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Recensione

Tokyo Mirage Sessions FE

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Avatar di Gianluca Arena

a cura di Gianluca Arena

Editor

Pubblicato il 22/06/2016 alle 00:00
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Il Verdetto di SpazioGames

8

Dopo un’attesa snervante, fatta di lunghi e assordanti silenzi e qualche anticipazione data a spizzichi e bocconi, con un titolo cambiato in corsa da Shin Megami Tensei X Fire Emblem a Tokyo Mirage Sessions FE, la coproduzione Atlus/Nintendo è finalmente pronta a invadere gli scaffali dei negozi nostrani, sia in versione fisica (con tanto di gustosa Fortissimo Edition) sia in digitale, ammesso che i ristretti hard disk dei vostri Wii U abbiano ancora circa tredici giga di spazio libero.
Dopo una serie di trailer che hanno stravolto le aspettative di quanti pensavano a un crossover puro tra due delle serie più amate delle software house giapponesi, andiamo a scoprire insieme cos’è e che esperienza di gioco propone questo peculiare prodotto, che probabilmente non piacerà a tutti ma ha coraggio da vendere.
Spogliarsi dei preconcetti
Per apprezzare appieno il lavoro svolto e godere della migliore esperienza di gioco possibile, è opportuno che, esattamente come abbiamo fatto noi prima di avviare il gioco per la prima volta, vi spogliate di tutti i preconcetti e delle aspettative su ciò che pensavate di trovare in questo prodotto: Tokyo Mirage Sessions FE non è un crossover nel senso più stretto del termine, non è un gioco di ruolo con influenze da rhythm game (sappiamo che qualcuno di voi aveva anche pensato a Persona Dancing All Night), non è un tipico prodotto Atlus, e, dulcis in fundo, della pluripremiata saga creata da Intelligent Systems porta solo il nome (e un paio di gingle, come quello al passaggio di livello dei personaggi).
Non discuteremo in questa sede i perché ed i come di un’operazione commerciale che lascia perplessi sotto molti punti di vista, a partire dallo scarso battage pubblicitario di cui ha potuto godere il prodotto, per finire con la scelta di accantonare una possibile unione tra due delle saghe più amate di sempre tra gli appassionati di JRPG giapponesi. Il motivo è semplice: essendoci molto da dire in merito, finiremmo con l’oscurare un prodotto che, dopo le prime fasi di disorientamento e parziale delusione, è riuscito a conquistarci, regalandoci circa una quarantina di ore di divertimento.
Questa premessa era necessaria perché Tokyo Mirage Sessions FE si è dimostrato un prodotto atipico, che tratta temi molto inconsueti in ambito ruolistico, pur accoppiando ad essi un’ambientazione e una storia che hanno molto in comune con i precedenti prodotti made in Atlus: crediamo che solo chi saprà valutare il gioco per quello che è, al netto delle aspettative e delle speranze nutrite per mesi, ne apprezzerà elementi oggettivamente ben sviluppati, dal combat system allo stile generale, senza dimenticare la profondità strategica di molte delle scelte lasciate in mano al giocatore.
La vicenda è ambientata nella Tokyo dei giorni nostri, all’interno della quale si muovono tre amici, Itsuki Aoi, nostro alter ego a schermo, Touma Akagi, imbranato ma generoso amico di una vita e Tsubasa Oribe, probabilmente la vera protagonista dello show (in tutti i sensi): mentre assisteva ad un concerto della sorella, idol amatissima dai teenager nipponici, Tsubasa ha visto scomparire nel nulla tutti i presenti, da sua sorella al pubblico, rimanendo l’unica sopravvissuta.
Gli eventi prendono il via cinque anni dopo, quando ad una Tsubasa diciottenne, che non ha mai smesso di cercare la sorella, sembrano schiudersi le stesse porte dello show business: dietro ai lustrini e al successo, però, ci sono i Mirage, creature simili a spettri che si impossessano degli umani per prosciugarne il Performa, energia vitale che ne contiene, tra le altre cose, anche il talento e la capacità di entrare in empatia con il pubblico.
Di qui, si snoda una main quest ben scritta, affatto estranea a temi molto cari alla software house giapponese (il culto per i demoni, per l’occulto, per gli universi paralleli) ma con un setting e dei risvolti più unici che rari per i giochi di ruolo made in Japan, a metà tra la simulazione di talent show e la vita quotidiana di un teenager con gli occhi a mandorla.
