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A Carte Scoperte: Black Flag

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Avatar di Phoenix

a cura di Phoenix

Pubblicato il 21/02/2014 alle 00:00

In questo articolo, di questa giovane rubrica, ho intenzione di fare due chiacchiere attorno all’ultimo controverso capitolo della saga dedicata alla lotta tra Assassini e Templari. Assassin’s Creed IV: Black Flag è un titolo che ha superato, non senza qualche ferita, la dura prova dei fatti, lo scoglio più duro, il giudice ultimo, quando possibile, delle intenzioni e del lavoro degli sviluppatori. Recensioni, anteprime e aspettative, un trittico complesso, estremamente intransigente e, a volte, incredibilmente difficile da riportare ad un’unità singolare, unica, definitiva. Eppure, in questa rubrica, non siamo alla ricerca della maggiore oggettività possibile, non siamo in sede di recensione, non dobbiamo esprimere giudizi univoci e ragionati; siamo qui per chiacchierare di videogiochi, serenamente, raccontando le emozioni che essi ci hanno regalato, le delusioni a cui siamo andati irrimediabilmente incontro, le soddisfazioni che, a tratti o per intero, ne abbiamo imprescindibilmente ricavato. Ed è così, con questo spirito da videogiocatore, che chi scrive si accinge a chiacchierare assieme a voi, esprimendo le sue opinioni, serenamente, in armonia, amicizia e, soprattutto, in sincerità.
Una premessa doverosa, la mia, forse l’unica che valga la pena fare, poiché anch’io, come voi, sono essenzialmente un videogiocatore; così, seduto al vostro stesso tavolo, ho deciso, con rispetto, di scoprire tutte le mie carte.
Manca qualcosa…
La prima sensazione che ho avuto, giocando a Black Flag, è quella che mancasse qualcosa; personalmente, ho avvertito una carenza, un’assenza. Con il progredire dell’avventura questa mia sensazione sembrava giustificata dal fatto che la guerra tra Assassini e Templari fosse solo uno sfondo, un quadro generale che aleggiava, perfettamente visibile, attorno alle vicende di Edward Kenway. Eppure, pian piano, sono stato costretto a realizzare che il vero problema, la vera carenza che avvertivo così nitidamente, non aveva nulla a che fare con lo sfondo dell’avventura. Era la mancanza di motivazione, l’assenza di un valido, e coerente, motivo che spingesse quel protagonista all’interno di quello stesso sfondo. Edward Kenway non è un templare, nè un assassino, non è spinto verso quel conflitto, nè risulta ad esso interessato; egli non comprende l’importanza di quella battaglia, non crede in niente e, soprattutto, non sembra interessato a comprendere.
Ubisoft aveva sempre saputo intrecciare lo scontro generale ad un più intimo conflitto di motivazioni come giustizia, vendetta, narcisismo, pace, ordine; questa volta, invece, gli sviluppatori hanno voluto buttare nella mischia un personaggio che, a mio avviso, non era pronto per fare breccia nei cuori dei videogiocatori.
Pertanto, la prima carta che voglio scoprire riguarda proprio il protagonista di questo Assassin’s Creed IV: Black Flag; un protagonista che, quando cammina per le vie dell’Avana, non è riuscito a trasmettermi nè l’intelligenza di Altair, nè la grazia di Ezio Auditore, nè la forza e la fierezza di Connor.
Sono sincero quando affermo che, secondo me, Edward Kenway è un Assassino poco credibile; Ezio ha tutto il background che conosciamo, stesso discorso valeva per Altair, addestrato Assassino, e persino Connor, come nativo americano, aveva una giustificazione plausibile per le sue abilità. Eppure, Edward, che sembra diventare assassino così, in un attimo, indossando delle vesti che in un certo senso, da videogiocatori, abbiamo imparato a rispettare, è davvero l’antitesi di quel concetto di Assassino che il brand di Ubisoft aveva sempre portato avanti, poco importa se alla fine del titolo sembra arrivare una sorta di redenzione morale, poco ispirata, quasi innaturale.
