Anteprima

Bound

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a cura di LoreSka

Londra – Non è un caso che lo chiamino “miracolo della vita”. Una creatura nata dall’incontro di un uomo e una donna, che cresce dentro di te, destinata un giorno a diventare una persona, ad avere un proprio carattere, delle proprie ambizioni. Destinata a sognare. A meno che non vogliamo lanciarci in fredde definizioni scientifiche, non esiste una parola migliore: l’atto della creazione di una vita è un miracolo.
Se questo concetto è comprensibile da qualunque essere umano, solo le donne possono provare le sensazioni di dare la vita a qualcuno. Io, come uomo di trentadue in procinto di convolare a nozze, a volte ci penso, e mi rendo conto di quanto il processo che porta una donna a diventare madre sia qualcosa di unico, indescrivibile e, soprattutto, di incomprensibile per chi è dotato di cromosoma Y. Così, sono rimasto immediatamente affascinato dall’idea dietro a Bound. Un gioco in cui la maternità – o, meglio, le sensazioni della maternità – sono al centro dell’esperienza. E la cosa mi ha lasciato con un sacco di domande e un po’ di risposte.
La danza della vita
Bound viene definito dagli sviluppatori – il team dietro a Datura che risponde al nome di Plastic – come un non-gioco. La definizione, tuttavia, potrebbe essere fuorviante: Bound ha più le fattezze di un platform esplorativo, in cui il nostro personaggio – una principessa alle prese con un regno in procinto di essere divorato da un mostro gigantesco – si sposta in un territorio dai tratti bizzarri. Gli sviluppatori hanno colto ispirazione da diverse correnti artistiche partorite dalle menti della Bauhaus, tra cui il suprematismo, il concretismo e – soprattutto – il neoplasticismo, citato in maniera quasi truistica con alcuni inequivocabili rimandi alle griglie di Mondrian. Bello? Non proprio, ma indubbiamente ispirato e fascinoso. Lo scenario sembra disgregarsi in poligoni, puntare a mettere a nudo la natura del motore grafico del videogioco, separare i singoli mattoni che lo compongono: un aspetto, questo, che sembra quasi riflettere sulla natura stessa del videogioco, di come lo si crea, e che va a braccetto con il tema trattato dal titolo stesso.
Anche se ho parlato di principesse e mostri, il gioco è infatti il ritratto del sogno di una ragazza incinta che, in alcuni momenti, riflette sul concetto di famiglia e sul peso dell’essere madre, e che talvolta ci porta a vedere delle scene di vita quotidiana tra genitore e bambino. Non ci sono stati mostrati che frammenti di questo aspetto, ma in generale credo (o forse spero) di intravedere le intenzioni degli sviluppatori, e ne sono rimasto incuriosito.
A monte di tutto questo vi è un altro elemento, che caratterizza il gameplay del gioco: la danza. Il nostro personaggio si muove ballando: il suo camminare è aggraziato, i suoi salti sono dei pas jeté, le sue braccia si muovono con i tre port de bras classici, e restano tese ma morbide durante la corsa. In alcuni momenti siamo chiamati a compiere delle capriole per difenderci dai pericoli, e ci siamo visti coinvolgere in una routine di danza contemporanea. La danza, mi spiegano gli sviluppatori, è il modo che la nostra protagonista ha per esprimere sé stessa, per respingere i timori della vita. È qui, forse, che Bound inizia a prendere forma, e a lasciarci capire quale sia il senso di questa avventura danzata in un mondo che si sgretola. Forse l’essere madre distrugge e trasforma la donna in qualcosa di nuovo; forse l’essere madre è un momento pieno di contrasti, di gioie e di preoccupazioni; forse l’essere madre è come un numero di danza: faticoso ma splendido. 
Il gioco dei misteri
Non è facile descrivere Bound, e in generale crediamo che questo gioco non sarà di facile comprensione per la gran parte del pubblico. Alcuni aspetti artistici di questo prodotto sono da veri nerd della storia dell’arte, ma anche i meno attenti non potranno fare a meno di notare le straordinarie animazioni nelle routine di danza della protagonista e, soprattutto, la splendida colonna sonora costituita da un tappeto musicale elettro-ambient con alcuni inserti di pianoforte da saggio di danza che hanno creato uno splendido contrasto.
Insomma, non si può restare indifferenti di fronte a questo lavoro, che evidentemente parte da una ricerca stilistica di tutto rispetto che meriterebbe ben più dei modesti approfondimenti delle recensioni.
Anche in questo caso, però, ci troviamo di fronte ad un prodotto che si porta ai confini del videogioco e che, francamente, temiamo possa passare del tutto inosservato. E sarebbe un vero peccato.

– Tematica difficile e affascinante

– Citazioni artistiche da capogiro

– Animazioni splendide

Realizzare un gioco sull’essere madre non deve essere facile. Farlo con un prodotto così criptico e pieno di rimandi artistici estremamente difficili da cogliere lo è ancora di più. Crediamo che Bound sia uno di quei titoli meritevoli di attenzione, e che Sony abbia compiuto una scelta coraggiosa nel decidere di produrre questo titolo. Forse non sarà compreso da tutti, ma possiamo ritenerci felici e speranzosi: l’industria ha bisogno anche di questo tipo di prodotti, e siamo lieti che un gioco di questo tipo arrivi su di una console di grande successo come la PS4.