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Woolfe - The Red Hood Diaries

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Avatar di Domenico Musicò

a cura di Domenico Musicò

Editor

Pubblicato il 12/10/2014 alle 00:00
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Facendo una rapida panoramica alle caratteristiche di Woolfe – The Red Hood Diaries, si fa presto a pensare a un’ideale prosecuzione delle opere ideate da American McGee. In effetti, quello di GRIN Gamestudio può essere considerato un gioco sulla loro stessa falsariga, con una fiaba trasfigurata a fare da sfondo agli infausti eventi che hanno colpito la protagonista, critiche sociali neanche troppo velate, e una direzione artistica che predilige le tinte dark sia per quanto riguarda l’aspetto visivo, sia per i toni cupi della sceneggiatura.

C’era una volta…
L’intenzione degli sviluppatori è quella di creare un’ambientazione fantasy fatta di foreste maligne e fabbriche imponenti, bigie, tossiche e consumate dalla sete di avarizia, mettendo al contempo al centro dell’attenzione una “favola” dove gli elementi di maggior preponderanza sono rappresentati dalla morte e dalla vendetta. La storia, in questo senso, parla chiaro: la nostra Cappuccetto Rosso perde improvvisamente il padre per un incidente alla Woolfe Industries, dove occupava una delle più alte cariche. Cresciuta nella pena e nel dolore, l’eroina decide di lasciare la casa della nonna e il suo luogo natale nella foresta, dirigendosi verso la città, che scoprirà essere soggiogata dai modi dittatoriali di B.B. Woolfe, l’uomo a capo dell’industria che nasconde un enorme e crudele segreto. Non dovrebbe stupire la direzione intrapresa da questa versione di Cappuccetto Rosso – spiegano gli autori – perché le più popolari fiabe avevano originariamente degli elementi disturbanti, ben lontani da quelli epurati che ci sono stati propinati nel tempo. Basti pensare a Pinocchio, che nell’opera di Collodi era accusato di aver ucciso i propri genitori e alla fine veniva impiccato al ramo di un albero; o proprio Cappuccetto Rosso, dove in alcune versioni la ragazza divorava sua nonna o veniva ingannata dal lupo, che le ordinava di esibirsi in uno spogliarello. Il messaggio è insomma di quelli chiari: l’ispirazione di Woolfe – The Red Hood Diaries è di matrice grottesca e cruda, e si riversa anche sul personaggio principale, sui nemici e sulla decadente industrializzazione che fa da caduca scenografia al titolo. Oltre al nome di Tim Burton, ormai immancabile quando si tratta di ispirazioni dark, per creare l’universo di gioco è stato preso in gran considerazione il pittore olandese Anton Pieck, che durante il ‘900 sviluppò un proprio stile fortemente condizionato dal suo approccio nostalgico-romantico. 
Le licenze poetiche che si prende Woolfe non passano solo dalla sceneggiatura, ma si ramificano anche lungo le ambientazioni, diverse rispetto al classico tragitto che Cappuccetto Rosso faceva nella sua favola. Proprio per questo motivo, il team di sviluppo ha deciso che sarebbe stato meglio inserire un itinerario diverso, che potesse collegarsi alle vicende della protagonista e della Woolfe Industries.

Cappa e ascia
La versione messa a nostra disposizione comprendeva tre brevissime sezioni che davano un assaggio degli elementi basilari del sistema di gioco, mettendo ai margini ogni informazione sulla storia. Woolfe – The Red Hood Diaries è essenzialmente un action-platform in 2.5 D, con un level design che combina la semplicità dello scorrimento laterale alla profondità di un terza dimensione appena abbozzata, che permette di esplorare l’ambientazione con un po’ meno linearità del solito mentre si risolvono alcuni puzzle. Nell’area delle fogne, eravamo senza armi e dovevamo solo superare delle semplici sezioni platform mentre correvamo da un punto all’altro della zona, così da sbloccare delle grate in modo asincrono e raggiungere infine l’ultimo cancello. Niente di troppo impegnativo, in verità, ma la velocità con la quale bisognava risolvere l’enigma dava già un’idea sulla buona fluidità del titolo. Nella striminzita alpha che abbiamo provato, era inoltre possibile affrontare un paio di combattimenti con dei nemici base che venivano abbattuti con grande facilità. Gli sviluppatori promettono che il prodotto finale non sarà un hack’n’slash dove basta premere i tasti a caso per avere la meglio, ma che bisognerà necessariamente eseguire delle combo ben ragionate per arrivare al punto debole degli avversari. Al momento, tuttavia, non è così, perché chi ci fronteggiava riusciva a malapena ad attaccarci e bastavano un paio di colpi random di ascia ben assestati per andare oltre senza problemi. Se GRIN vuole puntare su un sistema di combattimento maggiormente stratificato, dunque, è necessario che si metta seriamente d’impegno, perché almeno da questo punto di vista siamo ancora in alto mare. Ciò che invece funziona bene è l’atmosfera ricca di sfaccettature, che dimostra come artisticamente il titolo sia ben indirizzato verso una strada che non conosce bivi confusionari. Visto il successo della campagna Kickstarter, oltretutto, dovrebbero essere inseriti anche dei poteri magici molto coreografici e utili a differenziare gli scontri, soprattutto contro quei boss che sono delle creature da incubo legate a doppio filo all’immaginario collettivo delle fiabe classiche.

– Trasfigurare una fiaba famosa e renderla dark non è mai un compito semplice

– Le atmosfere sembrano adattarsi bene al concept di gioco

– Buoni i puzzle e le sezioni platform

Non fatichiamo a immaginare Woolfe – The Red Hood Diaries come a un ideale tributo fatto ai due capitoli di Alice. Non ci sono probabilmente le stesse atmosfere, né tantomeno la ricca simbologia che contraddistingueva le opere di McGee, ma GRIN sembra avere decisamente piena padronanza di ciò che vuole realizzare. Concettualmente il titolo potrebbe avere molto da dire, mentre per quanto riguarda il gameplay c’è più di un aspetto ancora acerbo e poco sviluppato.

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