Addio Ethan Hunt: cosa resta di un’icona d’azione?

Con Mission: Impossible – The Final Reckoning, Ethan Hunt saluta il pubblico dopo quasi trent’anni, lasciando dietro di sé un vuoto difficile da colmare.

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a cura di Nicholas Massa

Redattore Cultura POP

Con Mission: Impossible - The Final Reckoning, cala il sipario su una delle saghe cinematografiche più longeve, sorprendenti, memorabili e citate della nostra contemporaneità e della storia del cinema, action e oltre. Questa conclusione mette davanti agli appassionati un addio al franchise, ma soprattutto al volto, al corpo, alla corsa iconica e allo sguardo sempre proiettato alla prossima mossa di Ethan Hunt

Un personaggio che, nato nel 1996 come costola della celebre serie televisiva anni Sessanta, è divenuto in quasi trent’anni un simbolo dell’eroismo moderno: sempre e comunque umano ma allo stesso tempo instancabile, solitario ma legato indissolubilmente e costantemente a chi ha scelto di chiamare "squadra", alle persone con cui collabora e con cui, nel tempo, ha instaurato un rapporto che non ha bisogno di esplicazioni.

E allora, mentre scorrono i titoli di coda di Mission: Impossible - The Final Reckoning, viene naturale chiedersi cosa resta davvero di Ethan Hunt? Del volto, della maschera e dell’icona narrativa. Cosa ci lascia in eredità un uomo che ha salvato il mondo almeno sette volte e lo ha fatto senza l’ausilio di superpoteri e senza armature?

Il tutto soltanto con la fede assoluta nella possibilità di fare la cosa giusta, qualunque sia il costo. Il sacrificio per un fine e significato più grandi e nell’ombra, decanta l’ultimo film diretto da Christopher McQuarrie e disponibile nei cinema italiani dal 22 maggio 2025. Lo scegliere sempre il bene e il giusto, in un mondo che da peso alle azioni: passate, presenti e future.

Il volto stesso dell’impossibile

Ethan Hunt è Tom Cruise e Tom Cruise è Ethan Hunt, c’è poco da fare e da distinguere in realtà. Questa simbiosi, costruita con ostinazione e coerenza in un arco temporale inaspettatamente longevo sul grande schermo, è riuscita a tramutare l’attore in qualcosa che va oltre il semplice concetto di star: in una figura iconica della Hollywood passata e contemporanea

Un risultato del genere si è costruito mano a mano non tanto per le imprese fuori e dentro al set - le acrobazie folli, sopra le righe e soprattutto reali - ma per la dedizione totale e totalizzante a un personaggio di natura quasi associativa in questo senso, difficile da distinguere dal suo stesso interprete a tratti.

Come se ogni film della saga, compreso pure l’ultimo Mission: Impossible - The Final Reckoning, non fossero altro che una lettera e un invito diretto al pubblico e, contemporaneamente, una sfida personale e  di confronto con il tempo che scorre inesorabile.

Perché se è vero che l’azione è stata l’anima visiva del franchise, nonché suo marchio distintivo in termini di pericolosità e stile,  è altrettanto vero che Ethan Hunt è invecchiato insieme a tutti noi, insieme a coloro che seguono le sue gesta fin da quel lontanissimo primo capitolo uscito al cinema nel 1996.

Ed è proprio partendo da un attaccamento del genere e a una umanizzazione progressiva, anche sottile - fisica, emotiva, narrativa - che il personaggio ha smesso di essere uno stereotipo narrativo e ha iniziato a raccontare qualcosa di più profondo.

Non a caso Hunt, durante tutto il suo percorso, si trova a fare i conti sempre con dinamiche emotive complesse quali: la solitudine dell’eroe, il rimorso, l’ossessione per la salvezza altrui come unica forma di redenzione possibile o ipotetica.

Un uomo e il suo team

Sin dal primo film diretto da Brian De Palma, Hunt si è posto quale vero e proprio paradosso indecifrabile: un protagonista ribelle e capace di disobbedire quando necessario, ma comunque ossessionato dalla responsabilità e capace di affidarsi, di creare legami, di sacrificarsi per chi considera famiglia o amore. 

Lo vediamo prendere sempre decisioni difficili fino a Mission: Impossible - The Final Reckoning, e scegliere la strada più difficile da spiegare, mettendo davanti a tutto una morale personale che non tarda mai a premiarlo, anche laddove si trova in perdita.

Dalla fedeltà silenziosa di un personaggio storico come quello di Luther Stickell (Ving Rhames), alla sagacia tecnica, ironica e leggera di Benji Dunn (Simon Pegg), fino alla complessità di tanti altri volti che vorticano nell’universo di ombre di Ethan. La saga ha portato alla luce un ecosistema in cui è proprio l’umanità di fondo, con le proprie incoerenze e ipocrisie, ad arricchire il racconto. Non c’è mai stato un Hunt senza squadra

Per quanto solitario fosse il cammino, la forza di questo instancabile protagonista si è sempre misurata col legame con gli altri - e con la paura di perderli per sempre. La perdita è un elemento costante nella saga di Mission: Impossible.

Non è un caso che i momenti più toccanti della saga fino a Mission: Impossible - The Final Reckoning siano proprio quelli in cui il silenzio prende il posto dell’esplosione, anticipando e premendo sulla fragilità e sul filo sottile sul quale tutto si muove.

Che si tratti di uno sguardo prima della tempesta, di una stretta di mano dopo una corsa disperata, tutto si muove insieme e di pari passo al peso di una perdita che non può essere evitata, dalla quale è impossibile distrarsi e far cadere nell’oblio.

Eredità di un’icona

Ora che Mission: Impossible - The Final Reckoning ha chiuso il cerchio, risulta naturale l’interrogarsi su cosa resterà davvero del caro Ethan Hunt. In un’epoca di franchise infiniti e personaggi che sembrano rinascere a ogni reboot, Hunt ha segnato un percorso che potrebbe tranquillamente non trovare mai e definitivamente una fine, un punto, proprio per via della sua versatilità e della voglia di fare dello stesso Cruise.

Ha rappresentato un'idea di cinema in cui l’azione era al servizio del racconto con modelli forse ad oggi anche desueti. Un cinema fatto di carne e sangue, dove il rischio non era solo una coreografia, ma un'esperienza condivisa tra attore e spettatore.

Con questa conclusione, il saluto a Ethan Hunt ci lascia addosso il vuoto tipico delle grandi assenze. Per aver creduto, ogni volta, che valesse la pena rischiare tutto pur di salvare anche una sola vita. Per averci ricordato che, in un mondo pieno di cinismo e compromessi, c’è ancora spazio per l’eroismo folle e sregolato.

Forse non sapremo mai davvero chi fosse realmente Ethan Hunt. E forse è giusto che sia così. È stato un volto dietro mille maschere, un’ombra che ha corso tra palazzi e tramonti, un uomo che ha sempre messo gli altri davanti a sé in qualche modo, sacrificando il suo. Ma una cosa è certa: ha lasciato un’impronta che non si cancella. Non solo nei manuali del cinema d’azione, ma nei cuori dei fan. Addio, Ethan. Missione compiuta. 

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