Recensione

Yakuza 0

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a cura di Gianluca Arena

Senior Editor

Poche serie videoludiche rappresentano una nazione ed una cultura come Yakuza di Sega fa con il Giappone: mode, stili di vita, scorci di vita vissuta si mescolano a leggende, non dissimili da quelle che nel nostro paese vengono associate alla mafia.
Yakuza 0 segna, quantomeno in occidente, lo sbarco della saga su Playstation 4, nonché l’incipit delle storie legate a due dei personaggi più amati della serie, Kazuma Kiryu e Goro Majima, due figura tanto simili quanto diverse, legate a doppio filo in questo episodio come in quelli successivi.
L’ambientazione è quella del Giappone della fine degli anni ’80, un cambio di marcia abbastanza netto rispetto a quanto visto finora, ma dialoghi, stile narrativo e caratterizzazione dei personaggi rientrano pienamente nei canoni che hanno reso questo franchise uno dei più popolari ed amati nel paese del Sol Levante. Pronti a cotonarvi i capelli e darci dentro col karaoke?
La mafia giapponese ai tempi dei Queen
Il comparto narrativo della serie Yakuza, pur puntando su una serie di tropoi che si sono ripetuti nel corso dei vari capitoli, ha sempre garantito standard qualitativi eccellenti: il talento degli sceneggiatori giapponesi quando ci sono da tratteggiare un dramma umano, una situazione complessa, un dilemma interiore non è in discussione, e, sotto questo punto di vista, non solo Yakuza 0 non fa eccezione, ma anzi riesce a segnalarsi come uno degli episodi più riusciti della serie.
Per tutta la durata dell’avventura, il giocatore viene palleggiato tra le vicende di Kazuma Kiryu, giovane recluta della Yakuza di Kamurocho, e Goro Majima, pecora nera del Tojo Clan: l’uno viene incastrato ed accusato di un omicidio che non ha in realtà commesso, mentre l’altro vive all’interno di una gabbia invisibile, costretto a gestire un locale notturno per espiare le sue colpe all’interno della famiglia.
Come per i capitoli che lo hanno preceduto, e, siamo sicuri, anche per quelli che seguiranno, non è solamente la qualità dell’intreccio in sé ad innalzare la trama di Yakuza 0 rispetto alla media delle produzioni contemporanee, quanto piuttosto l’abilità degli sceneggiatori di tratteggiare personaggi credibili, a trecentosessanta gradi, il cui carisma trasuda dallo schermo.
Sebbene reagiscano in maniera molto “giapponese” alle avversità che la vita da yakuza propone loro, tanto Kiryu quanto Goro riescono a generare empatia nel giocatore, rivelando il loro lato più umano e cedendo alle emozioni più semplici, dalla rabbia alla compassione, le stesse che animano le giornate di chi sta al di qua dello schermo.
Meri ingranaggi in una macchina molto più grande di loro, entrambi provano ad agitarsi furiosamente per scampare ad un destino che a tratti pare inevitabile, cercando, nel contempo, di mantenere una parvenza di condotta morale in un mondo assetato di sangue e soldi e regolato dall’obbedienza cieca a dettami crudeli ed insensati. Al centro delle vicende di entrambi c’è un semplice lotto vacante, un maleodorante vicolo ancora libero in quella giungla di cemento ed insegne al neon che è Kamurocho (la versione fittizia di Kabukicho) alla fine del 1988, quando hanno inizio le vicende raccontate.
Se tutti i titoli precedenti ruotavano attorno alla figura del protagonista indiscusso, Kazuma, Yakuza 0 indugia molto anche su Goro Majima, personalità non meno complessa ed affascinante, capace di strappare un sorriso e, pochi secondi dopo, di lasciare allibiti per la ferocia con cui persegue i suoi nemici. Prima ancora che un videogioco con pregi e difetti, quindi, Yakuza 0 è un dramma interattivo, una storia di mafia à la giapponese, in cui, per lunghi tratti, il piacere di vedere l’evolversi della storia supererà quello ludico in senso stretto.
Botte, appartamenti e night club
La struttura portante di Yakuza 0 è la medesima dei titoli che l’hanno preceduto, ma, nel suo piccolo, questo prequel porta in dote una novità che speriamo di rivedere da qui in poi all’interno della saga. Ci stiamo riferendo agli stili di lotta, tre per entrambi i personaggi selezionabili più un quarto sbloccabile al raggiungimento di determinate condizioni: si può passare da uno all’altro in qualsiasi istante, anche nel bel mezzo dei combattimenti, alla semplice pressione della croce direzionale, e ognuno di essi modifica radicalmente l’approccio ai combattimenti.
Kiryu può contare sul Brawler, uno stile bilanciato che ricorda molto quello classico con cui il Drago di Dojima combatteva anche negli episodi precedenti, sul Rush, che enfatizza la velocità di movimento e la capacità di schivare gli attacchi in arrivo, e sul Beast (il nostro preferito), che lo trasforma in un bruto che attacca gli avversari con pose da orso e impugna ogni oggetto che gli capita a tiro per seminare morte e distruzione.
Goro, dal canto suo, si può barcamenare tra lo stile Thug, quello di partenza, senza difetti né pregi evidenti, il Breaker (il nostro preferito), una curiosa via di mezzo tra la Capoeira e la break dance, focalizzata sul gioco di gambe e sul crowd control, e lo Slugger, la cui peculiarità è rappresentata dall’utilizzo di armi da combattimento che non si consumano con l’uso, la prima delle quali è una mazza da baseball.
