«Non essere dispiaciuto, fa' di meglio»: come nasce il God of War più accessibile di sempre

God of War: Ragnarok sa di essere l'erede di un GOTY amatissimo: ma come si gestisce questa pressione? Qual è la cosa da tenere a mente per godersi al massimo il gioco e perché questo sarà un titolo che accoglierà davvero tutti i giocatori? Ne abbiamo parlato con Mila Pavlin, di Sony Santa Monica.

Immagine di «Non essere dispiaciuto, fa' di meglio»: come nasce il God of War più accessibile di sempre
Avatar

a cura di Stefania Sperandio

Editor-in-chief

I videogiochi hanno un impatto sulla nostra quotidianità, sulla vita da questa parte dello schermo, più potente di quanto si potrebbe pensare. È da qualche giorno che non riesco a non pensarci. Da quando, precisamente, ho avuto la possibilità di sedermi a un tavolo virtuale messo in piedi da Sony per chiacchierare con Mila Pavlin, lead UX designer di Sony Santa Monica, che ha messo la firma sull'imminente God of War: Ragnarok.

Pensiamo spesso al fatto che un videogioco ci offra divertimento, ci offra coinvolgimento, escapismo, ma a volte ci dimentichiamo del suo renderci parte di qualcosa. Il suo essere un fenomeno globale che porta alla condivisione, a confronti che partono dall'esperienza ludica e fanno interagire e incontrare persone che fanno parte della community e arrivano da ogni parte del pianeta – individui che penserebbero di non avere niente in comune o niente di cui parlare, ma che hanno vissuto esperienze ed emozioni, nelle loro avventure videoludiche, che li rendono vicini.

Il gioco diventa così un terreno condiviso, un ponte tra persone vicinissime ma spesso lontanissime – e, grazie alla sempre maggior attenzione in questo senso, è uno in cui nessuno deve sentirsi escluso.

È, anzi, uno dove ogni difficoltà della vita reale può essere messa in secondo piano, se davvero tutti possono giocare. È questa la missione che Pavlin ha dato al suo lavoro ed è per questo che non riesco a smettere di pensarci: i videogiochi hanno un grande impatto sulla nostra quotidianità. E ne sono sempre più consapevoli.

Un Kratos per tutti

Come UX lead designer, Pavlin si occupa di strutturare e definire la user-experience di God of War: Ragnarok: significa che la godibilità dell'esperienza del giocatore, e soprattutto la sua accessibilità, erano nelle sue mani e in quelle dei suoi collaboratori.

Quando ne parliamo, mi spiega con orgoglio che Ragnarok è di fatto «il God of War più accessibile di sempre»e questo traguardo non è stato raggiunto schioccando le dita. Il gioco include una valanga di impostazioni che permettono di scalarne diversi aspetti, di avere assistenza, di rendere l'esperienza più scorrevole e immediata in decine e decine di modi.

Lo scopo chiave era uno: fare in modo che tutti potessero seguire Kratos nel suo nuovo viaggio.

«Parliamo di quasi 70 feature per l’accessibilità, che permettono al giocatore di personalizzare l’esperienza di gioco» mi ha spiegato Pavlin. «Si va dalle opzioni che ti permettono di rimappare i controlli alla raccolta automatica degli oggetti che sono per terra, fino a una traversata più scorrevole. Abbiamo anche voluto fornire l’accessibilità attraverso l’audio descrizione – e abbiamo anche indicatori che ti fanno capire la direzione dei suoni. Se, ad esempio, stai cercando un indizio su qualcosa, potresti sfruttarli».

Ma Ragnarok non si ferma solo a questo: «abbiamo anche l’assistenza alla navigazione degli scenari, che permette di spostarsi se i giocatori hanno una bassa vista. In questo modo, anche chi non riesce a vedere al meglio il mondo può comunque viverlo così come era stato immaginato. Abbiamo anche la modalità ad alto contrasto e abbiamo i testi grandi, in modo che le persone possano leggere bene anche dal divano».

A questo si somma anche un tutorial che è stato pensato per accogliere anche coloro che magari non si sono mai avvicinati a God of War prima.

«Penso che abbiamo davvero tantissime opzioni, mi servirebbero ore per elencarle tutte! Credo che queste siano alcuni degli highlight, le abbiamo pensate per fare in modo che più persone possibili potessero giocare il God of War più accessibile di sempre».

