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Anteprima

DmC: Devil May Cry

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Avatar di Mugo

a cura di Mugo

Pubblicato il 24/11/2012 alle 00:00
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Milano – Capita che alcune specifiche caratteristiche di un gioco creino una vivace discussione in grado di oscurare il titolo stesso, un po’ come è successo nel caso di DmC: Devil May Cry, reboot delle avventure di Dante, la cui direzione artistica così distante dai canoni della serie è stata capace di stimolare la reazione dei fan più intransigenti. Vorremmo considerare superata quella prima fase di stupore, e sovratastare con la nostra voce la nerdrage, in maniera da far passare il messaggio che sì, lo stile grafico può piacere o non piacere (e a noi piace un sacco), ma dietro alle diatribe sui capelli di Dante si trova un gioco d’azione di grande qualità. Siamo stati invitati negli uffici milanesi di Halifax, il distributore nostrano del titolo, per provare i primi cinque livelli dell’avventura ed intervistare l’uomo che si nasconde dietro alla nuova immagine di Dante: Alessandro Taini, Visual Art Director dei Ninja Theory. 

I demoni di oggi hanno giacca e cravatta 
E’ ormai chiaro che l’idea di Capcom fosse di dare una spolverata di freschezza ad una delle sue serie storiche, del resto non si potrebbe dire altrimenti guardando alla scelta del colosso nipponico di far sviluppare DmC: Devil May Cry ad uno studio di sviluppo europeo. I Ninja Theory hanno saputo convincere la casa di Street Fighter e Resident Evil grazie ad uno stile molto personale (opera, tra l’altro, di un nostro compatriota), ma che ovviamente ha vissuto un’interessante evoluzione dai primi concept alla versione definitiva. 
Non è solo nei videogiochi che lo stile giapponese differisce da quello occidentale, più o meno in tutti i media nella terra del sol levante si prediligono tonalità accese, capigliature stravaganti ed abiti unici non tanto dissimili da quelli che abbiamo imparato ad apprezzare addosso ai vari protagonisti dei videogiochi nipponici. Il Dante di DmC: Devil May Cry è molto più europeo, con dichiarata ispirazione ai mondi di cinema, moda e musica. Proprio un parallelismo con un eroe molto occidentale, Spiderman, viene fatto per giustificare la semplicità del vestiario del nostro protagonista: tutti gli eroi hanno quella fase di transizione da comune mortale a superuomo e così, proprio come l’Uomo Ragno prende una maschera qualsiasi e sperimenta lanciandosi dai grattacieli di Manhattan, anche Dante è alle prime armi con i suoi poteri e non ha ancora trovato una dimensione definitiva. 
Il titolo dei Ninja Theory è un videogioco incredibilmente attuale, almeno se confrontato con la media dei titoli del suo genere. Certo viene abbandonata l’ambientazione fantasy, ma soprattutto è la rappresentazione del male a non essere più la stessa: oggi il male non è più tanto un demone di fuoco, o uno zombie, oggi il male è più facile da indentificare nelle multinazionali senza etica, nella crisi economica, nel controllo dell’informazione e nella repressione del libero pensiero da parte di governi corrotti. Ora attenzione, non è che non ci siano più i demoni, anzi, le creature infernali sono tantissime ed ognuna più bella dell’altra, ma c’è un continuo sottotesto, volendo ignorabile, che rende la produzione Ninja Theory figlia delle difficoltà e delle conflittualità che vediamo al telegiornale tutti i giorni. 
Pad alla mano 
