In una parola

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a cura di Fatum92

Lo scorrere del tempo è inesorabile. Ciò che vive nel presente, qualunque cosa, dalle persone agli oggetti, è destinato a subire il suo insindacabile e fatale giudizio. Vi sono tuttavia delle eccezioni che, in qualche modo, scampano a questa sorte, raggiungendo uno stato fittizio di immortalità. Figure iconiche, grandi personaggi storici, eventi importanti o semplici opere artistiche che vivranno per sempre nella memoria collettiva. Un privilegio concesso a pochi. Nel suo piccolo, quindi, anche il mondo videoludico può vantare alcune saghe e titoli che hanno segnato un’epoca, elevandosi a uno status superiore, quasi sacro, divino, intoccabile, conquistando presto una natura leggendaria. E talune volte capita che il fato metta da subito le cose in chiaro, come è il caso di The Legend of Zelda, di nome e di fatto una vera e propria Leggenda. Il segreto? Immaginazione e fantasia, la stessa del suo creatore, trasmessa con incredibile efficacia attraverso l’eroica avventura di un bambino. Un’avventura che, sia concettualmente sia, appunto, di fatto, squarcia la concezione di tempo, raggiungendo quel luogo mistico tanto agognato, spesso indefinito, incerto, vago, per il quale non esiste una strada precisa da seguire. Quel limbo del Capolavoro indimenticabile, quello di The Legend of Zelda: Ocarina of Time.

Un bambino di verde vestitoGiappone, 21 febbraio 1986. Una data storica, coincidente con la nascita di una delle serie più incredibili mai concepite. Ma è il 1998 l’anno della vera rivelazione, del videogioco che, per molti, rappresenta ancora oggi l’esemplare perfetto, il termine di paragone assoluto, l’opera insuperabile per definizione. Solo gioco quindi? Giammai: vera e propria esperienza a tutto tondo, arte e tecnica all’unisono. The Legend of Zelda: Ocarina of Time portava a vivere un viaggio che finalmente si liberava di quei limiti insiti nel 2D, raggiungendo una concretezza, una complessità offerta dalla appena nata tecnologia delle tre dimensioni, che riusciva a immergere con assoluta efficacia in un mondo credibile, realistico, coerente, dove l’immaginazione del giocatore veniva meno, dove non c’era più bisogno di “interpretare”, di filtrare con la mente, una manciata di pixel. Eppure, la stessa magia di prima era tangibile, percepibile, ancora con più forza, perché con questa neo visione legata alle capacità grafiche, la genialità ludica si fondeva per stimolare la fantasia e la creatività. Un percorso sancito dalla meraviglia della scoperta: visiva, sonora e soprattutto interattiva. E come al giovane Link, quando le pianure e i verdi campi di Hyrule gli si aprono all’orizzonte, così al fruitore si spalanca un’avventura di proporzioni epocali.Nei panni di un bambino ci si ritrova a compiere una missione sicuramente non adatta alla sua tenera età. L’insicurezza dei primi passi, alla ricerca di un semplice scudo di legno e un pugnale, si trasforma presto nella volontà di affrontare un viaggio irto di ostacoli e pericoli, ma di altrettante emozioni che varranno tale rischio. E proprio come l’ingenuità di un fanciullo, la curiosità di vedere il mondo esterno prende il sopravvento. È solo col tempo che si prende realmente coscienza della enormità dell’impresa a cui si va incontro. Mentre il male agisce con pazienza, aspettando il momento giusto per colpire, la minaccia appare ancora lontana e la bellezza dei panorami, dei colori ipnotici delle albe e dei tramonti, unito all’irrefrenabile desiderio di vagare senza meta, alla scoperta di luoghi da visitare e persone da incontrare, mette tutto il resto in secondo piano. In fondo, è solo un bambino.

