Dalla yakuza a Yakuza

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a cura di Gottlieb

Il 24 gennaio è lo Yakuza day, il giorno in cui il capitolo 0 arriva sul mercato europeo per raccontare Kamurocho diciassette anni prima l’inizio delle vicende di Kazuma Kiryu, il Drago di Dojima. Come abbiamo già spiegato nei nostri speciali, sia la nostra retrospettiva su tutta la saga realizzata da Nagoshi così come nella nostra recensione, preceduta a sua volta sullo speciale che racconta il futuro della saga, Kazuma Kiryu è un fiero elemento della yakuza, la criminalità organizzata giapponese, ritenuta una delle più ricche e temute realtà a livello internazionale. Essendo il Giappone, però, un mondo decisamente lontano da quelle che sono le nostre abitudini e la nostra consuetudine, intendere la yakuza per quello che realmente è non è facile e inevitabilmente si potrebbe finire a inficiare la nostra valutazione della criminalità giapponese con influenze nostrane, soprattutto dopo il florido periodo di Gomorra. Per questo oggi faremo un viaggio all’interno della yakuza, infilandoci nelle strade di Kabukicho, il quartiere dal quale Nagoshi ha ideato Kamurocho per raccontare le vicende del Drago di Dojima.

La nascita della yakuzaLa prima nozione, che è anche quella nota ai più, sulla yakuza è che i capi e la maggior parte dei suoi membri sono attualmente noti al Governo nipponico e sono a piede libero: sovente capita di ritrovarsi dinanzi a delle nuove leggi che provano a inasprire i contatti con la yakuza da parte del normale cittadino giapponese, ma raramente, se non quando Barack Obama intervenne con toni duri, si punta realmente a colpire l’organizzazione mafiosa. La loro vita è in uno stato di semi-libertà, una realtà che potremmo definire impensabile che per gli altri Stati, perché d’altronde in Italia la camorra, ma anche la mafia, con tutte le sue derivazioni, agisce sempre di nascosto e tende a non concedersi alla luce del sole. Come racconta Nagoshi nella sua longeva saga pubblicata da Sega, invece, la yakuza può riunirsi in grandi palazzi del centro di Kamurocho per valutare le proprie future azioni e analizzare, così, le mosse da compiere per le strade del loro quartiere della loro città. Ovviamente il loro stato di semi-libertà è avallato dalla popolazione, ma anche dal Governo, sia per una questione prettamente di quieto vivere, ma anche per un forte senso di tradizione, che in Giappone rappresenta uno degli elementi più pregnanti in assoluto. L’origine della yakuza intesa come filosofia piuttosto che come attività tangibile risale ai tempi dei ronin, i samurai che erano liberi da qualsivoglia padrone e obbligo, quindi assoldati su loro proposta dai privati cittadini che richiedevano sicurezza e protezione dai briganti che si aggiravano attorno alle loro abitazioni. I primi accenni di yakuza risalgono così al 1700, nel pieno del periodo Edo, che prendeva il nome dalla città nella quale si era stabilito lo shogunato della famiglia Yokugawa: quella città, Edo, è l’attuale Tokyo, all’epoca già capitale di un regno feudale che dal 1600 iniziò a prendere forma e a creare le basi della civiltà che oggi tanto ammiriamo e aneliamo di poter raggiungere tra le strade di Shibuya e i ciliegi di Asakusa. Nel ‘700, in ogni caso, la mafia giapponese è generata dalla fusione dei Bakuto, i giocatori d’azzardo, e i Tekiya, ambulanti che controllavano alcune parti del commercio locale in maniera del tutto illegale, così come d’altronde i primi, che venivano dichiarati dei veri e propri fuorilegge. Con l’onore che è tipico dei giapponesi e la promessa di non svelare a nessuno i segreti dell’organizzazione, unito all’obbligo di essere fedeli al proprio capo, iniziò a prendere forma la yakuza: la parola in sé, come viene spiegato dallo scrittore Atsushi Mizoguchi, un veterano osservatore dell’organizzazione criminale tra i più apprezzati a livello culturale e sociale in Giappone, deriva dall’unione di tre termini, ossia ya (otto) ku (nove) sa (tre), il punteggio perdente dello Hanafuda. 