Ognuno dei tre stili possiede un albero delle abilità dedicato e il loro utilizzo, opzionale durante le risse da strada comuni, dove torna utile più che altro per aumentare la varietà ed allontanare la ripetitività, diviene spesso obbligatorio per fronteggiare alcuni dei boss della campagna, che adottano stili differenti. Alcuni di essi tendono a parare tutti gli attacchi, altri puntano tutto sull’offensiva, mentre altri ancora si fanno aiutare da decine di sottoposti: per ogni sfida c’è lo stile giusto, e ogni giocatore svilupperà le proprie preferenze a seconda dei gusti personali. Per apprezzare al meglio il lavoro del team di sviluppo, comunque, consigliamo di aumentare da subito la difficoltà a Difficile, perché, altrimenti, pochissimi scontri (e tutti concentrati negli ultimi tre capitoli) creeranno davvero grattacapi al giocatore.
Il sistema di crescita dei due personaggi è legato al denaro e non all’esperienza: i soldi guadagnati tramite i combattimenti e le attività secondarie di cui parleremo a breve potranno essere investiti per sbloccare perk e skill dai già citati alberi degli stili di lotta, così da rendere il personaggio il più vicino possibile ai gusti del giocatore: è possibile concentrarsi solo sull’aumento di energia base, sulla velocità, sui contrattacchi, oppure optare per un personaggio più bilanciato.
Più che in altri capitoli della saga, allora, guadagnare un fiume di yen svolgerà un ruolo primario nell’economia del gameplay: Kazuma potrà gestire, dalla seconda metà dell’avventura, una società immobiliare, investendo i guadagni nell’acquisto di nuovi immobili e affittandoli per trarne una rendita, mentre Majima diverrà manager di un secondo locale oltre al Grand, e, battagliando la concorrenza a colpi di ragazze avvenenti e drink di qualità, potrà ottenere fondi quasi illimitati.
Dedicarsi a queste attività non è sempre fondamentale per l’avanzamento nella trama, ma i modelli gestionali pensati dal team di sviluppo funzionano egregiamente, nella loro semplicità, e i ricavi possono tornare molto utili per farsi forgiare delle armi di qualità dall’armaiolo di Goro o scommettere sui combattimenti tra donne (?!?) nei panni di Kiryu. Per il resto, il ritmo del gameplay è quello che conosciamo: agli eventi focali per la storyline principale si accompagnano una miriade di attività secondarie (tra cui segnaliamo versioni pixel perfect di classici Sega come Super Hang-On e Out Run), delle piccole storie autoconclusive sparse per le due mappe e alcune semplici missioni di consegna di oggetti a degli NPC.
E se non vi cimentate almeno un paio di volte con il karaoke, il biliardo o le freccette (con tanto di modalità versus online) significa che non siete entrati in sintonia con lo spirito del Giappone degli anni ’80 di cui Yakuza 0 si fa latore: non dite che non vi avevamo avvisati.
Sorpresa positiva
Consci dello sviluppo multi-gen cui il gioco è andato incontro, visto che in patria è uscito anche su Playstation 3, siamo rimasti piacevolmente colpiti dal comparto tecnico di Yakuza 0, se non in senso assoluto, quantomeno rispetto ai precedenti capitoli della saga. Come da tradizione, l’aspetto che ha ricevuto maggiori attenzioni è rappresentato dalle espressioni facciali del cast di protagonisti, talmente credibili da rendere quasi impercettibile il passaggio tra i filmati prerenderizzati e quelli gestiti in tempo reale dal motore di gioco.
In ognuna delle scene è facile leggere negli occhi dei personaggi le loro emozioni, il che contribuisce ad avvicinarli al giocatore e a renderli vividi e realistici: sotto questo aspetto, i passi avanti rispetto al quinto capitolo sono evidenti. Anche altri elementi hanno beneficiato della maggior potenza di calcolo di PS4: il numero di passanti per le strade di Kamurocho e Sotenbori è aumentato considerevolmente, e le loro reazioni ai comportamenti del giocatore rese maggiormente credibili. Per quei pochi fortunati che capiscono qualche parole di giapponese, consigliamo di strattonare le varie categorie di persone in strada: un manager ingessato risponderà molto diversamente da una studentessa in divisa scolastica…
Si assiste anche a un miglioramento generale del framerate, che mostra poche indecisioni e solamente in scene particolarmente affollate, della complessità poligonale dei modelli dei personaggi principali e nel numero di animazioni di congiunzione tra i vari movimenti del corpo. Permangono, comunque, problemi storici della saga come texture in bassa risoluzione, frangenti in cui si assiste a fenomeni di bad clipping, compenetrazioni poligonali assortite e una generale piattezza di tutti gli NPC secondari: crediamo che solamente abbandonando definitivamente la scorsa generazione di console queste problematiche potranno essere risolte una volta per tutte.
Il versante audio, dal canto suo, si ripropone sui livelli di eccellenza cui la serie ci aveva abituato: il doppiaggio giapponese è di caratura cinematografica, con attori professionisti anche discretamente famosi nel Sol Levante, e la colonna sonora offre un assaggio assai gustoso delle sonorità degli anni ’80, pur non contando su alcun pezzo su licenza noto a noi occidentali.
Anche la longevità complessiva, pur non raggiungendo le vette di Yakuza 5, è al livello di quella dei JRPG più imponenti: la sola questline principale, composta da diciassette capitoli, richiede almeno quaranta ore per essere completata, e questo valore può essere tranquillamente raddoppiato qualora il giocatore dovesse decidere di abbandonarsi alle numerosissime attività secondarie di cui entrambe le mappe sono piene. Qualcuno potrebbe obiettare che quasi la metà di questo monte ore sia spesa a guardare cutscene, ma in un titolo dallo stampo fortemente narrativo come Yakuza 0 non crediamo la cosa costituisca un problema.

