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Vite in Gioco

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Avatar di Phoenix

a cura di Phoenix

Pubblicato il 03/08/2014 alle 00:00

Questa settimana, con la rubrica Vite in Gioco, guardiamo alle nostre spalle, e con un salto nel passato andiamo a dipingere il ritratto di un personaggio realmente esistito; un personaggio che esce fortemente trasfigurato attraverso la sua incarnazione videoludica. Ottaviano, infatti, è uno dei protagonisti del videogioco Shadow of Rome, sviluppato da Capcom e uscito nel lontano 2005 su PlayStation 2; attorno alla sua indagine si dipana l’intera storia vissuta dal videogiocatore, una storia di intrighi e menzogne, che lascia la possibilità di una riflessione sull’intera storia di Roma, sulla crisi della Repubblica e, a conti fatti, sulla reale natura del potere.
Va detto, tuttavia, che gli sviluppatori giocano eccessivamente con la storia, creando situazioni del tutto anacronistiche e surreali; pertanto, le vicende di Shadow of Rome non possono assolutamente essere prese come un’interpretazione di fatti reali, bensì come una immaginaria ricostruzione videoludica dello scenario politico, caotico e debole, che ha condotto il nostro protagonista a diventare quel princeps senatus di cui ci narra la storia, una figura rivestita di un potere straordinario, ma formalmente ancora inscritta nelle antiche istituzioni, protagoniste assolute della grandezza della Repubblica.
Pertanto, la grandezza dell’opera Capcom non risiede nella fedeltà della sua riproduzione, ma nell’assoluta originalità con la quale riesce a portare alla luce i problemi che hanno caratterizzato un momento cruciale della nostra storia, enfatizzandoli e lasciando che, da questi stessi problemi, ne nascesse una nuova figura, Ottaviano, irreale ma, nello stesso tempo, perfetto catalizzatore di una situazione storica precisa e degna di riflessioni.
Così, all’interno di Shadow of Rome, Ottaviano diviene un giovane ragazzo in cerca della verità sulla morte di Cesare, una verità che resta palesemente al centro di un intrigo, una verità che assume costantemente i contorni di una menzogna che, va detto, nasce da problemi profondi, etici, sociali e soprattutto politici, poiché la figura del Principe, dell’Augusto, scaturisce, tanto nella realtà quanto nella finzione videoludica, da un compromesso politico e da una debolezza sociale. Lo stesso Ottaviano, e soprattutto la morte di Cesare rappresentano, assieme, la verità di un fallimento profondo. L’antica Repubblica, ormai, non può più esistere, l’aristocrazia senatoria non è stata in grado di farsi carico dei bisogni sociali di un impero incredibilmente eterogeneo e ricco di culture diverse; da questo momento in avanti, la storia di Roma non sarà nient’altro che la storia dei suoi imperatori.
La città eterna
Shadow of Rome incrocia le storie di due personaggi essenzialmente diversi, Ottaviano e Agrippa, un soldato deciso a salvare il padre dall’accusa di aver ucciso Cesare. Il videogiocatore, pertanto, ha la capacità di osservare la storia da due punti di vista diversi; egli vede la stessa tenacia, la stessa decisione in entrambi questi personaggi, ma mentre uno è impegnato a combattere il sistema, l’altro, imprescindibilmente, è costretto dare una forma alla realtà, a scoprire la verità, a mettere ordine all’interno della menzogna. Così, il titolo Capcom ridisegna i contorni dell’ascesa al potere di Ottaviano, presentandolo come un giovane combattivo, forte nel suo desiderio di verità, impegnato in una lotta contro i demoni della repubblica e contro i nuovi poteri nati all’ombra di Cesare. Una lotta che ridisegna completamente questa figura, così come l’intero contesto attorno ad essa. Shadow of Rome, bisogna dirlo, paga i suoi errori storici, quasi grossolani, che non possono non essere estremamente evidenti, soprattutto a noi italiani, eppure, quasi inconsapevolmente, il titolo Capcom riesce a portare alla luce una trama intrigante, con qualche spunto di riflessione tutt’altro che banale.
