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Metal Gear Solid V: The Phantom Pain

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Avatar di Domenico Musicò

a cura di Domenico Musicò

Editor

Pubblicato il 13/06/2014 alle 00:00
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Dimenticatevi Ground Zeroes. Al più presto.
Se siete ancora scottati dalla poca consistenza del prologo a cui avete giocato qualche mese fa, e se ancora non avete digerito tutte le mancanze messe in evidenza da quelle pochissime ore di gioco, dovreste rincuorarvi leggendo quanto c’è di buono in The Phantom Pain. Siamo stati da Konami per circa mezz’ora, e possiamo assicurarvi che tanto è bastato per farci ricredere in positivo sull’incredibile validità del progetto: da quello che abbiamo visto, il nuovo Metal Gear Solid sembra davvero essere l’opera magna di Hideo Kojima, ampliata da un open world che lascia spazio a tante di quelle possibilità da far esaltare anche il più lamentoso e pessimista tra i giocatori. 

Al trotto
Dopo un lungo filmato che evidenziava un’impronta molto più cruenta rispetto al passato, con una gran presenza di scene e tematiche a dir poco controverse, siamo passati finalmente a una corposa sessione di gameplay che comprendeva un’intera missione di gioco. Il nostro obiettivo era quello di infiltrarci all’interno di una zona estremamente sorvegliata e portare in salvo un nostro compagno utilizzando i potenti mezzi messi a disposizione dalla mother base, che stavolta sarà un posto reale molto esteso in cui poter ritornare alla fine delle missioni. 
Accompagnati da Ocelot, ci avvicinavamo al piccolo trotto nei pressi di una radura che si apriva in una sterminata distesa semidesertica. Dopo aver cavalcato per qualche minuto, arrivavamo nei pressi del primo presidio nemico calandoci a lato del cavallo come un acrobata circense, per passare inosservati e aggirare la guardia prima di addormentarla con un singolo proiettile stordente alla testa. Torna finalmente la scatola che era misteriosamente stata rimossa nel prologo, e stavolta i suoi utilizzi sono molteplici. Oltre a camminarci dentro per poi restare immobili nel momento in cui qualcuno si volta, è possibile uscire da essa col classico effetto “sorpresa”, cogliendo alla sprovvista il nemico di turno. Inoltre, può essere usata anche come esca: basta camminare per esempio nei pressi di una struttura, farsi seguire, e poi lanciarsi da sotto in modo tale da effettuare una manovra di aggiramento che non lascia scampo alla guardia di turno, che si dirigerà sempre nei pressi dell’ultima posizione nota. Tornano anche i bidoni, dentro cui è possibile nascondersi, e stavolta si possono effettuare manovre CQC improvvise anche dall’interno, sorprendendo chi passa in quell’esatto momento. Ciò che invece non è tornata è la barra della stamina: ciò significa che Snake potrà correre come un ossesso senza fermarsi mai e che potrà rimanere appeso alle sporgenze senza sentire neanche per un attimo la fatica. Questo, oltre a snaturare il concetto stesso di realismo, è una chiara apertura all’action che poco si sposa con le dinamiche della serie. Allo stesso modo, non abbiamo notato alcuna barra della vita, né tantomeno le razioni per poterla ripristinare (pare sia tutto automatico come nel prologo). A parte queste piccole carenze che fanno a botte con le vecchie tradizioni, The Phantom Pain appare come uno di quei gioielli davvero molto rari da reperire, e vi diciamo immediatamente perché.

Uno contro tutti
La novità di The Phantom Pain che ci ha maggiormente colpiti, è la necessità di dover pianificare al meglio le proprie mosse ancora prima di infiltrarsi dentro la zona calda e agire. Nella sezione mostrata, si osservava la situazione dall’alto di una montagnola prospiciente una vallata punteggiata da guardie. Usando l’iDroid, si individuavano poi le aree con maggior concentrazione nemica; una volta cerchiate, si cercavano “manualmente” gli uomini di pattuglia, per poi marcarli e tenere d’occhio i loro movimenti. Ci veniva mostrato come talvolta fosse ugualmente difficile infiltrarsi per via di una sorveglianza davvero spropositata, ed è qui che entrava in azione il ciclo giorno/notte del gioco, che può essere accelerato fumando uno speciale sigaro dal fumo olografico. Col classico effetto timelapse, il tempo passava evidenziando le abitudini delle guardie, che diventavano di meno proprio di notte, quando il bisogno di riposare diventava impellente. Nel frattempo, cominciava anche a cadere la pioggia, quasi a volerci sollecitare a entrare finalmente in scena. Lungo la vallata disseminata di baracche di fortuna ed edifici semidistrutti, Snake si infiltrava silenziosamente, ora strisciando in un acquitrino, ora rotolando tra un riparo e l’altro prima di fermarsi dietro una parete e far ruotare il suo braccio meccanico, producendo lo stesso suono delle nocche che battono su una parete. Allertata la guardia, bisognava solo attendere il momento propizio per afferrarla e sbatterla con violenza contro un muro. Non c’è la necessità di nascondere i corpi, perché bastava usare una sorta di pallone aerostatico (e chi conosce bene la serie lo sa già) per spedire tutti alla mother base. E stavolta potremo anche portarci dietro container, animali e furgoni per arricchire e far “crescere” il nostro campo base. Tutto davvero molto bello: presentazione scenica da brividi, sezione di gameplay puro che dissipa quasi ogni ombra, e novità introdotte all’interno della serie che si integrano piuttosto bene. The Phantom Pain è una bomba e ce lo ha dimostrato ampiamente: Kojima, in fin dei conti, non si smentisce mai.

– Struttura open world ben integrata nella serie

– Ritornano le caratteristiche di base

– Tecnicamente notevole

The Phantom Pain cancella con un colpo di spugna le brutte sensazioni lasciate dal prologo. Finalmente si vede un open world vivo, enorme e completamente esplorabile; si vede un ciclo giorno/notte funzionale anche al gameplay e, soprattutto, sono tornate le caratteristiche di base della serie. La sezione mostrata, poi, girava su PS4 a 1080p e 60 fps, a dimostrazione del fatto che anche tecnicamente, il nuovo capitolo, è in prima linea come tutti gli altri.

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