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Alien: Isolation

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Avatar di LoreSka

a cura di LoreSka

Pubblicato il 21/03/2014 alle 00:00
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“Quando uscirai ti tremeranno le mani”, ha scherzato uno dei PR di Creative Assembly poco prima di farmi entrare in una stanza chiusa da una sottile tenda nera. Al suo interno, un sacco di giornalisti seduti. Mi guardo intorno, cerco di intercettare qualche sguardo, ma l’unica cosa che riesco a vedere sono espressioni tra l’attento e il terrorizzato.
Ok, lo ammetto: sono un cagasotto patentato. Il massimo dell’horror che riesco a tollerare è L’Armata delle Tenebre, e confesso che da bambino avevo persino paura di Willy l’Orbo. Quando sono circondato da tante persone, la mia soglia di tolleranza alla paura inizia ad alzarsi in maniera incoraggiante. Ma in questa specifica occasione, varcare la soglia di quella stanza e vedere così tante persone attorno a me strabuzzare gli occhi, contorcersi in qualche smorfia o, addirittura, lanciare il gamepad in aria urlando “oh, fuck it” mi ha fatto un pessimo effetto: mi sono seduto più spaventato che mai. E, a quanto pare, avevo le mie buone ragioni. Perché Alien: Isolation fa davvero paura.
Come il film
Il primo Alien era un film horror. Qualcuno potrebbe obiettare dicendo che, in realtà, Alien è un film di fantascienza. Beh, il film appartiene a entrambi i generi ma, con un certo occhio critico, possiamo tranquillamente affermare che il genere horror è quello preponderante. L’atmosfera è tesa per quasi l’intera durata della pellicola, il pericolo è imminente e improvviso e l’alieno è un nemico da temere davvero.
Gli sviluppatori di Alien: Isolation lo sanno bene. Durante il panel che ha preceduto l’hands on del gioco alla GDC 2014, hanno affermato che la scelta di realizzare un gioco horror anziché uno sparatutto – come è avvenuto in qualsiasi altro prodotto tratto dal franchise di Ridley Scott – è derivata proprio dal profondo rispetto che essi anno nei confronti del film originale. Il lungometraggio è un horror, il suo sequel videoludico deve fare lo stesso.
In precedenza abbiamo già parlato di Alien: Isolation, affermando che gli sviluppatori hanno probabilmente fatto la scelta giusta nel seguire le orme del film che ha dato origine a tutto. Oggi, dopo qualche settimana e nelle mani del vostro prode redattore cagasotto, possiamo confermarlo con una certezza praticamente assoluta.
Una torcia, un motion tracker, un alieno
L’aspetto che caratterizza maggiormente Alien: Isolation è il parziale abbandono del giocatore a bordo della base spaziale Sevastopol dove si trova confinato. Sono tutti morti. I vari ponti sono pieni di cadaveri, alcuni umani e altri replicanti, accomunati tutti da un dettaglio agghiacciante: i loro corpi sono stati letteralmente straziati da qualcosa di letale.
Non passa molto tempo prima di rendersi conto che a bordo della nave si convive con l’inquietante presenza di uno xenomorfo. Un unico, pericolosissimo alieno che è stato capace di creare una tale strage. Ellen Ripley è una miracolata. O, più probabilmente, è una donna maledetta che sta per vivere il peggior incubo che si possa immaginare.
Con noi c’è solo una voce guida, che ci accompagna per le varie fasi di gioco nelle quali l’unico scopo è sopravvivere. All’inizio siamo sprovvisti di equipaggiamento, torcia e motion tracker a parte, e poco dopo ci ritroviamo con in mano una fiamma ossidrica in grado di aprire dei pannelli e di forzare delle porte. Il motion tracker, in ogni caso, è il nostro migliore amico: si tratta dell’unico strumento in nostro possesso in grado di fornirci una posizione approssimativa dell’alieno e del luogo da raggiungere. Ciononostante, qualunque azione nel gioco – anche il semplice camminare – richiede tempo e, spesso, provoca rumore: due elementi che, con uno xenomorfo alle calcagna, possono rappresentare un vero problema.
L’alieno è sulle nostre tracce e, al contempo, è imprevedibile. Merita un plauso il lavoro che i Creative Assembly hanno dedicato all’intelligenza artificiale del nostro unico nemico, che – pur seguendo alcuni pattern standard nelle fasi di “caccia” – si comporta in maniera sfuggente quando tentiamo di nasconderci. Spesso capita di pensare che si trovi in un punto, quando in realtà ce lo troviamo repentinamente alle spalle. Quando l’alieno ci vede, è già troppo tardi: l’intera esperienza di Alien: Isolation si basa sul non essere visti. In breve, è un gioco in cui le meccaniche stealth hanno un ruolo di prim’ordine.
In alcuni casi, il contatto visivo con l’alieno è inevitabile. Lui sa che ci siamo, e di conseguenza non smette un solo secondo di seguire le nostre tracce. Quando l’alieno ci vede le possibilità sono due: cercare un luogo ove nascondersi o correre. La prima scelta ci porta spesso a rannicchiarci sotto ai tavoli, o a chiuderci in armadietti. Anche qui, però, non siamo sicuri: dobbiamo smettere di respirare affinché l’alieno non ci individui. E, anche in questo caso, non è detto che le cose possano andare per il meglio. La corsa, invece, è una scelta disperata, il cui esito appare scontato ma che – in almeno un’occasione – ci ha permesso di raggiungere la fase successiva del livello.
I checkpoint sono distribuiti con parsimonia, e una sezione di gioco potenzialmente completabile in quindici secondi può richiedere anche un quarto d’ora. Gli sviluppatori ci hanno detto che difficilmente un giocatore esperto può terminare una sezione di gioco con meno di tre morti. Nel nostro caso, la fase iniziale ci è costata almeno dieci reload. Per nostra fortuna, i tempi di caricamento sono abbastanza rapidi.
Un’atmosfera potente
L’aspetto che, probabilmente, rende Alien: Isolation un titolo particolarmente efficace è dato dall’atmosfera che avvolge il gioco. Da punto di vista grafico, infatti, non ci troviamo di fronte a un titolo pienamente next gen, nonostante la nostra prova si sia svolta su PS4. Buona l’idea di utilizzare un forte sfocato sulla profondità di campo quando si utilizza il motion tracker, ma i modelli (anche dell’alieno) e gli ambienti non fanno certo gridare al miracolo.
Ottima, invece, l’illuminazione, che con i suoi giochi di luci e ombre accentuati dalla luminosità accecante della stella rossa attorno a cui orbita la nostra stazione spaziale, creano un effetto davvero straordinario, che contribuisce in maniera significativa a plasmare l’atmosfera di cui abbiamo parlato poc’anzi.
A completare il tutto il sonoro: il beep del motion tracker – con ogni probabilità – diventerà il suono dei vostri incubi. Quando l’aggeggio inizia a strillare troppo rapidamente, sapete che da un momento all’altro le cose finiranno molto ma molto male.

Alien: Isolation non è un gioco per i deboli di cuore. L’atmosfera è costantemente tesa, e ogni passo è potenzialmente letale. Questa prova, durata meno di mezz’ora, ci ha indubbiamente lasciato un’ottima sensazione. Resta da capire se le stesse meccaniche verranno reiterate per l’intera durata dell’esperienza, un aspetto che potrebbe indubbiamente viziare il risultato finale. Ma, allo stesso modo, siamo sempre più convinti che questo diventerà presto il gioco che i fan di Alien stanno aspettando da anni.

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