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Cappuccino e Videogioco, grazie - Demon's Souls

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Avatar di Adriano Di Medio

a cura di Adriano Di Medio

Redattore

Pubblicato il 12/10/2017 alle 00:00

Da decenni il web si lamenta e fa battute su quanto sia pesante il “lunedì”, il “mostro terribile” dopo il finesettimana. Ma ugualmente si dimentica che neppure gli altri quattro giorni sono granché leggeri. E in questi casi, il cappuccino con il cornetto al bar è un modo per iniziare decentemente la giornata. Ma se si è appassionati, anche un buon videogioco può aiutare a recuperare dallo stress mentale di giornate impegnative. Esattamente come fatto ai tempi del caldo torrido, SpazioGames anche questo autunno vuole farvi scoprire (e riscoprire) i videogiochi per iniziare bene queste giornate di ritorno a scuola, lavoro e università. Iniziamo questa rubrica settimanale con il titolo che non ci si aspetta: Demon’s Souls.

Prima di Lordran, c’era Boletaria

Chiunque bazzichi il mondo dei videogiochi degli ultimi anni ha sentito nominare Dark Souls. Un’odissea fantasy criptica e oscura in cui avventurarsi e perdersi, sedotti dalla bellezza appassita dalle ardite, labirintiche architetture. Un videogioco la cui difficoltà onesta ma appagante è divenuta ormai proverbiale, riuscendo a passare dalla nicchia al grande pubblico.
Ebbene, Demon’s Souls era esattamente tutto questo già due anni prima. Viene pubblicato in Giappone nel 2009 in esclusiva PS3, dopo una presentazione al Tokyo Game Show dell’anno precedente assai controversa. Con poca fiducia anche da parte di coloro che per primi avrebbero dovuto supportarlo (compreso Shuhei Yoshida, presidente di Sony Worldwide), le vendite non furono entusiastiche. Le cose si mossero solo a seguito della buona accoglienza ottenuta in Asia, dove fu distribuita anche una prima traduzione inglese. In piena “vecchia scuola”, il gioco si ritagliò una buona popolarità unicamente sul passaparola, cosa che gli fruttò l’ingresso nel mercato USA, ritradotto per l’occasione. Ma c’era ancora così tanta sfiducia che la pubblicazione in Europa arrivò solo nel 2010, un anno e mezzo dopo l’originale giapponese. Solo in quel momento, lontano dalla confusione dell’expo, si capì cos’era davvero l’opera dell’allora sconosciuto Hidetaka Miyazaki.
Tutto quello che avete imparato ad amare in Dark Souls lo ritroverete in questo Demon’s Souls. Un action-RPG ragionato, atmosferico e medievaleggiante, in grado di assorbire il giocatore ma allo stesso tempo di metterlo duramente alla prova, come e più dei suoi “successori spirituali”. Il primo passo per farlo è una narrazione più diretta e lineare: Allant XII, re di Boletaria, ha ceduto alla tentazione di risvegliare il potentissimo demone noto come l’Antico. Purtroppo ne è stato sopraffatto, e il regno è finito in un caos in cui i servi grotteschi dell’arcidemone saccheggiano le anime umane per nutrirlo. Quando la minaccia è divenuta nota anche al di fuori di Boletaria, molti avventurieri vi si sono precipitati in cerca di gloria. Il nostro personaggio (personalizzabile grazie a un editor praticamente uguale a quelli dei Dark) non è altro che uno di questi. La scelta starà a noi: liberare il regno o farsi sedurre dal potere.
In realtà, come in molte altre occasioni la trama è solo una basica premessa per immettere il giocatore a Boletaria. La terra governata da Allant può essere descritta con una sola parola: archetipo. Essa infatti raggruppa in sé tutto ciò che è fantasy opprimente, perennemente sommersa in toni grigi, nebbiosi e pessimisti. Silenziosa ma ostile, disastrata ma “pulita”, il suo più grande pregio sta nel fatto di aver proposto su PS3 una visione finalmente non “buonista” del fantasy medievale. Anzi, vi è un paradossale realismo nelle sue strutture. Tuttora il Castello di Boletaria trasmette un senso di solidità e correttezza topografica uniche. Lo stesso gameplay mira a trasmettere l’autentico senso di pericolosità e “pesantezza” medievale: un incedere privo di qualunque grazia, ma realistico in un modo mai visto prima in un videogioco.