Ma lasciamo da parte le questioni tutto sommato di contorno e vediamo come si comporta l’ultima avventura di Dante una volta impugnato il pad. Superati i filmati iniziali, ottimamente realizzati, siamo gettati nel vivo dell’azione in un primo livello che è insieme tutorial ed introduzione ai personaggi. Ci vengono svelate, una dopo l’altra, le possibilità offensive offerte al nostro avatar e, fin dalle primissime mosse, non possiamo che apprezzare un sistema di controllo ottimamente studiato attorno alle diverse armi a disposizione di Dante. Poco più avanti entreremo in contatto con l’ascia demoniaca e la falce angelica, entrambe attivabili tenendo premuto il corrispondente tasto dorsale, per scoprire così la grande profondità di combattimenti che permettono di concatenare attacchi provenienti da quattro diverse armi: la spada, le citate ascia e falce, e la coppia di pistole. Senza tacere poi della possibilità di selezionare per ognuna di queste diverse tipologie di colpi, e di chiamare in causa due rampini (uno che ci avvicina ai nemici ed un altro che porta loro alla nostra posizione) per un totale di possibilità veramente soddisfacente. 
Uccidendo i nemici riceveremo dei particolari punti che potranno essere spesi per il potenziamento delle mosse o per l’acquisto di nuove abilità, permettendo al giocatore di individuare lo stile di gioco preferito e di coltivarlo. 
Il nostro consiglio è quello di scaricare la demo resa disponibile proprio in questi giorni, già analizzata nella nostra precedente anteprima, così da provare in prima persona un ottimo sistema di controllo che si presta decisamente bene all’azione tranne che, forse, nelle fasi più platform per le quali non è poi così preciso. 
Il vero nemico è il Limbo 
Come già sappiamo, il nostro eroe tutto strafottenza, alcol e donnine, verrà chiamato ad affrontare la compagine avversaria all’interno di una dimensione parallela, il Limbo, riflesso sbiadito, ma forse più sincero, della nostra realtà. Una dimensione che è stata trattata come un vero e proprio personaggio, con una pelle fatta di architetture in divenire, un sangue nero e melmoso ed un’ossatura di roccia. L’ambientazione reagisce al nostro incedere corrodendo le strutture, smontandole, ricomponendole, viziandole e disegnando venature nere in ogni dove. Appaiono scritte che fanno trapelare le intenzioni del Limbo (kill him, stop him) e la struttura dei livelli è continuamente modificata in uno splendido accartocciarsi ed implodere che traccia percorsi alternativi. 
Il Limbo ha un’anima europea, lo si vede nelle vetrate gotiche delle cattedrali, nelle pavimentazioni delle strade, negli edifici bassi e caratteristici, del resto non è affatto un mistero che ci si possa trovare un po’ di Genova (e dell’Italia tutta), di Barcellona e di Parigi. I richiami al surrealismo, poi, sono in ogni dove, con piattaforme sospese, pareti che colano su loro stesse ed architetture visionarie, a consacrare una direzione artistica tra le più personali e indovinate. 
Ad accompagnare tanta beltà ci pensa una colonna sonora forte della collaborazione con i Noisia ed i Combichrist, per un mix di techno e metal decisamente azzeccato. Chiude il paragrafo dedicato al lato più tecnico una menzione al performance capture, tecnologia che ha permesso una fedele riproduzione dei movimenti dei personaggi grazie anche alla collaborazione con lo stesso studio responsabile delle animazioni di Avatar. 
Intervista ad Alessandro Taini, Visual Art Director 
Spaziogames: Qual’è stato il percorso che ti ha portato a lavorare con i Ninja Theory? 
Alessandro Taini: Sinceramente devo confessare di non essere mai stato, da bambino, un videogiocatore, le mie passioni erano le illustrazioni ed il mondo del cinema. Il mio percorso lavorativo è iniziato nella pubblicità in Italia, a Genova, per poi continuare nel Regno Unito dove ho cercato lavoro come concept artist nel cinema. Sono stato un po’ a Londra, ma senza esperienza non è stato tanto facile trovare un lavoro fisso, mandavo disegni ovunque! Un giorno la mia attesa è stata premiata, i Ninja Theory mi hanno contattato ed ho scoperto la profondità del mondo dei videogiochi, un mondo al quale non pensavo molto, ma che mi ha stupito fin dal primissimo trailer di Heavenly Swords che mi hanno fatto vedere. Il nostro è un ottimo rapporto, siamo cresciuti insieme, a loro è piaciuto il fatto che io non avessi un backgorund videoludico e quindi potessi portare un’esperienza diversa dal solito. 