Presa di coscienzaL’eccitazione di esplorare ogni angolo di questo nuovo mondo, ancora sconosciuto, e la sensazione un po’ malinconica e nostalgica di trovarsi lontano da casa, soli, sperduti, è forse una delle cose che, come nessun altro, The Legend of Zelda: Ocarina of Time riusciva a restituire al meglio. Si trattava di una solitudine incantevole, bellissima, non soffocante. Mai come allora si veniva immersi in un universo fantasy in cui perdersi, in cui per la prima volta anche la sola percezione visiva e sonora contribuiva a fare alto intrattenimento. Non c’era solo il bisogno del gioco vero e proprio, della necessità di premere in continuazione qualche tasto, di superare enigmi o nemici, no, si delineava un’essenza ben più complessa: un cammino letteralmente da vivere, da cucirsi con energia sulla pelle. Un’illusione che passo dopo passo prendeva forma e sostanza. Momenti, situazioni, anche un semplice pellegrinaggio nelle piane di Hyrule, accompagnati solo dal chiarore della luna e dai rumori inquietanti della notte, ricordava che dietro a qualche poligono si nascondeva più del mero divertimento. Emozioni e sensazioni, evocate da immagini, musiche, vedute, incontri, circostanze, di un’avventura che diveniva sempre più sentita, personale. Una realtà alternativa in cui stringere legami, trovare persone, villaggi, culture differenti, provando simpatia o antipatia per una piuttosto che l’altra razza o per un particolare abitante. Una mitologia credibile e affascinante, tutta da scoprire. The Legend of Zelda: Ocarina of Time era, ed è, proprio questo: piacere per la scoperta, amore per l’esplorazione. L’eterna lotta tra bene e male non è comunque il contorno del viaggio, ma le numerose attività secondarie arricchiscono e rendono veramente magico, privato e soprattutto “denso” il cammino fantastico e imprevedibile di Link. Tra una spensierata battuta di pesca o l’ennesima giornata passata a percorrere le lande del regno, fantasticando su quei luoghi ancora inaccessibili, su cosa ancora questa peripezia ha in serbo per il prode giovane, il destino deve plasmare il suo eroe, portandolo ad affrontare le sfide più ardue, a combattere gli avversari più coriacei. E insieme a Link, il giocatore cresce, impara a conoscere le terre intorno a lui, ci si affeziona, le fa sue e inizia a prendere coscienza di dover salvare Hyrule e la sua gente. Proprio in quel momento, però, Ocarina of Time stravolge questa sicurezza, rimescola le carte in tavola, stupendo per davvero.