La stessa scelta di non localizzare il gioco, affiancando al parlato giapponese i soli sottotitoli in inglese, che potrebbe allontanare le masse dal prodotto, è però coerente con l’ambientazione e il sapore inconfondibilmente giapponesi che caratterizzano il prodotto.
Tre attori, un solo palcoscenico
GamePad alla mano, Tokyo Mirage Sessions FE si gioca come moltissimi altri prodotti Atlus che lo hanno preceduto, con un sistema di gioco da JRPG classico arricchito da un paio di peculiarità, relative soprattutto al sistema di crescita dei personaggi e alla possibilità (che spesso diviene una necessità) di concatenare più attacchi conseguenti.
Di pari passo con il proseguimento della trama, sulla mappa generale di Tokyo, costellata di location visitabili (dai negozi di oggetti alla gioielleria, dove acquistare equipaggiamento), appaiono dungeon da ripulire, strutturati su più piani o, comunque, con una struttura fortemente labirintica, spesso legata anche a piccoli enigmi ambientali come trovare l’interruttore giusto o attivare determinati ingranaggi.
All’interno di questi dungeon, il giocatore è in grado di vedere i nemici, e, in caso lo volesse, di evitarli, colpendoli con l’arma (alla pressione del tasto X) così da metterli temporaneamente fuorigioco: più spesso, però, l’apparizione repentina di questi dal nulla causa combattimenti molto vicini a quelli casuali, che non possono essere evitati.
Poco male, comunque, perché il battle system proposto è sicuramente uno dei punti di forza della produzione: ancor più che negli scorsi titoli della saga Shin Megami Tensei, trovare la debolezza dei nemici risulta fondamentale, perché attaccandoli con l’elemento cui sono vulnerabili, si avvierà una Session, ovvero una concatenazione passiva di attacchi da parte di tutti e tre i membri del party, che non può essere interrotta né contrattaccata da parte dei nemici.
Così, ad esempio, “castando” uno Zio (i nomi degli incantesimi sono quelli classici delle serie Atlus) su un nemico debole ai fulmini, si attiveranno, se equipaggiati, gli attacchi cooperativi di uno o di entrambi gli altri membri del party, che infliggeranno danni ingenti ai nemici, con il plus di trasferirsi ad un altro dei mostri affrontati nel caso in cui il bersaglio originario dovesse morire prima della fine della Session.
E qui entra in gioco l’altro elemento notevole, rappresentato da un sistema di crescita dei personaggi legato ai Mirage equipaggiati: ogni personaggio tra quelli disponibili ha un suo Mirage, che però si evolve a seconda delle scelte del giocatore, cui è garantito un buon ventaglio di scelte già dopo le prime ore di gioco.
Ottenendo buone performance durante i regolari combattimenti, il party guadagnerà una serie di oggetti, utili a far evolvere i Mirage in forme differenti, ognuna delle quali porta in dote abilità peculiari, che si imparano salendo di livello: dopo un tot di livelli, ogni nuovo Mirage esaurisce il bacino di abilità che è possibile imparare da esso, e va quindi sostituito, per non ostacolare la crescita globale degli alter ego dei personaggi.
Ad ogni nuova abilità imparata, il giocatore è chiamato a fare una scelta, visto che il numero delle skill equipaggiabili contemporaneamente è limitato: potenziare l’incantesimo di guarigione o munire il proprio Mirage di un attacco fisico che infligge lo status “veleno”? Dotarsi di una magia d’attacco multipla o dell’abilità di rimuovere gli stati alterati dai propri commilitoni?
Tokyo Mirage Sessions FE consente di forgiare il proprio party come meglio si crede, e, nel mettere il tutto nelle mani del giocatore, lo responsabilizza: diversificare i membri del proprio party e saper scegliere quali abilità si rivelano più utili contro determinati boss è fondamentale per uscire indenni dall’ultimo terzo del gioco, l’unico che offre un livello di sfida all’altezza dei prodotti Atlus del recente passato, visto che la difficoltà media si è abbassata.