SG: Tu sei l’uomo dietro al nuovo look di Dante, hai sentito la pressione delle critiche di alcuni giocatori? 
AT: Assolutamente no! Sai, non sono da solo a fare le cose, siamo una squadra e soprattutto abbiamo sempre avuto il pieno sostegno di Capcom in ogni fase. Ci fossero state discussioni magari non sarebbe stato facile, ma invece ci hanno spinto molto a fare qualcosa di personale senza alcun ripensamento. 
SG: Durante la presentazione hai citato Caravaggio e Dalì come influenze nella tua visione artistica, puoi spiegarci meglio cosa intendevi? 
AT: Quando posso, e non sempre succede, mi piace utilizzare i grandi maestri come riferimento. Per me avere una forte ispirazione artistica rende le cose più facili per lo spettatore, permettendogli di capire, magari anche inconsciamente, che tipo di atmosfera viene evocata dalle immagini. Caravaggio è sicuramente adatto al nostro stile perché usa molto la luce ed il buio: i personaggi escono proprio dall’oscurità, come quando pensi o sogni a qualcosa e dal nero che c’è appena chiudi gli occhi appaiono le immagini.Lo stesso discorso vale per il surrealismo e Dalì, quando hai delle piattaforme sospese o delle architetture visionarie bisogna giustificarle, ma se il riferimento è spudoratamente il surrealismo allora diventa subito accettabile. 
 SG: La mia impressione è che la direzione artistica sia fortemente influenzata da tematiche attuali, ma senza voler trasformare il gioco in un manifesto politico. E’ corretto? 
AT: Sì, ognuno può interpretare quello che vede nel gioco alla sua maniera. Noi volevamo dare al male una connotazione più attuale, come le multinazionali corrotte, o il controllo dell’informazione, la pubblicità martellante… Il Limbo ti parla tramite i poster, magari solo per convincerti a bere una determinata bibita.Se uno coglie questi aspetti bene, se no bene comunque, perché alla fine si tratta di un prodotto di intrattenimento e, soprattutto, di un gioco d’azione. 
SG: Che effetto ha l’art direction sul gameplay? 
AT: Ci si influenza a vicenda, per esempio le piattaforme un po’ surrealiste che per me erano solo estetiche, per i designer sono diventate delle basi d’appoggio per creare nuovi percorsi. Mi dicevano: “Non possono essere lì solo perché sono belle, dobbiamo poterci salire!” 
SG: Durante il primo livello c’è un filmato con un richiamo molto evidente e spiritoso al vecchio look di Dante, è una risposta alle critiche di alcuni giocatori o era presente prima che ci fossero le polemiche? 
AT: In realtà credo che fosse di molto precedente, è qualcosa che risale alla sceneggiatura iniziale, si parla di almeno due anni fa! Comunque ci piace l’idea di non prendere troppo sul serio tutte le polemiche che sono venute fuori.  

– Sistema di combattimento profondo

– Direzione artistica di alto livello

– Dettagli molto curati

DmC: Devil May Cry si è presentato alla nostra prova confermando le ottime impressioni già avute durante i precedenti incontri. Il sistema di combattimento è solido e piacevolmente tecnico, capace di dare grandi soddisfazioni quando si padroneggiano i rapidi passaggi tra le varie armi. La direzione artistica è veramente indovinata e, siamo sicuri, tutti i giocatori non potranno fare a meno di apprezzarne i guizzi più personali. Abbiamo potuto provare i primi cinque livelli dell’avventura e possiamo dire che ognuno era diversamente caratterizzato pur appartenendo ad un unico stile, per un’anteprima che si inoltri di più nel corso dell’avventura non perdete di vista queste pagine.

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