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Immagine di No, La Quimera non sarà il nuovo Killzone
Provato

No, La Quimera non sarà il nuovo Killzone

Abbiamo provato l'accesso anticipato de La Quimera, progetto gestito in modo confusionario dal team di sviluppo. Scopriamo se vale la pena attenderlo.

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Avatar di Domenico Musicò

a cura di Domenico Musicò

Deputy Editor

Pubblicato il 03/07/2025 alle 13:50
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  • Pro
    • Un gioco dalla buona autorialità, con diversi spunti non da poco.
    • Con un lavoro profondo di ristrutturazione potrebbe funzionare come si deve.
  • Contro
    • Un progetto dalla genesi e gestione molto confusionaria.
    • Troppi problemi diffusi in tutti i comparti, al momento.

Conclusioni Finali di SpazioGames

La delusione di questo primo approccio con La Quimera non nasce tanto dalla mediocrità assoluta del prodotto, quanto dal divario tra ciò che avrebbe potuto essere e ciò che è realmente: un’opera visivamente ambiziosa, narrativamente confusa, tecnicamente irregolare e ludicamente poco soddisfacente, che fatica a trovare una propria identità all’interno del panorama videoludico contemporaneo. In ultima istanza, La Quimera rappresenta una testimonianza eloquente dei limiti strutturali che affliggono una certa scena indie orientata al prestigio autoriale, laddove l’assenza di una supervisione progettuale rigorosa, unita a risorse tecniche e umane inadeguate, finisce per compromettere irrimediabilmente la riuscita dell’opera, rendendola, in modo tragicamente ironico, una vera chimera. Vedremo se l'uscita ufficiale riuscirà a cambiare le sorti di un'opera che appare già caduta in disgrazia.

Informazioni sul prodotto

Immagine di La Quimera
La Quimera
  • Sviluppatore: Reburn
  • Produttore: Reburn
  • Testato su: PC
  • Piattaforme: PC
  • Generi: Sparatutto
  • Data di uscita: TBA

La Quimera, opera prima dello studio indipendente Reburn (formato da ex membri di 4A Games Ukraine) si presentava come un prodotto ambizioso che prometteva di coniugare una narrazione cinematografica a un’esperienza da sparatutto in prima persona ambientata in un’America Latina distopica del 2064, devastata da conflitti e dominata da compagnie militari private. 

Dopo le reboanti dichiarazioni, qualcosa è però andato irrimediabilmente storto, col codice di gioco che ci arriva a ridosso dell'uscita, per poi vedere il team ritrattare e rimandare il gioco a data da destinarsi. Attualmente La Quimera è ufficialmente in accesso anticipato, mentre a noi, tra una giravolta e l'altra, veniva propinato il codice review.

Alla luce di quanto detto, e rispettando la caotica retromarcia, siamo dunque costretti a parlavi di La Quimera come un gioco ancora in divenire, a cui mancherebbero (salvo ulteriori ripensamenti) circa diciotto mesi per palesarsi nella sua forma migliore.

A che punto siamo coi lavori?

La Quimera di nome e di fatto

La Quimera si distingue per un approccio estetico e narrativo fortemente marcato grazie alla presenza del regista Nicolas Winding Refn, celebre per le sue opere stilisticamente provocatorie e psicologicamente intense, e dallo scrittore E.J.A. Warren, il cui contributo avrebbe dovuto assicurare profondità e coerenza drammaturgica a una storia incentrata sulla dissoluzione degli stati nazionali e l’ascesa di nuove forme di potere privatizzato. 

Tuttavia, al di là di questi nomi altisonanti e delle premesse potenzialmente ricche, il gioco risente di una direzione artistica incerta, di un'esecuzione tecnica discontinua e di una gestione produttiva che ha probabilmente subito le conseguenze di una struttura indipendente non adeguatamente rodata, mancando così l’obiettivo di innovare realmente il genere a cui aspira. 

Il fulcro dell’esperienza ludica è rappresentato dal protagonista, un soldato impiegato da una PMC in operazioni militari ad alta intensità, equipaggiato con un esoscheletro modulabile che conferisce abilità particolari in termini di mobilità e capacità offensiva.

L’idea alla base è quella di offrire un gameplay dinamico, che consenta al giocatore di adattarsi tatticamente alle missioni attraverso la personalizzazione dell’equipaggiamento e l’interazione con l’ambiente circostante. 

Nella pratica, però, questa versatilità risulta fortemente compromessa da una struttura delle missioni lineare e da un’intelligenza artificiale nemica scarsamente reattiva, che impedisce una reale evoluzione delle situazioni di combattimento e che trasforma la varietà teorica dell’approccio in una sequenza ripetitiva di scontri mal bilanciati. 

L’idea è quella di offrire un gameplay dinamico, che consenta di adattarsi tatticamente alle missioni attraverso la personalizzazione dell’equipaggiamento e l’interazione con l’ambiente. Nella pratica, questa versatilità risulta fortemente compromessa.

Gli stessi strumenti di gioco, inclusi droni da supporto e cani robotici, vengono ridotti a semplici gimmick, introdotti più per suggestione estetica che per reale esigenza ludica. Anche l’esoscheletro, che avrebbe dovuto rappresentare il cuore strategico del gioco, soffre di un sistema di controllo poco intuitivo e di un’interfaccia farraginosa, che ne limita l’utilizzo fluido e spesso lo rende più un ostacolo che un vantaggio durante le fasi più concitate.