Immaginare, per chi non è addetto ai lavori, come si possano mettere insieme tante opzioni pensate per includere più giocatori possibili, con difficoltà, disabilità e necessità differenti, è complicato. E realizzare alcune di esse non è stato facile nemmeno per Santa Monica:

«Penso che la più complicata sia stata creare l’assistenza alla navigazione. È qualcosa che sognavamo di far fin all’inizio, immaginavamo come aiutare nell’esplorazione chi ha una bassa vista.

The Last of Us - Parte II portava delle innovazioni in questo senso, se vedi come in quel gioco hanno guidato i giocatori con la bassa vista. Abbiamo preso questo obiettivo come una sfida, ci siamo detti ‘come possiamo fare in modo che trovino la loro strada usando solo questa navigazione?’».

Il risultato, nonostante gli sforzi che ha richiesto, ha reso felice prima di tutto il team: «se ti senti perso, ti basta premere quel pulsante e ti indicherà la direzione giusta. Penso che tutti i giocatori lo apprezzeranno e volevamo assicurarci che il nostro gioco fosse davvero accessibile per tutti i giocatori che sono là fuori».

Se volete approfondire ulteriormente alcune delle opzioni per l'accessibilità che sono incluse in God of War: Ragnarok, vi ricordiamo che potete trovare un post su PlayStation Blog Ufficiale a esse interamente dedicato.

Per arrivare su PS5, Kratos è passato da... PC

Dal momento che Ragnarok sarà il primo God of War sviluppato tenendo a mente PlayStation 5, la domanda mi sorge spontanea: chiedo a Pavlin se la possibilità di lavorare sulla console di nuova generazione abbia reso in qualche modo più facile – o solo diverso – il suo lavoro di UX designer.

«Penso che PS5 metta sul tavolo questo ricco audio 3D nell’esperienza di gioco, è una cosa che la migliora anche più che in passato» mi risponde subito lei, senza doverci nemmeno pensare. «Quando pensiamo a come i giocatori vivono ed esperiscono questo mondo, l’audio in tre dimensioni li aiuta davvero tanto a capire il mondo che hanno attorno».

Mi sembra un ragionamento molto sensato: una maggior spazialità del suono fornisce informazioni preziose per la comprensione del mondo di gioco. Ma all'udito si può aggiungere anche il tatto, che ha a sua volta un ruolo fondamentale nell'aiutare a esperire Ragnarok, venendo in soccorso anche agli altri sensi:

«E a questo somma che il Dualsense ha un feedback aptico fantastico: quando siamo in grado di traslare informazioni in un’esperienza tattile, i giocatori possono sentire. Diamo un livello di comprensione aggiuntivo, che può dare loro l’abilità di affrontare un puzzle in un modo che potrebbe aiutarli a superare quella che altrimenti sarebbe stata una difficoltà».

Pavlin mi spiega che, in ogni caso, all'infuori delle feature uniche di PS5 – come l'audio 3D e il feedback aptico, appunto – tutte le altre opzioni per l'accessibilità sono presenti anche su PS4. E «ne siamo molto orgogliosi», sottolinea.

Santa Monica aveva già dimostrato grande attenzione per l'offrire un'esperienza accogliente quando aveva portato God of War su PC. Proprio quella release è stata di enorme aiuto per i lavori su Ragnarok, soprattutto quando il team ha dovuto confrontarsi con la possibilità di fare rimappare tutti i controlli sulla tastiera.

«Dalla versione PC abbiamo imparato sicuramente a gestire la possibilità di rimappare i controlli. Ci ha fatto fare un grande balzo in Ragnarok, perché volevamo essere sicuri di poter far personalizzare completamente il controller» mi racconta la lead UX designer. «Nella versione di God of War (2018) uscita su PC, creare la possibilità di rimappare su tastiera è stato molto complicato, ma è un processo da cui abbiamo imparato davvero tanto. Abbiamo creato, così, uno schema di controlli del tutto personalizzabile».

E quei frutti, in Ragnarok, si vedranno molto da vicino:

«Puoi mappare tutti i pulsanti come più ti piace, compresi anche tre slot personalizzabili dove puoi salvare come dei profili differenti: in questo modo, puoi cambiare di tanto in tanto il tuo modo di giocare. È un tipo di personalizzazione che richiede davvero tanto lavoro, fin dall’inizio, affinché tu possa assicurarti di avere questa possibilità lungo tutto il gioco».

Il consiglio chiave per godersi God of War: Ragnarok

Considerando il lavoro svolto da Pavlin per assicurare la miglior user experience possibile in God of War: Ragnarok, mi viene spontaneo chiederle quale sia il suo consiglio principe, quello che i giocatori devono tenere a mente, per godersi davvero quello che il gioco ha da offrire.

