità narrativa di colmare una primitiva percezione di dissonanza ludo-narrativa, oggi grezza ma accademicamente molto avanti per essere il 2002.

A questo punto però viene spontaneo paragonarlo all’altro suo contemporaneo, ovvero Carl “CJ” Johnson. Il protagonista di Grand Theft Auto: San Andreas è stato infatti più volte additato come un altro passaggio importante nella raffinazione narrativa di Rockstar Games.

Questo perché CJ non solo è un personaggio profondamente personalizzabile da parte del giocatore (abbigliamento, accessori, capelli, tatuaggi, atleticità) ma è anche tra i personaggi più umani della Rockstar, nonché il primo che sia legittimamente definibile come antieroe.

Tuttavia CJ, rispetto al Tommy di Grand Theft Auto: Vice City, in un certo qual modo “dimentica” la dissonanza. Perché se nella storia principale potremmo persino identificare Carl appunto come una persona che ha fatto il meglio che poteva in una situazione e un contesto a dir poco orripilanti, durante il gameplay è possibile fargli assumere una spietatezza decisamente impropria. Dei due, Tommy in questo senso è meno umano, ma paradossalmente più sfaccettato e coerente.

Conclusione: il sogno ricomposto, ma nel modo sbagliato

Ormai è vicino al compimento dei vent’anni, eppure come tutti i suoi fratelli non riesce ad invecchiare. È oggi palese come Grand Theft Auto Vice City sia qualcosa in più di un “semplice” videogioco o un (oggi grezzo) simulatore di atti illeciti. Con questo videogioco Rockstar Games ha creato un grande e cinico tributo agli anni Ottanta, commovente nella sua cattiveria. Una rievocazione perennemente in bilico tra la satira e il tributo, tra il patinato e il disincantato, la nostalgia e la volontà di dipingere una società grottesca e malata. Un distillato perfetto dell’immaginario collettivo, talmente ben riuscito che è appunto riuscito a far provare nostalgia di quell’epoca anche a coloro che non l’avevano mai vissuta in prima persona.

Ma ciò che ancora distingue Grand Theft Auto: Vice City da tutti gli altri tributi della medesima risma sta in un ulteriore messaggio che Rockstar ha voluto riprendere e veicolare dalla pellicola di De Palma. Per vederlo basta andare oltre l’entusiasmo sia dei ricordi di gioventù che del vedere questo GTA come uno “Scarface interattivo”. Tanto nel film quanto nel videogioco, a essere mostrato è come chiunque, anche l’ultimo degli ultimi e degli ignoranti, può arrivare sulla cima. Un parallelismo inquietante, ma se si guarda bene altro non è che il mito del sogno americano. E forse è proprio questa la cosa peggiore.

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