Sul fronte narrativo, le problematiche si acuiscono: la promessa di un intreccio maturo, ricco di riferimenti culturali e riflessioni sociopolitiche, viene disattesa da una scrittura approssimativa, incapace di dare spessore ai personaggi e di articolare con coerenza i nodi tematici evocati.

La sceneggiatura fatica a stabilire un tono unitario, oscillando tra l’estetismo visionario di Refn, che si traduce in sequenze oniriche e simboliche mal integrate con l’azione, e una retorica pseudo-militare che risulta satura di cliché e incapace di rendere credibile il contesto geopolitico immaginato. 

Immagine id 29601
L'estetica non fa che richiamare a più riprese quella ammirata in Killzone.

In alto mare, nonostante buoni spunti

Il punto di vista che ci viene offerto, poi, avrebbe potuto fungere da occhio critico umano all’interno di una cornice meccanizzata e disumanizzante, ma viene delineato in modo troppo superficiale per generare empatia o interesse, mentre i comprimari si riducono a figure funzionali, prive di sviluppo, che recitano battute stereotipate e contribuiscono a un senso generale di vuoto drammaturgico.

L’ambientazione, per quanto sulla carta affascinante, è infine solo parzialmente valorizzata: la megalopoli latinoamericana che dovrebbe essere il cuore pulsante dell’immaginario di La Quimera appare infatti come uno sfondo statico, privo della vitalità e della complessità urbanistica che ci si aspetterebbe da un’opera che aspira a fondere cyberpunk, postcolonialismo e fantascienza.

Le ambientazioni naturali, come le giungle e le zone montuose, offrono uno scenario visivamente interessante ma altrettanto privo di interattività, riducendo la funzione dello spazio a mero contenitore estetico piuttosto che a componente integrante della ludonarrativa.

Sul piano tecnico il gioco è realizzato con una versione modificata dell’Unreal Engine 4 e, sebbene in certi momenti riesca a offrire scorci suggestivi e un buon livello di dettaglio, le prestazioni sono altalenanti e afflitte da bug, glitch grafici e cadute di frame rate che compromettono l’esperienza complessiva.

La Quimera appare come uno sfondo statico, privo della vitalità e della complessità urbanistica che ci si aspetterebbe da un’opera che aspira a fondere cyberpunk, postcolonialismo e fantascienza.

I problemi di ottimizzazione risultano particolarmente gravi su configurazioni hardware medie, a dispetto delle promesse iniziali di un’ampia scalabilità e accessibilità del prodotto.

Anche il comparto sonoro, che include musiche ambientali e composizioni elettroniche teoricamente ispirate alla musica sudamericana, soffre di una gestione sbilanciata: le musiche, anziché fondersi organicamente con l’azione e con l’ambientazione, tendono a risultare invadenti o fuori contesto, contribuendo a un’esperienza uditiva disorientante e incoerente.

Le voci dei personaggi, poi, sono spesso mal recitate o penalizzate da una direzione vocale disattenta, elemento che aggrava ulteriormente la debolezza espressiva della narrazione.

Dal punto di vista delle modalità, La Quimera si limita al momento a una campagna single-player breve, la cui durata media si attesta attualmente sulle cinque ore, senza offrire contenuti post-game, modalità extra o multiplayer competitivo o cooperativo oltre il limite di tre giocatori in co-op.

Quest’ultima, in teoria pensata per favorire il gioco di squadra e la sinergia tra differenti build di esoscheletro, si rivela poco stimolante, con missioni riciclate dalla modalità singola e una scarsa varietà di obiettivi, mentre l’interazione tra i giocatori è ridotta al minimo a causa di una comunicazione in-game limitata e di una gestione delle classi poco differenziata. 

L’assenza di una reale infrastruttura online e di un supporto costante da parte degli sviluppatori suggerisce inoltre una gestione post-lancio incerta, che pone interrogativi sulla sostenibilità del progetto nel medio-lungo termine. A ciò si aggiunge una comunicazione ufficiale lacunosa, che ha alimentato aspettative spropositate senza fornire risposte concrete alle critiche emerse già dalle prime fasi di accesso anticipato.

La stessa direzione creativa appare confusa, con un progetto che sembra voler essere al contempo un action tattico, un esperimento visivo e un manifesto narrativo, senza però riuscire a integrarne le componenti in modo coerente.

Questo disallineamento di intenti è probabilmente il sintomo di una gestione produttiva troppo frammentata, dove le ambizioni artistiche non sono state supportate da un design solido né da risorse adeguate alla loro realizzazione.

In conclusione, La Quimera si configura come un progetto emblematico di un certo tipo di produzione indipendente che, pur animata da intenzioni innovative e da referenze culturali di pregio, finisce per collassare sotto il peso delle proprie aspirazioni.

Il risultato è un’opera che già in questa fase disattende quasi tutte le promesse iniziali, offrendo un’esperienza ludica incompleta, una narrazione velleitaria e una struttura tecnica e produttiva insufficiente a sostenere la complessità tematica e stilistica che si proponeva di affrontare.

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