Nel Mar dei Caraibi
La seconda carta che voglio scoprire riguarda, invece, l’ambientazione del titolo. Gli sviluppatori si sono sempre differenziati per la grande cura con cui hanno saputo ricostruire, fedelmente, periodi storici e ambientazioni specificatamente definite e conosciute; e anche questa volta, a mio parere, il loro lavoro è stato davvero ottimo. Nonostante brancoli leggermente nel buio per ciò che concerne il periodo d’oro della pirateria, devo tuttavia ammettere che l’atmosfera che si respira in Black Flag è davvero, ancora una volta, coerente e calzante; dalle spiagge agli isolotti, dalle case diroccate agli accampamenti, dalle caverne dei contrabbandieri all’architettura Maya, dai palazzi cinquecenteschi alle classiche palme, tutto è ricostruito in modo fedele e, soprattutto, vivo.
Quindi, nonostante la mia ignoranza riguardo gli eventi della storia piratesca, devo dire che l’ambientazione mi è piaciuta moltissimo, e i personaggi secondari li ho trovati essenzialmente coerenti, molto più del protagonista, e plausibilmente ricostruiti. I viaggi in mare aperto, poi, mi hanno fatto davvero sentire come se stessi realmente solcando il Mar dei Caraibi, con i marinai che cantano e le tempeste all’orizzonte.
Per questi motivi, Assassin’s Creed IV: Black Flag ha saputo regalarmi delle buone ore di sano intrattenimento; certo, ogni anno rimpiango la vista sulla Laguna, e su Piazza della Signoria, eppure, a conti fatti, Black Flag resta un buon titolo che, nonostante le delusioni e le amarezze che lascia in coloro che, come me, hanno giocato i “vecchi” titoli, riesce comunque a divertire, anche se ho dovuto faticare non poco per trovare sufficienti stimoli a proseguire fino alla fine. In fin dei conti è così, le novità di questo titolo, alla lunga, mi hanno decisamente stancato, ma lasciare un gioco a metà non è affatto mio costume. 
Un duellante, un bucaniere e una ribelle
L’ultima carta che ho intenzione di scoprire è, probabilmente, ancora più personale delle precedenti; l’esperienza multiplayer di questo titolo mi ha veramente divertito; all’inizio, ovviamente, un giocatore inesperto fatica non poco a comprendere la situazione in atto, eppure, con un po’ di costanza, di esperienza e di ragionamento, pian piano si riesce a mettere in difficoltà anche i giocatori più esperti e navigati.
Le partite che ho trovato più interessanti sono state sicuramente quelle in cui ogni giocatore presente cercava, con astuzia e intelligenza, di unire fase offensiva e difensiva, tendendo imboscate e rimanendo opportunamente nascosto; in queste occasioni mi sono davvero divertito, con partite combattute, punteggi che non rasentano la follia e, soprattutto, con lo spirito stealth del titolo che restava saldo anche nella sua esperienza multiplayer. Certo, non tutti i giocatori sono uguali, c’è chi preferisce correre, arrampicarsi e sparare, ma, alla fine, il bello di ogni cosa è proprio quello di affrontare, via via, situazioni sempre diverse, che spingono a migliorarsi, a ragionare, ricavando, a volte, una bellissima soddisfazione da una piccola vittoria all’ultimo secondo.

Riassumere e commentare le mie stesse opinioni, probabilmente, non ha alcun senso, e, forse, sarebbe addirittura fuorviante. Mi limito a dire che Black Flag, a tratti, mi ha saputo intrattenere, ma in fin dei conti nulla di più. Chiudo con la mia ultima opinione, uno sguardo generale sulle sensazioni che questo titolo mi ha dato, e così, a carte scoperte, vi confesso che, secondo me, dal punto di vista della storia e della componente emozionale Black Flag rappresenta una vera battuta d’arresto dello spirito di questa saga; un blocco che molti avevano imputato a Brotherhood e a Revelations, ma che, in realtà, a mio parere, doveva ancora avvenire.

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