Per ulteriori approfondimenti qui trovate gli speciali pubblicati nei giorni scorsi: Retrospettiva sulla saga di Yakuza e Il futuro di Yakuza

– Gli stili di combattimento aggiungono varietà

– Narrativa sempre avvincente

– Espressioni facciali meravigliose

– Irrinunciabile per i fan del franchise…

– Gameplay quasi identico al passato

– Qualità altalenante di minigame e storie secondarie

– …ma non per tutti gli altri

8.0

Lento, verboso, senza novità eclatanti. Eppure Yakuza 0 è molto di più della somma delle sue parti: è uno spaccato di una intera cultura, una fotografia impeccabile del Giappone degli anni ’80, un coacervo di emozioni, personaggi memorabili, vicende mai banali.

Nel passaggio da Playstation 3 a PlayStation 4 a guadagnarci è stato soprattutto il comparto visivo, adesso strabiliante nella riproduzione delle espressioni facciali, ma la base del gameplay è rimasta quasi immutata, tra una scazzottata particolarmente brutale, un minigame follemente nipponico e storie secondarie talvolta brillanti, talaltra pedestri.

Gli appassionati della serie lo ameranno alla follia, e scopriranno retroscena e frammenti inediti delle storie personali di Kazuma Kiryu e di Goro Majima, ma difficilmente i detrattori si avvicineranno a questo episodio dopo aver snobbato i precedenti. Prendere o lasciare: Yakuza 0 è unico, latore dell’anima giapponese, e, nel bene e nel male, continua a muoversi su binari noti ma non per questo meno divertenti.

Voto Recensione di Yakuza 0 - Recensione


8