I segni distintivi dello yakuzaIn una delle prime scene di Yakuza 0 Nagoshi decide di mostrarci uno dei momenti più atroci e punitivi della yakuza. Il disonore e l’infedeltà nei confronti del capo richiede all’autore di tale sfregio sociale un sacrificio della mano: l’amputazione di una falange, preferibilmente del mignolo, è il gesto che deve compiere uno yakuza in difetto, e che d’altronde ci mostra Nagoshi dopo averci spinto alla vittoria in una boss battle che chiude il primo capitolo. Il loro indossare degli anelli al mignolo, o anche su altre dita, è dovuto al loro voler nascondere, in questo modo, l’attacco della protesi dopo il taglio: tale rituale prende il nome di yubitsume, letteralmente “accorciamento delle dita”, o anche detto yubi o tubasu (far volare le dita). Posato, quindi, un telo pulito a terra vi si adagia sopra la mano, con il palmo verso l’alto: adoperando un tanto, un coltello tipico giapponese con una lama da 30 centimetri, è lo stesso condannato che si recide il mignolo sinistro, esattamente sopra la prima nocca, quindi eliminando la falange. Il dito reciso viene così avvolto nel telo sul quale era posata la mano e porto al kumicho, il padrino dello yakuza. In caso di reiterate azioni disonorevoli bisognerà procedere con le altre falangi del dito, che una volta terminato dovrà cedere il passo al mignolo destro. Guardare attentamente le mani, pertanto, può essere un indizio per conoscere uno yakuza, che, come dicevamo poc’anzi, nasconderà l’attacco delle protesi con degli anelli molto vistosi. Ovviamente non è un requisito minimo di un criminale compiere atti deplorevoli nei confronti dei propri capi, pertanto non è fondamentale indossare anelli che nascondano qualcosa: un elemento retto e corretto nei confronti dei propri capi non avrà alcun tipo di bisogno di sottoporsi allo yubitsume. Quindi per riconoscere uno yakuza e avere un altro elemento che particolarmente distingue la loro realtà da quelle degli abitanti giapponesi bisognerà guardare bene la sua pelle per scovare qualcos’altro: il tatuaggio.  L’irezumi (inserimento di inchiostro) inizialmente veniva inflitto con lo scopo punitivo e serviva per riconoscere un criminale che veniva macchiato da un’azione scorretta: nei primi anni dei Bakuto si era soliti addirittura bollare la persona scrivendo “cane” sulla fronte, con l’ideogramma di riferimento. Col tempo, però, è diventato un vero e proprio segno distintivo per lo yakuza, che veniva stigmatizzato, come d’altronde Kazuma Kiryu, che sulla sua schiena dà spazio a un enorme drago. Il disegno è di una complessità di altissimo livello, tanto che una volta morto, lo yakuza diventa oggetto da mercato nero e la sua pelle, tatuata, diviene uno dei prodotti più complessi da rintracciare e più costosi da vendere nei mercati neri, fino a diventare degno di esposizione all’interno delle gallerie d’arte. A oggi i tatuaggi sono divisi in categorie e rispondono innanzitutto alla necessità di avere addosso una bestia mitologia, che sia un drago o un kirin (una chimera) fino a un Foo Dog (una bestia che assomiglia a un cane); è il procedimento che purtroppo risulta essere molto doloroso e faticoso, perché la maggior parte dei tatuaggi all’interno della yakuza vengono realizzati sotto pelle, utilizzando degli aghi di bambù o addirittura di acciaio, evitando strumenti elettrici: d’altronde, in vigore del rispetto della tradizione, bisogna mantenere le istruzioni originarie. Il poter riconoscere, così, un membro della criminalità organizzata è abbastanza immediato, perché anche se il tatuaggio si dirama sulla schiena, riconoscere sul collo o sulla nuca, come fuoriuscita dal colletto di una camicia, le zone terminali di un disegno è abbastanza semplice. Anche per questo di recente i giovani yakuza hanno richiesto di poter evitare la pratica dell’irezumi, così da evitare di essere facilmente riconoscere e poter vivere meglio la realtà giapponese, che, problema sicuramente minimo, li escluderebbe tutti dagli impianti termali. 