Dinanzi al giocatore, infatti, si apre quell’eterna battaglia tra verità e finzione, tra realtà e apparenza, tra luce e ombra, una battaglia che, come mostrato dalle vicende dei due protagonisti, si realizza e prende forma in contesti diversi, in teatri fra loro estremamente eterogenei. Così, la città eterna, la Roma delle grandi conquiste dell’antichità, diventa l’ambiente perfetto per riprodurre una lotta altrettanto eterna, insoluta e, a tratti, persino non completamente chiarita; eppure, nel contesto della grande storia del mondo, non esiste una battaglia più importante di quella combattuta, eternamente, in nome della verità.
Il personaggio che abbiamo dinanzi, Ottaviano, combatte questa battaglia per la verità con i soli mezzi che ha a sua disposizione; egli si trova coinvolto in un intrigo che non è altro che la manifestazione del malessere dell’intera Repubblica, una situazione che, come al solito, diviene terreno fertile per la nascita di menzogne e paradossi, di atrocità e abusi di potere. Allora, il significato della lotta di Ottaviano diviene quello di mettere ordine tra le Ombre di Roma, di dissolverle con l’unico strumento in grado di farlo: la ricerca. Così, il nostro personaggio diviene il portatore di un diverso tipo di arma, dell’arma più importante dell’intero titolo, un’arma che non è, pertanto, né la spada né lo scudo, ma la verità, l’episteme platonica, la conoscenza delle cause e dell’eterna, e apparente, dimora di quelle infide ombre.
Verità e Libertà
Ottaviano, nella sua manifestazione videoludica, è un buon personaggio, in grado di dipingere con estrema chiarezza quella tendenza propriamente umana verso la verità. Un personaggio come quello di Ottaviano, tuttavia, spinge il videogiocatore anche verso una riflessione completamente diversa, che abbraccia, per essenza, storia e pensiero, realtà dei fatti e letteratura, indagine morale e considerazioni culturali. Per Ottaviano e Agrippa scoprire la verità significa, infatti, appropriarsi della libertà; un’identità che lascia spazio a numerose considerazioni scientifiche, storiche, etiche e persino logiche, considerazioni che, con ogni probabilità sono praticamente impossibili da esaurire del tutto. Eppure vale la pena, in questa occasione come in molte altre, fermarsi a riflettere sull’importanza di questa conquista, una conquista che nel mondo in cui viviamo ha quasi perso di senso, e di significato. Shadow of Rome, se guardato da questo punto di vista, diviene un prodotto estremamente permeato dello spirito tipico dell’antichità; già, perché è una conquista moderna quella secondo cui “ogni uomo nasce e resta libero, e di uguali diritti”, mentre per l’uomo antico essere libero significava godere dei frutti della propria lotta, e del proprio lavoro. Agrippa e Ottaviano, come l’uomo antico, combattono per essere realmente liberi, per godere di quella libertà che, per l’uomo moderno, è quasi scontata e priva di reale valore.
La via della verità si trasforma, per queste ragioni, in una via della libertà; una libertà non soltanto logica, come libertà dalla menzogna, ma anche, e soprattutto, libertà storica, concreta, reale. In questo modo, come un cerchio che inesorabilmente è costretto a chiudersi, il videogioco incontra la realtà dalla quale, inizialmente, ha fatto completa astrazione: nell’anno 28 Ottaviano diveniva princeps senatus, la res publica era ormai al suo definitivo collasso, cominciava, a Roma e nella storia del mondo, l’età degli imperatori. La lotta per la libertà avrebbe cambiato il suo volto, i suoi protagonisti, ma non la sua essenza; perchè le Ombre di Roma, a conti fatti, ci accompagnano ancora oggi.

La storia di Roma è una storia complessa, fatta di volti sempre cangianti e problemi ripetutamente nascosti. Eppure, per me, essa resta comunque bellissima, fatta di contorni estremamente interessanti e di problemi assolutamente filosofici. Così, non è stato difficile ricordare, e riordinare, i miei pensieri sulle vicende di Shadow of Rome, talmente irreali da far riflettere in modo assolutamente semplice e autonomo su alcuni significati importanti e profondi.

Shadows of Rome, inconsapevole, propone uno spunto di riflessione sulla sintesi tra conoscenza e libertà, tra verità e possibilità di errore, una sintesi che, a mio parere, trova la sua massima problematizzazione nei testi distopici di Orwell, e, in parte, nella logica analitica di Quine, Popper e Putnam:

“Abbiamo bisogno della libertà per impedire che lo Stato abusi del suo potere e abbiamo bisogno dello Stato per impedire l’abuso della libertà” (K. Popper)

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