«Penso che tutti i giocatori siano diversi, tutti hanno esperienze diverse. Non abbiate paura di provare cose nuove!» mi risponde, con la calma di chi ha decine, decine e decine di playtest alle spalle.

La vostra curiosità, insomma, potrebbe premiarvi:

«Abbiamo preso molte delle funzioni di accessibilità, che inizialmente erano parte del solo menù dedicato all’accessibilità, e le abbiamo traslate in feature per tutti i giocatori. Quando guardi delle feature come l’assistenza per la traversata, o la raccolta automatica degli oggetti, trovi giocatori che le apprezzano semplicemente per quello che offrono, perché trovano che rendano la loro esperienza fluida e divertente».

È un discorso particolarmente sensato: a volte, giocatori che non pensano di aver bisogno di feature di accessibilità potrebbero non andare a curiosare le diverse opzioni nel menù preposto. Mi viene in mente che un ragionamento simile è stato fatto, di recente, anche da Guerrilla Games in Horizon: Forbidden West, con alcune opzioni del menù dell'accessibilità che erano disponibili anche in altre schermate, in modo da incuriosire tutti i giocatori e portarli a sperimentare, scalando l'esperienza nel modo a loro più congeniale.

Pavlin mi regala anche altri dettagli:

«Quando pensi a un gioco, le feature non sono mai per un singolo tipo di persona: sono ampie e tutti possono sbizzarrircisi. Quindi voglio dire ai giocatori di divertirsi – provatele, frugate le impostazioni di gioco, trovate quello che funziona per voi.

Penso che più proverete, più troverete cose che vi piaceranno. Ho trovato io stessa delle cose che non pensavo mi sarebbero piaciute e che invece ora uso sempre, perché le adoro».

Ma come si fa a creare un seguito per un GOTY?

Ragnarok arriva con sulle spalle un grosso peso: quello di essere l'erede del Gioco dell'Anno 2018. Il precedente God of War, infatti, conquistò la palma più ambita ai The Game Awards, superando anche la concorrenza dell'agguerritissimo Red Dead Redemption 2. Il viaggio di Kratos e Atreus valse anche la palma di miglior direction a Cory Barlog.

Le aspettative per Ragnarok, insomma, sono fuori scala. E dal momento che mi piace analizzare i videogiochi partendo dal loro lato umano, mi domando come Sony Santa Monica – e Pavlin, in questo caso – abbia vissuto la sua quotidianità per gestire tutto l'amore e le pressioni che arrivano con una fanbase così grande ma così esigente, come quella di God of War.

«Hai detto una cosa sensata» mi risponde subito lei, «ci siamo tuffati nello sviluppo di questo gioco sapendo che abbiamo una enorme fanbase e che dobbiamo essere certi di dare una conclusione epica».

E raggiungere questi obiettivi non è stato facile. A venire in soccorso e fare da motivatore è stato, sorprendentemente, proprio Kratos:

«Questa storia deve essere grande, deve essere sulla fiducia, sul fatto che i giocatori abbiano la possibilità di compiere la loro scelta definitiva. Allora, ci siamo appesi sul muro questo: 'non dispiacerti, fa' di meglio'. Ogni giorno lo guardavamo e ci dicevamo ‘come possiamo renderlo migliore?’».

E la massima di Kratos, che ricorderete dall'introduzione del gioco originale in una conversazione con Atreus, è stata una vera e propria bussola per il team di sviluppo.

«Per me è stato davvero un concetto guida, soprattutto in termini di accessibilità, perché... insomma, avevamo il GOTY che ci fissava aggiunge Pavlin. «Avevamo bisogno di migliorare in termini di accessibilità, di assicurarci che più giocatori potessero goderselo. Non si trattava solo di ‘possiamo renderlo epico? Possiamo renderlo divertente? Possiamo renderlo enorme?’, si trattava anche di ‘possiamo renderlo più accessibile?'».

Quella missione ha aiutato Pavlin di giorno in giorno, per affrontare i problemi che si palesavano via via che lo sviluppo andava avanti. E il suo scopo era anche accogliere chi si avvicinerà a God of War solo ora, e che dell'asticella messa davvero in alto dal gioco precedente ancora non sa nulla.

«Volevamo assicurarci che potessero capire cosa era successo prima, dovevamo portargli davanti anche quella storia ed essere certi che anche loro avessero tutto ciò di cui necessitavano per potersi godere questi contenuti nel miglior modo possibile». E, anche per riuscire in questo compito tutt'altro che scontato, la filosofia era la stessa: «non dispiacerti, fa' di meglio».

