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La stregoneria di Aggie e il tema del perdono in ParaNorman

In ParaNorman, la storia della strega Aggie trasforma l’orrore in compassione: un racconto sul perdono come unico antidoto alla paura.

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Avatar di Valentina Valzania

a cura di Valentina Valzania

Editor/Social Media Manager

Pubblicato il 17/10/2025 alle 09:00

Quando ParaNorman uscì nel 2012, molti lo lessero come un film per ragazzi dal tono cupo e gotico. Ma sotto la superficie di fantasmi, zombie e cittadine maledette, Laika raccontava qualcosa di molto più profondo: un film sulla paura e sul perdono, due forze opposte che convivono dentro di noi. Al centro di questa tensione c’è Aggie Prenderghast, la cosiddetta “strega” — una bambina condannata secoli prima per il semplice fatto di essere diversa.

La sua storia non è un racconto di vendetta: è una parabola sul dolore che nasce quando l’ingiustizia non trova pace, e su come l’empatia possa rompere il ciclo della paura. In ParaNorman, il male non viene sconfitto con la forza, ma con la comprensione. Ed è proprio questa scelta narrativa, silenziosa ma radicale, a rendere il film uno dei racconti più umani mai realizzati in stop-motion.

ParaNorman tornerà in sala, distribuito in esclusiva in Italia da Nexo Studios, in una nuova versione rimasterizzata, sia in 2D che in 3D, accompagnato da un inedito cortometraggio animato in CGI. L’appuntamento è fissato per un evento speciale dal 23 al 26 ottobre.
Cultura POP è media partner dell'evento. L’elenco delle sale e prevendite sono disponibili su nexostudios.it. 

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Aggie: la paura trasformata in leggenda

Aggie non è un mostro, ma una bambina spaventata. È il simbolo di come le società — e le persone — reagiscano con violenza a ciò che non comprendono. Nella storia, i cittadini di Blithe Hollow la condannarono come “strega” solo perché poteva vedere i fantasmi, lo stesso dono che, secoli dopo, erediterà Norman.

La paura degli altri diventa il motore dell’orrore. La folla che grida al rogo è la stessa folla che, generazioni dopo, ancora crede nella leggenda della strega malvagia. Laika ci mostra così come la paura, una volta tramandata, si solidifichi in tradizione, in superstizione, in cultura. Non servono incantesimi per creare un mostro: basta il pregiudizio.

Aggie non riesce a lasciare il mondo dei vivi non perché sia malvagia, ma perché il dolore dell’ingiustizia la imprigiona. È un dolore che si trasforma in tempesta, in distruzione, in vendetta. Ma dietro la furia dell’energia sovrannaturale, c’è una bambina che piange ancora nel buio. Ed è in quel momento che ParaNorman ci costringe a guardare oltre l’apparenza: la strega che spaventa tutti è solo una bambina che non è mai stata ascoltata.

Il dono di Norman: comprendere invece di combattere

Norman, il protagonista, condivide con Aggie la capacità di vedere ciò che gli altri non vogliono vedere: i morti, i segreti, le verità sepolte. All’inizio del film, è un dono che lo isola, lo marchia come “strano”. Ma proprio quella diversità diventa la chiave per comprendere Aggie.

Nella scena più potente del film, Norman non la affronta come un eroe che sconfigge il male, ma come un bambino che parla a un altro bambino. Si siede accanto a lei, le racconta di come si sente solo, spaventato, arrabbiato. Le dice che capisce il suo dolore. E quella comprensione — semplice, sincera, umana — è sufficiente a dissolvere secoli di rabbia.

ParaNorman rovescia così la struttura tipica del film d’orrore: il conflitto finale non è una battaglia, ma un atto di empatia. La stregoneria di Aggie non viene spezzata con un incantesimo, ma con il coraggio di perdonare.
Il film ci ricorda che la paura non si sconfigge con la forza, ma riconoscendola, chiamandola per nome e accettando che esiste anche dentro di noi.

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Il perdono come atto rivoluzionario

Il finale di ParaNorman è, in fondo, una dichiarazione etica. In un genere in cui il “diverso” viene di solito eliminato o redento, Laika sceglie la comprensione come gesto rivoluzionario. Norman non cambia il passato, ma lo trasforma: interrompe la catena dell’odio non perché dimentichi, ma perché sceglie di non perpetuarlo.

Il perdono, qui, non è un atto di bontà ingenua: è una presa di potere. È la decisione di non lasciarsi definire dal dolore. Aggie trova finalmente la pace perché qualcuno la vede per ciò che era — una bambina — e non per ciò che la paura aveva fatto di lei.

Nel farlo, il film parla anche a noi spettatori: ci invita a riflettere su come spesso etichettiamo, giudichiamo, escludiamo chi è diverso, credendo di difenderci, mentre in realtà stiamo solo proiettando le nostre stesse paure.

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La vera magia, qual è?

ParaNorman non è una storia di spettri, ma una storia di memoria. Perché alla fine l magia più potente non è quella della stregoneria, ma quella del ricordare, riconoscere e perdonare. Aggie e Norman rappresentano due estremi della stessa esperienza: la paura di essere diversi e la forza di accettarlo.

Nel loro incontro finale, Laika ci offre un messaggio profondamente umano: la compassione è più forte della rabbia, e il perdono non cancella il dolore — lo trasforma in qualcosa di più grande. È in quel momento, quando la luce si spegne e la tempesta si placa, che ParaNorman diventa poesia: una fiaba sull’empatia, raccontata con l’anima di chi sa che i veri mostri non sono i fantasmi… ma la nostra incapacità di comprenderli.

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