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Anteprima

ReCore

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Avatar di Matteo Bussani

a cura di Matteo Bussani

Pubblicato il 21/08/2016 alle 00:00
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Pensate a un nuovo ritorno del leggendario Keiji Inafune, pensate poi di essere attratti da un trailer a dir poco emblematico, e pensate infine di veder tutte quelle attese ridimensionate da una demo E3 che ha totalmente stravolto le idee che potevamo esserci fatti di questo titolo: ecco in due righe sintetizzata la nostra esperienza con ReCore. Stavolta non ci siamo fatti prendere la mano da quanto visto durante l’evento di apertura Microsoft, che infatti non era altro che una replica di quanto provato a Los Angeles, e abbiamo aspettato la presentazione a porte chiuse organizzata durante la fiera per trarre giudizi più concreti. Siamo dunque entrati in una saletta e con grande giubilo ci siamo ritrovati di fronte Keiji Inafune in persona. Questa era finalmente l’occasione per capire qualcosa di più su questo ReCore, ma soprattutto riuscire a interpretare nella maniera corretta ciò che, anche solo per un’innegabile confusione nella pubblicizzazione del prodotto, non si era riuscito appieno a comprendere.
Due facce della stessa medaglia
Prima di tutto è stato ribadito quale sia stata la divisione dei compiti fra Comcept e Armature, i due studi che stanno lavorando al gioco; il primo si è principalmente concentrato sulle parti creative e di vero e proprio design, mentre il secondo su quelle più concrete e tecniche. Si prospetta dunque un mix di Giappone e occidente, di cui ci aspettiamo di vedere il meglio di entrambi i mondi.
La cosa più interessante di tutto ciò, a parte la mera considerazione, è aver ritrovato in queste parole un riscontro immediato nella sezione di gameplay hands-off mostrata. L’art design ricalca alcuni tratti dell’animazione nipponica, ma dal punto di vista tecnico siamo di fronte a un gioco ben più curato e pulito delle contemporanee produzioni orientali. Allo stesso modo anche il gameplay presenta due anime: una sparatutto e l’altra platform, a cui però è contrapposto uno sviluppo del personaggio e dei corebots che sembra tratto proprio dal genere JRPG, con menù stranamente intuibili, ma al contempo ricchi di funzioni e adatti a una personalizzazione quasi totale di ogni singolo elemento. 
Tantissime combinazioni possibili
Non solo l’arma di Joule, ma anche le varie componenti degli scheletri dei mech sono sostituibili, così come il core al loro interno, il quale risulta a sua volta potenziabile. Se ci aspettavamo un semplice accenno a quelli che potevano essere gli elementi GDR relativi a equipaggiamento e crescita del personaggio, ci siamo dovuti ricredere dopo aver potuto assistere alla quantità di contenuti e possibilità offerte dal gioco. Ogni parte ottenuta andrà a migliorare le statistiche del bot divise in attacco, difesa e energia (utile a caricare più velocemente la barra delle mosse speciali.) Si può entrare in possesso dei vari pezzi di equipaggiamento o trovando per la mappa quelli più rari, oppure costruendoli con i pezzi di ricambio ottenuti dai nemici sconfitti, direttamente sul tavolo da lavoro all’interno del nostro crawler. Quelli più rari sono denominati AOK in relazione al fatto che sono stati creati da uno scienziato malvagio, sempre dallo stesso nome, che ha cercato di potenziare la struttura dei mech totalmente snaturando la loro natura per il solo fine di renderli più forti.
Meglio accompagnati che soli
Se volessimo potenziare invece la sfera dei nostri bot avremo bisogno di saccheggiare quelle dei nemici che troviamo sul cammino, stando attenti a non incorrere nella loro rottura nel caso dovessimo abbattere il nemico stesso. A ogni core impersonante Mack, Seth o Duncan, a cui poi se ne aggiungeranno altri due, è associata la loro anima, se così di può dire, e potremo affidarla ai diversi frame dei mech, e a seconda di quello utilizzato cambieremo atteggiamento e pattern d’attacco del nostro compagno.
Oltre alle meccaniche sparatutto e platform già viste nelle precedenti anteprime, si sono aggiunte altre informazioni relative alle sezioni di combattimento. Indipendentemente dal numero di corebots sbloccati (max 5) ce ne potremo portare dietro solo due in missione, e di questi, in realtà, solo uno sarà attivo e ci aiuterà in combattimento, ma in ogni momento sarà possibile sostituirlo con l’altro. Anche i colori dei corebot seguono la regola che vede un danno maggiorato nei confronti dei nemici della stessa cromia e ciò indubbiamente incita a un continuo cambiamento di supporter ogni qual volta ci sia un cambio tra la varietà dei nemici.
Un piccolo assaggio narrativo
Facendo invece un discorso relativo alla storia, la sezione di gameplay mostrata apparteneva a una fase non troppo avanzata della storyline; sappiamo di essere stati condotti su questo pianeta per far sì che le macchine, attraverso un processo di terraformazione, generassero un paradiso terrestre completamente abitabile. In attesa che tutto ciò arrivasse alla conclusione i futuri abitanti di questa terra avrebbero dovuto essere posti in uno stato di criostasi per ben duecento anni. Ovviamente niente andò come sperato, tanto che al risveglio della protagonista, tutto era esattamente uguale, se non peggio a come lo avevano lasciato, con tutti i robot inattivi e un grande mistero da risolvere.

– Struttura di crescita dei corebot davvero articolata

– Design giapponese, struttura americana

Quanto mostrato tra l’articolato sistema di sviluppo dei mech e le possibilità di crafting è riuscito ad aumentare le attese di ReCore, che ha finalmente messo in mostra come si deve le sue due anime, quella giapponese e quella americana, non solo dal punto di vista strutturale, ma anche da quello artistico e grafico. Siamo dunque tutti curiosi di capire se il gioco saprà soddisfare le speranze iniziali dei giocatori, ridotte ma non perdute dopo l’anteprima effettuata durante l’E3. Il dado è tratto e il gioco è giunto finalmente in fase Gold, pronto ad arrivare sugli scaffali dei nostri negozi il 16 settembre sia su PC, sia su Xbox One con la formula del Play Anywhere.

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