I veri supereroi dei videogiochi

Ricordiamoci che, se quel grande terreno comune chiamato "videogioco" esiste, è perché ci sono gli sviluppatori che lo rendono possibile. Ogni volta che affronto un'intervista, soprattutto se l'intervistato è un nome che il grande pubblico potrebbe non avere mai sentito, mi piace cercare di fargli tirare fuori qualcosa che racconti la sua quotidianità.

È per questo che finiamo a parlare di quante siano le persone che rendono possibile la realizzazione di un titolo, di quanti siano i diversi aspetti di cui prendersi cura. A volte, gli appassionati trovano familiari i nomi e i volti delle grandi firme dietro un videogioco, ma dietro di loro ci sono tante altre persone che si occupano degli aspetti più diversi.

Quando le dico che per me ogni videogioco è "un piccolo miracolo", per la quantità di persone e aspetti che devono allinearsi per dargli vita, Pavlin annuisce. «Hai parlato di 'piccolo miracolo': ogni gioco è un miracolo. Il tempo, lo sforzo, le persone che si impegnano per creare un gioco così fantastico: sono cose incommensurabili. Quando vediamo i fan che si godono quei contenuti, beh, è quello che ci spinge a farlo».

E, anche se non tutti i professionisti che creano un'opera sono sotto i riflettori, il loro lavoro lo è:

«Ci sono centinaia di persone che lavorano a un gioco, il mondo a volte non potrebbe mai vedere il loro contributo individuale, ma lo sentirà.

Ogni volta che premi quel bottone, che hai personalizzato i tuoi controlli, c’è qualcuno dietro che ci ha lavorato, qualcuno ha progettato quel dettaglio. Penso che sia davvero importante che questo abbia credito, dagli ingegneri ai designer – tutte le persone che lavorano dietro le quinte per assicurarsi che ci si prenda cura di ogni momento, di ogni dettaglio».

In chiusura alla nostra chiacchierata, arrivata a questo punto ho chiesto a Pavlin di raccontarmi ciò che lei ha amato di più realizzare, negli anni di lavoro su God of War: Ragnarok. La finestra che ha aperto ulteriormente su come i videogiochi diventino realtà è ciò che continuava a rimbalzarmi in mente da qualche giorno, perché la sua parte preferita è stata «lavorare con la community per l'accessibilità».

Pavlin è emozionata in modo contagioso, quando mi racconta alcuni dei momenti più forti che ha vissuto, quelli in cui il videogioco fa la differenza:

«Quando abbiamo avuto dei playtest con giocatori che avevano una mano sola, e li abbiamo visti giocare l’intero gioco… o quando ho parlato con dei veterani che magari erano fan della serie originale e che pensavano che non avrebbero mai più potuto giocare – vederli giocare, finire il gioco… è stato davvero entusiasmante. È qualcosa che mi smuove e mi motiva di giorno in giorno, sapere che possiamo fare del bene per le persone».

È qui che torniamo al punto iniziale: i videogiochi sono un medium di inclusione, di condivisione. Di gioia.

Pavlin me lo spiega benissimo:

«Non si tratta solo dell’intrattenimento, si tratta di assicurarsi di includere le persone in questo fenomeno globale. Vedere le persone con tanti percorsi diversi partecipare ai playtest, da tutto il mondo, chiedergli ‘come possiamo rendere quest’esperienza migliore per te?’ e vederli così felici, così entusiasti quando sconfiggono il loro primo boss, quando raggiungono certi punti chiave della storia… quella gioia è qualcosa di inestimabile. Penso che questa cosa mi motiverà per gli anni a venire».

Anche se oggi i videogiochi sono molto più attivi e attenti, nella loro capacità di coinvolgere ogni persona, Pavlin spera che «possiamo crescere come gaming community, per fornire giochi molto più accessibili ovunque, vorrei che tutti fossero accessibili al pubblico più ampio possibile. È questo che mi motiva ogni giorno – e volevo ringraziare tutti i playtester, tutti i consulenti che ci hanno aiutato a rendere questo il God of War più accessibile di sempre».

E con questi obiettivi tenuti a mente da Santa Monica, la prima grande missione di Kratos è già compiuta: nessun nemico provi a intralciare il cammino del dio della guerra, perché a supportarlo, stavolta, potremo esserci davvero tutti e tutte.

God of War: Ragnarok arriverà il 9 novembre su PS5 e PS4, sviluppato da Sony Santa Monica e prodotto da Sony Interactive Entertainment. Su SpazioGames.it potete trovare le prime impressioni del nostro Domenico Musicò, in attesa della recensione definitiva del gioco.