I videogiochi in streaming, croce e delizia dei tempi moderni

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a cura di Valentino Cinefra

Staff Writer

Quando si parla di “videogiochi in streaming” il nome che viene in mente è indubbiamente quello di Twitch. Il portale, nato nel 2011 come costola di Justin.tv quasi come un esperimento, è il Re indiscusso della trasmissione in tempo reale di contenuti riguardanti videogiochi. Che sia il canale di una testata giornalistica o sito d’informazione (a proposito: iscrivetevi a quello di SpazioGames!), il profilo privato di uno streamer, oppure un canale ufficiale di un publisher o di un ente che si occupa di esport, Twitch è un portale sempre più seguito da una pletora sempre più vasta, e demograficamente varia, di giocatori e non. Questo perché Twitch, al pari di YouTube, ha visto catalizzare su di sé una varietà di offerta considerevole nel tempo. Come detto, su Twitch si guardano i tornei ufficiali, le celebrità del web preferite, le iniziative dei portali di informazione, e tanto altro: c’è materiale per ogni tipo di giocatore.Poi arrivò YouTube Gaming, ed in generale una serie di altre piattaforme minori – spesso legate ad eventi specifici come l’E3 oppure il Blizzcon – che si occupano di trasmettere videogiochi e contenuti ad esso collegati. È interessante notare come queste piattaforme siano un mondo a parte, ancor di più del Web in generale, perché fatte di sue regole e dinamiche più o meno note, leggi scritte e non scritte per vivere e sopravvivere all’interno di esse. Mondi, così come quello della “rete libera” in generale, nati per essere un’alternativa alla comunicazione tradizionale ma che, col tempo, si sono avvicinate sempre di più alle dinamiche di televisione e radio, fino a vivere processi e dinamiche del tutto similari. Pensiamo alle cose che succedono nei “dintorni” di Twitch. Ogni giorno si succedono faide tra streamer, polemiche, diatribe legali, spesso legate a comportamenti che infrangono il codice di comportamento della piattaforma. Ma ogni tanto ci sono anche contenuti più o meno sponsorizzati che vanno dal reveal del gioco/hardware del momento, fino alla trasmissione di contenuti legati più o meno alla spontanea volontà dello streamer di turno di parlare di un determinato prodotto. Pensiamo al successo straripante di PlayerUnknown’s Battlegrounds, un prodotto che in un’epoca diversa non avrebbe lasciato le mura dello studio di sviluppo. La storia del titolo è ben nota, perché profondamente legata al passaparola fornito dalle trasmissioni su Twitch, che hanno trasformato un gioco al limite della mediocrità (all’epoca) in un fenomeno culturale ed economico. La storia si ripete ora con Fortnite, ma è in passato c’è stato Minecraft, League of Legends, con le brevi parentesi di Overwatch e tanti altri giochi del momento che hanno visto accrescere o consolidare la propria popolarità grazie a questi portali.Una piccola parentesi, necessaria per capire l’importanza di queste infrastrutture. Grazie a Twitch, il gioco di ruolo cartaceo Dungeons & Dragons ha visto, dal 2015 ad oggi, una rinascita che nessuno avrebbe potuto prevedere. Con le campagne trasmette in tempo reale (tra cui la celebre Critical Role, il cui finale della prima stagione è stato addirittura trasmesso in teatro dal vivo, con pubblico pagante) “D&D” è tornato ad essere un termine chiacchierato e noto ancor prima della fama ricevuta da prodotti terzi come Stranger Things. Talmente tanto che per il gioco di ruolo più famoso del mondo il 2016 ed il 2017 sono stati due anni uno più redditizi dell’anno di sempre, da quando il gioco è stato creato da Gary Gygax nel 1974. Twitch in particolare – ma in generale i portali di streaming – contano, possono influenzare il mercato videoludico e, di base, è un mercato a sé stante. Quando Pewdiepie si esibisce in insulti razzisti la notizia finisce in prima pagina, Ninja viene intervistato dalle più importanti testate economiche del mondo quando dichiara di guadagnare 500 mila dollari al mese, e personaggi come il rapper Drake e Logan Paul non vedono l’ora di giocare a Fortnite su Twitch perché, una volta tanto, è il testimonial che cerca il prodotto e non il contrario.In tutto questo c’è sempre lo spettro di chi dice di non comprendere le persone che guardano chi gioca ai videogiochi, invece di giocarci in prima persona. Una polemica storica nei confronti di YouTube prima, e dello streaming poi che, di base, posso capire. Trovo stucchevole invece la risposta tipica che viene data in questo caso solitamente: “perché allora chi guarda le partite di calcio invece che giocare?”. C’è una differenza madornale, ovvero che per giocare a calcio bisogna sapere 1) giocarci e 2) avere una fisicità adatta a supportare tale attività. Stesso discorso per qualsiasi sport e attività ricreativa trasmessa da qualsiasi canale sia, posso benissimo guardarla senza saperne niente solo per il gusto dell’intrattenimento, ed è ciò che succede esattamente sui portali di streaming videoludico. La platea, infatti, è fortemente cambiata. Non ci sono solo i videogiocatori ma anche (e, forse, soprattutto) persone che dei videogiochi in sé si interessano pochissimo, ma sono più attratti dall’intrattenimento che lo streamer di turno offre. È lo stesso principio per cui i fan del FaviJ di turno non è detto che siano videogiocatori, perché sono attratti semplicemente dall’intrattenitore in sé. Dov’è che si vede un ragionamento del genere? Esatto, nei media tradizionali. Si guarda un film per un attore preferito, si segue una trasmissione perché c’è il conduttore che ci piace, e su Twitch succede anche questo. Personalmente faccio fatica a seguire con costanza queste piattaforme se non per lavoro: probabilmente non sono nel target ideale di pubblico e non credo di volermici impegnare per farne parte. Capisco però chi lo fa, come capisco le aziende che ci investono ogni giorno che sia per gli esport oppure la comunicazione videoludica in generale, come Amazon che ha addirittura acquisito l’intera piattaforma di Twitch, dimostrando grande lungimiranza.Questi portali parlano direttamente al pubblico di riferimento, saltano qualsiasi filtro della stampa degli analisti del settore (PUBG, in mano alla stampa prima che al pubblico, avrebbe ricevuto una ricezione ben diversa) e i dati parlano chiaro. Secondo un rapporto di Limelight Network i giocatori di età compresa tra i 18 e i 25 anni trascorrono più tempo a guardare gli altri giocare ai videogiochi piuttosto che a guardare gli sport tradizionali. Il campione rilevato trascorre in media tre ore e venticinque minuti ogni settimana su servizi di streaming come Twitch, considerando sia gli streaming personali che gli eventi esport.

Twitch ed i portali di streaming sono la televisione dell’epoca moderna per i ragazzi dei tempi moderni, nel bene e nel male. Vive ormai delle stesse leggi e dinamiche che regolano da sempre le forme di intrattenimento tradizionali: culto della personalità pubblica, spazi pubblicitari, contenuti mirati per un target di pubblico misurato con precisione chirurgica. Il tutto saltando il filtro della stampa specializzata e degli analisti di settore, fattore che può decretare il successo di prodotti altrimenti trascurabili come PUBG. Proprio come la televisione propina messaggi ai telespettatori meno attenti e dotati di poco senso critico.