Recensione

Polyrace

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a cura di Marzo

Polyrace è il figlio brutto di Race the Sun. È la prima volta che cominciamo un articolo con un giudizio così crudo, tagliente e negativo, ma l’opera dei ragazzi di BinaryDream incarna il tentativo fallito di emulare il successo del proprio padre; crollando laddove il gioco di FlippFly era riuscita a stupire. Cuore pulsante di questo racing arcade è la generazione procedurale dei circuiti, implementata al fine di garantire una maggior rigiocabilità: questa feature, combinata con un interessante e bilanciato ecosistema di veicoli e power-up, avrebbe potuto rendere Polyrace un titolo almeno discreto per coloro che vivono di pane e acceleratore. Purtroppo non è andata così, come avrete già intuito dalla frase d’apertura e dal laconico voto che grava come spada di Damocle su questi piccoli paragrafi.

Alla ricerca della progettualitàI fattori che concorrono all’affossamento di Polyrace sono numerosi e cominciano a essere tangibili dopo i primi passi nel menù Missioni, modalità che permette al giocatore di affrontare alcune piste create dagli sviluppatori gareggiando contro il loro ‘fantasma’. Fin dai nastri di partenza si perde quindi il concetto stesso di procedurale; gli stage sono già studiati nel minimo dettaglio e non offrono la minima variazione a ogni ‘game over’, trasformandosi quindi in classici circuiti da imparare a memoria come ogni altro tipico racing game che si rispetti. Un cambio di paradigma che spazza via le carte in tavola, rendendo ancor più fragile la struttura ludica e aprendo così il fianco ad un’altra serie di critiche contingenti. Il gameplay non riserva infatti alcuna piacevole sorpresa o variazione, risulta fiacco e banale e si basa interamente sull’unica pressione continua del tasto ‘spazio’ e delle frecce direzionali. La presenza di power-up non è contemplata, così come nell’HUD non compare una barra di stamina che avrebbe limitato l’infinito abusare del turbo, mostrando come anche la meccanica più semplice possa sprofondare nella banalità se gestita superficialmente. Anche la gestione dello scudo rigenerante, che rappresenta l’energia del veicolo, è studiata nel modo più dozzinale possibile: in certi casi esso può assorbire il danno ricevuto dallo scontro con gli oggetti presenti nella mappa, riuscendo quindi a salvarci dalla morte in cambio della perdita di qualche secondo prezioso, in altri invece può non sortire alcun effetto portando così il veicolo a esplodere come un petardo il giorno di Capodanno. L’entità del danno non viene segnalata e ogni meccanica di “learn-by-doing” viene quindi meno, sostituita da una più grottesca imitazione del gioco d’azzardo ogniqualvolta ci si scontra con un ostacolo posto nel circuito. Segnaliamo inoltre una curva di difficoltà estremamente mal bilanciata, almeno nella modalità Missioni: si spazia dai primi circuiti dove si può giungere a fine gara senza mai pigiare il tasto del freno ad altri che, d’un tratto, fanno rimpiangere i guardiani di Anor Londo in quanto a nervi distrutti. Pare uno scherzo, ma la generazione procedurale che sta alla base di Polyrace avrebbe costruito piste migliori, grazie ad algoritmi ben studiati che propongono circuiti impegnativi ma mai frustranti.

C’è nessuno qui?Finora abbiamo parlato delle sole Missioni, ma il titolo di BinaryDream propone altre tre modalità, purtroppo molto simili tra loro e senza una reale distinzione. La seconda, Allenamento, permette di creare una partita selezionando il proprio hovercraft, l’ambiente in cui generare il circuito e il tipo di gara. La scelta tra i quattro veicoli proposti è praticamente obbligata a seconda del tipo di gara impostato: due sono ottimi per il Time Attack, che consiste nel raggiungere un traguardo entro il tempo limite, gli altri invece sono necessari nelle modalità Distance o Endurance, che prevede lo stabilire un record di distanza senza che l’hovercraft venga distrutto. La terza modalità, Challenge, permette di creare una sfida come in Allenamento, condividendola poi con il resto del mondo; inoltre è possibile accettare le missioni proposte dagli altri giocatori attraverso l’inserimento di un codice univoco. Race of the Day, invece, è semplicemente la proposta giornaliera di una gara customizzata e generata proceduralmente, dotata della più classica leaderboard che permette di confrontarsi con gli sfidanti di tutto il mondo. Ma quale mondo? I server sono purtroppo deserti ed è molto probabile che, affrontando una gara online nel peggiore dei modi, si possa arrivare comunque primi nelle classifiche mondiali. Una bella soddisfazione per narcisi professionisti, una brutta notizia per altri. Anche dal punto di vista audiovisivo il gioco non riesce a bilanciare le gravi insufficienze elencate nei paragrafi precedenti: Polyrace sfoggia infatti un’estetica da pochi poligoni mal costruita, con evidenti problemi di art direction e indecisioni progettuali; dalle nuvole con contorno nero agli elementi di scena realmente poco ispirati e facilmente dimenticabili. Nemmeno la colonna sonora riesce a lasciare il segno, con beat elettronici che rimangono perlopiù anonimi e riescono solamente a infondere quel poco di adrenalina al giocatore durante le fasi di guida.

– Buon senso di velocità

– Algoritmo procedurale ben scritto

– Gameplay dozzinale e superficiale

– Le modalità presenti sono troppo simili tra loro

– Direzione artistica dimenticabile

– Server online deserti

– Gravi problemi di bilanciamento

4.5

Polyrace è purtroppo un titolo minato da gravi difetti progettuali che non riesce a raggiungere nemmeno la sufficienza: la sua colpa non è la palese aspirazione a divenire un nuovo Race the Sun, bensì risiede nella superficialità che regna in ogni aspetto, dal gameplay alla direzione artistica. Un buon senso di velocità e un ottimo algoritmo di generazione dei circuiti non salvano quindi Polyrace dal forte impatto con la realtà, gettando l’opera di BinaryDream nei più oscuri meandri del catalogo di Steam alla voce titoli da dimenticare.

Voto Recensione di Polyrace - Recensione


4.5