Il regno a stella

La meccanica action-RPG di Demon’s Souls è quella che ogni amante dei Souls conosce. Un sistema di controllo profondissimo ma di difficile assimilazione si affianca a un lavoro certosino di bilanciamento. Da un punto di vista più generale invece il gioco è costruito secondo una struttura “a stella”, il cui centro è il Nexus. Questo è l’hub di gioco, il crocevia senza ostilità per tutte le attività collaterali. Vi si possono migliorare le armi, salire di livello e immagazzinare gli oggetti in più. Attorno al Nexus si dipanano i cinque macro-livelli del gioco, a loro volta suddivisi in un numero di zone che varia da tre a cinque. È facile quindi capire come la tensione del giocatore si consumi tutta nel più carnale dei dungeon-crawling. Le ambientazioni variano dal classico castello ai bui tunnel sotterranei, passando per più atipiche rovine a precipizio sul mare. I percorsi sono prevalentemente lineari, ma sono incredibilmente “dense”: piene di nemici, segreti, scorciatoie e trappole. Se è ovvio che ogni nemico necessita di un approccio a sé, è concreto il rischio di perdere l’orientamento nei percorsi claustrofobici, brancolare in prigioni di sofferenza o morire ripetutamente sulle scogliere. Ambientazioni che si succhiano via la concentrazione del giocatore, nei fatti costretto a rinunciare all’armatura e a padroneggiare la schivata. In perfetto contrasto concettuale, però, le bossfight sono volutamente semplici. Ogni boss ha infatti un punto debole facilmente deducibile, spesso evidenziato da qualche particolare grottesco. Avvizziti ma non oscuri, la loro maestosità mostra tuttora un grande senso epico.
Ma Demon’s Souls è un videogioco difficile e impegnativo, probabilmente più di tutti i Souls successivi (anche di Bloodborne). La perdita delle anime è presente (e pure la macchia di sangue da toccare per recuperarle), ma non è un particolare problema: è il resto che rende il tutto complesso. Non si possono vendere oggetti, i materiali per le armi sono limitati e la salute va ricaricata tramite apposite erbe curative, da farmare regolarmente. La differenza più grande (e mai più riproposta) sta tuttavia nella gestione dei PV del personaggio. Anche qui c’è l’alternanza tra forma corporea e forma spiritica, ma in quest’ultima condizione la barra della salute è dimezzata. Chiaramente ideata per rappresentare la perdita del corpo fisico, è la scelta di design più controversa di tutto il gioco, tanto da sfociare nella difficoltà gratuita. Si può tornare alla forma fisica solo sconfiggendo un Boss o con uno specifico consumabile, disponibile però in maniera irrisoria. Questo vuol dire che la poca salute sarà un fastidioso tarlo per buona parte dell’esperienza, e potrebbe anche indurre a scelte sbagliate nel potenziamento del personaggio. Una formula tipicamente giapponese, che vede il gaming come strumento di auto-miglioramento, e non solo come puro intrattenimento. Solo con questo impegno si poteva veramente dare un appagamento autentico al giocatore. Questo concetto di base arrivò così chiaramente che lo stesso Yoshida ammise l’errore.

Cinquanta sfumature di Tendenza

L’implementazione dell’online nel normale fluire del gioco è sostanzialmente la stessa di ogni altro Souls: si possono lasciare messaggi, farsi invocare come spettri amichevoli oppure invadere. Anche qui però c’è un altro concetto unico: la Tendenza. In breve: a seconda delle azioni compiute dal giocatore, essa varia tra Bianca, Grigia e Nera. Nella prima i nemici sono meno dannosi, ma tendono a lasciar cadere solo oggetti curativi; nel nero i nemici sono molto più pericolosi ma vi sono alte probabilità di trovare equipaggiamenti e minerali. Influisce inoltre sugli NPC incontrabili e sulle scorciatoie sbloccabili, mentre la Tendenza Personaggio (diversa da quella dei mondi) ne riflette la condotta di gioco. La Tendenza è calcolata separatamente per ogni macro-zona: azioni che la fanno variare sono le invasioni, la sconfitta dei vari arcidemoni (Boss) e il morire in forma fisica. Andando online, la Tendenza si adeguerà a quella generale di tutto il mondo.
Complicato ma interessante, questo concetto non è stato più riproposto. Le spiegazioni possibili per questo sono due: la prima è che, cominciando a sperimentare con zone aperte e interconnesse, sarebbe stato troppo oneroso dotare ogni zona di due/tre varianti differenti. La seconda motivazione è stato l’incrociare il game design con la risposta del pubblico. Essendo il gioco difficile di per sé, il popolo dei videogiocatori ha pensato che un bottino più ricco non valeva l’incremento di difficoltà del Nero. Pertanto si è spesso “comportato bene”, mantenendola sempre su Bianco. A questo si aggiunge regola che ogni boss sconfitto fa ugualmente andare verso il Bianco. Quindi è la progressione stessa a “forzare” verso una condotta “benigna”, vanificando in parte il lavoro di bilanciamento e l’eventuale PvP che poteva scaturire dalle invasioni.

Perché Demon’s Souls è un gioco per iniziare la giornata? Perché è un fantasy genuino. Il gameplay punitivo incoraggia la pratica quotidiana, per diventare più forte. E la sua rappresentazione del fantasy, ingenua nel suo voler essere oscura, è riconoscibile e godibile proprio perché tocca corde che ogni videogiocatore ha nel cuore. Anche se il peso degli anni si fa sentire, rimane un videogioco pulito, dritto e massiccio. Saggio, paziente ma severo come un maestro d’arti marziali, ancora oggi guarda i suoi successori spirituali come farebbe con i suoi allievi divenuti famosi dopo l’addestramento sotto di lui. Un videogioco criptico ma non ostile, onesto ma inflessibile, da giocare per capire da dove è nato il Souls così come tutti lo conosciamo oggi.

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