Sette anni tra passato e futuroLa portata del compito, l’immensa responsabilità gravante sulle spalle di Link, si fa chiara quando gli incubi che hanno perseguitato molte notti del ragazzo divengono reali. L’evocativo incontro con Ganondorf, spietato uomo del deserto che ambisce al potere della sacra Triforza, mette in mostra la fragilità e l’inadeguatezza del protagonista, ancora un ragazzino insignificante, non ancora un vero eroe. In possesso dell’Ocarina del Tempo, donatagli disperatamente dalla Principessa Zelda, Link riesce infine ad aprire le porte del Sacro Reame, dimostrando nuovamente la sua inidoneità. Vista la sua giovane età, il suo spirito viene sigillato per sette lunghi anni, durante i quali tutto cambia. Il cambiamento colpisce ovviamente anche lo stesso Hylian, ma è un cambiamento fisico, non mentale. È un’infanzia strappata, perduta.Nel frattempo, Ganondorf ne approfitta per entrare nel Sacro Reame e impossessarsi della Triforza della Forza, acquisendo il potere necessario a soggiogare l’intera Hyrule. Il male prende così il sopravvento sulle stupende terre che fino “a un attimo prima” raffiguravano esattamente la condizione interiore del giovine vestito di verde. Uno stato di spensieratezza, pacata serenità, ingenuità, la stessa tranquillità trasmessa da un mondo prosperoso, apparentemente ancora lontano dalla guerra. Il risveglio dal sonno di Link non è solo concreto, ma anche figurato, simbolico. Spiazzante. La devastazione di Hyrule porta a comprendere che non è più il tempo delle allegre scampagnate in pianura, è tempo di agire. La possibilità di tornare a piacimento all’epoca natale per rivedere l’originaria bellezza del regno, porta comunque a interrogarsi sul destino dell’ignara popolazione e il “ritorno al passato” non ha il medesimo sapore dolce di un tempo, quanto leggermente più amaro e triste, poiché vi è la consapevolezza del futuro che potrebbe essere. Un peso gravoso, una nuova motivazione per fermare Ganondorf. La seconda parte del viaggio, più impegnativa e corposa, presenta un Link fisicamente più prestante, ampliando enormemente le possibilità di gameplay e permettendo di interagire con due realtà simili, ma profondamente diverse. Una concezione che raggiunge un livello di complessità mai visto prima. Così anche le violente battaglie raggiungono ed esprimono il loro massimo potenziale, appagando a ogni fendente scagliato. La praticità incredibile del sistema di controllo, davvero anni luce avanti per il periodo, e la versatilità concessa dalla grande varietà di strumenti è racchiusa in un solo vocabolo: soddisfazione. Soddisfazione che si eleva al quadrato durante le grandiose boss-fight, spesso strutturalmente ineccepibili. È una scalata continua, esaltante, costante, che va di pari passo con l’ampliamento del proprio inventario.E all’appello si aggiunge persino un nuovo protagonista, un compagno, un amico: Epona.

Cavalcare verso la libertàLa bellissima cavalla accudita nel Lon Lon Ranch, brevemente incontrata in “forma bambina”, ha subito anch’ella il triste destino del regno, venendo “rinchiusa” nella fattoria e addestrata per poter, un giorno, servire il signore del male. Quando Link riesce a strapparla alla sua prigionia, tale gesto va anche a significare una rinnovata libertà d’azione. Nel lontano 1998, partire in sella al proprio destriero era una sensazione di libertà assoluta difficilmente riscontrabile altrove, che sostituiva e migliorava di gran lunga il concetto alla base delle lunghe e ormai noiose scorribande a piedi.E galoppata dopo galoppata, il legame tra cavallo e cavaliere si rafforza incredibilmente, divenendo presto indissolubile, dal quale il giocatore trae forza, sostegno. Si viene a creare un affetto indescrivibile, un rapporto uomo-animale duraturo e profondo, romantico, che esalta inoltre la bellezza della natura, con ambienti che divengono ancora più suggestivi, trovano nuova luce, se esplorati insieme alla fiera Epona. Per quanto possa apparire un semplice contorno, la presenza del cavallo (innovativa per l’epoca) è in realtà uno dei tasselli fondamentali di The Legend of Zelda: Ocarina of Time. Le lunghe cavalcate sulle verdi colline, segnate dal sorgere o il tramontare del sole oltre i colli o dal silenzio notturno, restano alcuni dei momenti che più si sono impressi nel cuore e nel ricordo di chi ha vissuto tale esperienza una quindicina di anni fa. Memorabili.