Diramazioni internazionaliDa vera criminalità organizzata la yakuza ha diverse attività e investe in maniera del tutto paritaria tra operazioni legali e illegali: a detta di alcuni esperti osservatori e conoscitori del loro mondo, l’organizzazione fornirebbe anche un grande aiuto con la manovalanza, fornendo lavoratori alle industrie nucleari giapponesi, oltre anche a supportare la popolazione durante cataclismi naturali. Attività che, al netto di tutte le altre compiute dalla yakuza, riescono a dare quell’accezione di importanza della criminalità organizzata che sa muoversi e attivarsi per l’ambiente nel quale vive e sa quanto importante sia supportare la propria città e la popolazione dalla quale poi, conseguenzialmente, trarrà i suoi principali profitti. Tra le attività illegali della yakuza, d’altronde, si annoverano facilmente l’estorsione, il riciclaggio di denaro, la gestione dei centri d’azzardo e anche il traffico di droga oltre che l’amministrazione della prostituzione. La prima elencata, la sokaiya, avviene in totale libertà e alla luce del sole, permettendo a un membro della yakuza di intervenire durante una riunione tra manager di una società e pretendere il pagamento di una somma con estorsioni sempre puntuali e basate sulla pratica dell’umiliazione di uno dei manager coinvolti. Nel 2011 lo stato giapponese è intervenuto su questa pratica con delle nuove importantissimi leggi che, come avevamo anche accennato in precedenza, non puniscono tanto lo yakuza, quanto le persone che cedono a queste estorsioni: cedere una somma di denaro non sarà più un identificarsi come vittima, bensì essere complici di un crimine. Un aspetto che per noi europei può sembrare assurdo, ma che in un paese come il Giappone, dove ancora vige la presunzione di colpevolezza dinanzi ai crimini commessi, sembra del tutto allineata al resto delle normative. I legami della yakuza, in aggiunta, sono incredibilmente fitti e anche in politica riescono a farsi facilmente spazio, raggiungendo i punti più alti dell’organizzazione giapponese. Ogni famiglia ha il proprio interesse e i propri legami più forti rispetto alle altre, a partire dalla Yamaguchi-gumi, che è il più famoso dei clan, nato a Kobe nel 1915 partendo dal semplice lavoro di operatori portuali: ognuna di esse può anche accogliere alcune delle accezioni filosofiche della criminalità organizzata e denigrarne alcune, tra cui per esempio la droga, contro il cui utilizzo la Yamaguchi ha deciso di pubblicare un videoclip che risale a circa tre anni fa, sottolineando quanto sia sbagliato farne uso e quanto è errato spacciarla. Un modo come un altro per distinguersi dal resto della yakuza, per illudersi di essere migliori di qualcun altro, perché mentre si professa contro la droga, la Yamaguchi si sposta anche negli Stati Uniti, dove di recente il fenomeno della criminalità organizzata giapponese sta crescendo sempre di più. In alcuni momenti di Yakuza 0, per stessa volontà di Nagoshi, ritroverete Kazuma impegnato in attività socialmente utili, come lo spingere un gruppo di giovani scanzonati ragazzi a ricercare l’approvazione del proprio pubblico, o anche “ripulire” le strade da alcuni facinorosi che stanno prendendo a calci un senzatetto, o infine ritrovare oggetti smarriti da alcuni giovani che si aggirano per le strade di Kamurocho. L’obiettivo della yakuza, infine, è chiaro: tenere pulita la città.

La yakuza è un mondo intrigante da studiare e osservare, per capire quanto possa differire dalla nostra semplicistica definizione di mafia o di camorra. Il loro senso dell’onore è altissimo e, scevri dall’utilizzo di qualsiasi tipo di arma per tenere ordinato e pulito il Giappone, rispettano le indicazioni dei loro capi, pena la recisione del mignolo. Marchiati a vita dai loro tatuaggi, costretti a essere riconosciuti per strada, ma lasciati allo stesso tempo liberi di agire indisturbati, gli yakuza da diversi anni hanno iniziato a spostare il proprio raggio d’azione anche negli Stati Uniti, costringendo l’uscente presidente Barack Obama a dichiarare la yakuza come un minaccia per la sicurezza nazionale degli USA: con un ordine esecutivo è stato autorizzato, così, il sequestro di beni riconducibili ai membri della criminalità organizzata, mentre in Giappone, invece, molti dei lottatori di sumo sono stati espulsi dalla lega sportiva per contatti con dei membri della yakuza. Una macchia d’olio che si espande sempre di più nel mondo, ma che con il loro modo di fare molto nipponico resta permeata di un grande fascino e di grande interesse. Come d’altronde racconta anche Nagoshi nel suo Yakuza, un mondo nel quale lanciarvi e farvi rapire. Ma senza estorsioni.