Questa mossa, considerato anche il taglio più sbarazzino dato ai personaggi e al plot centrale, rende Tokyo Mirage Sessions FE uno dei prodotti più accessibili della recente storia della software house nipponica, capace comunque di regalare belle soddisfazioni anche ai veterani, a patto di scegliere da subito il livello difficile.
Molto apprezzabile, infine, la presenza di numerose side quest dedicate ai membri del proprio party, al completamento delle quali è possibile sbloccare costumi alternativi per gli stessi, mosse speciali assai buffe ma di grande potenza, che si attivano randomicamente in luogo dei normali attacchi, e dialoghi inediti, volti a rafforzare il livello d’intesa in combattimento e dei gustosi retroscena narrativi.
Style over substance
Anche per quanto concerne l’aspetto visivo della coproduzione Atlus/Nintendo ci sono da fare dei distinguo affatto secondari: analizzando solamente il lato tecnico, e soffermandosi, quindi, sulla conta poligonale, sulla modellazione dei personaggi, sugli ambienti di gioco, sulle animazioni che muovono protagonisti ed antagonisti, Tokyo Mirage Sessions FE non meriterebbe il voto complessivo che abbiamo deciso di assegnare ad esso.
Come per molti altri prodotti Atlus, i personaggi si muovono seguendo pattern legnosi, i dungeon sono visivamente poveri (anche se, almeno, c’è una certa varietà), il numero di animazioni è tutt’altro che esorbitante e, affiancato alle migliori produzioni viste su Wii U, il lavoro dei grafici nipponici non brilla affatto per qualità complessiva.
Se, al contrario, al di là dei poligoni e dei meri tecnicismi, siete attratti dalla cifra stilistica di un prodotto, dal character design, dalla coerenza di un intero universo con la storia raccontata, allora non potrete rimanere indifferenti di fronte al tripudio di colori, di pop glamour e di gioia di vivere che trasuda da ogni fotogramma del prodotto, che, non a caso, ha riscosso un successo fuori scala, da questo punto di vista, in patria, generando merchandising a profusione (magliette, cappellini, abbigliamento ufficiale e non).
La rappresentazione dei personaggi è fresca e colorata, e persino la rivisitazione di eroi del mondo di Fire Emblem (Chrom su tutti) non spiacerà nemmeno ai fan più accaniti della creatura di Intelligent Systems: Tokyo Mirage Sessions FE ha stile da vendere, a meno di non odiare profondamente molti aspetti della cultura e dell’iconografia giapponese (nel qual caso, però, difficilmente stareste leggendo queste righe).
In un titolo così incentrato sul mondo della musica e dello show business, poi, non poteva  non farsi notare una colonna sonora strepitosa, con un gran numero di tracce cantate da idol realmente esistenti, che, sebbene di difficile comprensione (non sappiamo voi, ma il nostro giapponese è abbastanza limitato…), fanno comunque leva sul senso del ritmo e sull’orecchiabilità dei ritornelli: la colonna sonora è compresa nella Fortissimo Edition, e sul suolo nipponico è stata venduta separatamente, generando profitti non trascurabili, per quello che può valere qui in occidente, dove comunque i gusti sono assai differenti.

– Inaspettatamente profondo e divertente…

– Combat system bilanciato come da tradizione Atlus

– Trama ed ambientazione quasi inediti per il genere

– Stile da vendere…

– … A patto di non aspettarsi Fire Emblem e Shin Megami Tensei insieme

-… Ma tecnicamente solo poco più che sufficiente

8.0

Nonostante continuiamo a non capire il motivo di utilizzare il nome di brand noti per promuovere un prodotto che con questi non ha poi troppo in comune, dobbiamo ammettere di essere rimasti piacevolmente sorpresi da Tokyo Mirage Sessions FE, che si è rivelato un JRPG godibile, che non ha paura di osare in quanto a setting, tono narrativo e caratterizzazione dei personaggi.

A condizione che non vi aspettiate di trovarvi dinanzi a figure note o ad un mash up di Shin Megami Tensei e Fire Emblem, e che il vostro inglese sia quantomeno buono, questo è un prodotto che merita una raccomandazione, non fosse che per il solido combat system e il profondo e variegato sistema di crescita dei personaggi.

Probabilmente non venderà milioni di copie, ma ciò non toglie che il lavoro svolto da Atlus e Nintendo sia di buonissima fattura.

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