Il più importanteCon l’entrata in scena di Epona, dunque, l’avventura comincia a calcare toni maggiormente epici ed eroici, raggiungendo il culmine con la leggendaria battaglia finale, sancita, peraltro, da una colonna sonora pressoché perfetta. Per quanto all’apparenza banale e scontata, la storia fiabesca raccontata in Ocarina of Time, se vissuta con la giusta enfasi, mostra talvolta una maturazione che moltissime opere moderne possono solo sognarsi. L’epilogo, per certi versi, è poi carico di un’aura quasi malinconica e triste, ma è solo la dimostrazione di aver compiuto un’impresa gigantesca, che segna il carattere, che forgia l’eroe, che vive nel ricordo. L’addio di Navi, la fatina che ha accompagnato Link durante tutto il corso degli eventi, ha un che di commovente. Nonostante il suo carattere un po’ fastidioso, ci si accorge che, in fondo, la sua presenza mancherà. La contentezza si mescola così al dispiacere di essere giunti al termine di un viaggio indimenticabile. Malgrado gli anni, insomma, poche rughe intaccano la bellezza eterna di Ocarina of Time. Il progresso tecnologico ha sicuramente fatto decisi passi avanti e l’utenza più giovane non faticherà a trovare molti limiti nell’opera, a partire da una dimensione della mappa di gioco ridicola per i traguardi di oggi, oltre che spoglia e vuota. Alcune meccaniche appaiono giustamente superate e la domanda di molti potrebbe essere “Cosa ha di così speciale Ocarina of Time per meritare tuttora questa considerazione, questo stato di divinità ludica?”. Non si tratta soltanto del cosiddetto effetto nostalgia, per quanto in parte presente. Ocarina of Time è un caso unico. La giocabilità è ancora in grado di appassionare, coinvolgere e divertire come, se non più, di innumerevoli titoli odierni. Il motivo va ricercato nel fatto che fu proprio The Legend of Zelda: Ocarina of Time ha introdurre quegli elementi che sono poi divenuti lo standard per molti titoli successivi, una base di partenza per l’arte videoludica futura: il famoso Z-Targeting, l’interazione contestuale con personaggi e ambientazioni, la loro grande caratterizzazione, il senso assoluto di libertà regalato da un ambiente completamente in tre dimensioni da esplorare in ogni angolo, il ciclo giorno e notte (già visto comunque in passato), un combat system vario e dinamico, un impianto audio, grafico e tecnico (dalla fisica alla fluidità dell’immagine) incredibilmente realistico, la dinamicità dell’accompagnamento sonoro, che finalmente mutava a seconda della situazione, la quantità abnorme di azioni possibili, le sottotrame, i minigiochi, il sistema di controllo perfetto e pratico (un traguardo molto difficile per l’epoca), senza contare, ovviamente, la miriade di idee geniali profuse nella realizzazione di dungeon entrati nella storia, con enigmi e puzzle unici, marchi di fabbrica della serie. In una parola: Innovazione. Per certi versi: Rivoluzione. Un gioco fuori tempo. Dannatamente moderno. Un fenomeno mediatico. Quando Internet cominciava a farsi prepotentemente largo nella società, nascevano miti, racconti sulle gesta di Link, sulla presenza della Triforza, alimentati persino dallo stesso Miyamoto. Una Leggenda nella Leggenda. Un Capolavoro completo.Un titolo perfetto, dunque? No. Il miglior Zelda di sempre? Probabilmente nemmeno. Sicuramente, però, quello più importante.

Sprecare ulteriori parole per cercare di racchiudere l’impalpabile essenza di un’opera imponente come The Legend of Zelda: Ocarina of Time è inutile e superfluo, nonché arduo. Molti aggettivi e appellativi andrebbero bene: Avventura, Arte, Viaggio, Esplorazione, Scoperta, Meraviglia, Mito, Mistero, Emozione. Tuttavia, è un termine di questi tempi fin troppo abusato a dimostrarsi perfetto: Capolavoro. Un Capolavoro senza tempo che ha fatto storia, che con la sua innovazione, la sua genialità ludica, ha contribuito a plasmare i titoli futuri, a segnare un’epoca, a gettare basi fondamentali. Un’esperienza ricca di sfaccettature che per la prima volta riusciva a immergere in un mondo virtuale con un’efficacia fino a quel momento impensabile. Una realtà alternativa in cui isolarsi, dalla quale lasciarsi travolgere e trascinare. Ma, soprattutto, un’avventura vera, pura. Da vivere, oggi come allora, con sognante entusiasmo.

In una parola: Eterno.