Addio, Kinect

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a cura di Gottlieb

Il Kinect è morto. No, non stiamo citando Nietzsche, ma semplicemente quello che è successo in questi giorni sotto il marchio Microsoft. A darne il triste annuncio, a salutare per sempre uno degli accessori più lungimiranti, sulla carta, di sempre, è stato Matthew Lapsen, general manager di Xbox, e Alex Kipman, creatore della console di Microsoft. Una vita durata quasi sette anni, che sarebbero stati compiuti il 4 novembre del 2017: in questo lasso di tempo sono stati 35 i milioni di pezzi venduti, tutti pensati con l’unico scopo di cambiare, sovvertire, migliorare, innovare l’industria del gaming. Invano, purtroppo.

Ai bordi dei soggiorni, il Kinect è morto.

Erano gli anni del Wiimote di Nintendo, erano gli anni in cui si cercava di replicare il successo ottenuto dalla grande N e creare un controller che non richiedesse alcun tipo di input da parte del giocatore, se non quello di muovere il proprio corpo e far sì che la struttura fisica di ognuno di noi potesse diventare, tramite un sistema di riconoscimento dei movimenti a infrarossi, il controller. La periferica di Microsoft conquistò rapidamente gli acquirenti, nonostante lo scetticismo iniziale: in due mesi si riuscirono a vendere più di centomila pezzi, ma da parte degli hardcore gamer mancò quell’affetto necessario a far sì che il Kinect potesse proliferare nelle abitazioni di tutti i possessori di una console Microsoft. Eppure i tentativi ci sono stati, da parte dell’azienda di Redmond, senza dimenticare, per esempio, la vendita in combo con la nuova console, la One. Una mossa che, per quanto a livello di marketing potesse avere un senso, non riuscì a riscuotere alcun tipo di successo. D’altronde ritrovarsi una periferica che non tutti avrebbero voluto acquistare all’interno di un packaging già deciso, e quindi aumentato del suo costo di cento euro, non poteva essere ben vista da tutti. PlayStation 4, nel mentre, mantenne il suo prezzo originale e, in qualche modo, approfittò di questa sua natura più economica per ramificarsi all’interno di case e appartamenti che, magari, ballavano ancora sul filo dell’indecisione. Un errore che portò alla tacita ammissione di colpa di Microsoft avvenuta con la Xbox One S, priva completamente della porta per collegare il Kinect. Nel mentre, però, va tenuta in considerazione la quasi totale assenza di titoli che potevano essere collegati alla periferica e giovare di quell’aver trasformato il proprio corpo in un controller. Una delle ultimissime uscite che hanno, in sostanza, vestito i panni di canto del cigno fu l’olandese Fru, tra l’altro nato dalla mente dell’italiano Mattia Traverso: Fru fu un ottimo esempio di come utilizzare il potenziale del Kinect, che dopo un anno di silenzio venne praticamente rispolverato e riportato alla luce dal titolo a prezzo budget, che ebbe dalla sua l’unica grande sfortuna di aver sbagliato totalmente la release: arrivare sul mercato un anno prima avrebbe giovato al titolo e alla periferica stessa. 

Sulle tv prese a rate, il Kinect è morto.

Fru, però, fu lo specchio preciso di quella che era la situazione del mercato videoludico: un mercato che fa davvero tanta fatica a innovarsi, recentemente, e che stenta a mettere in discussione quelle che sono le basi sulle quali si fonda. Ampliando il discorso si potrebbe arrivare a ricordare anche la fatica che il mercato ha avuto con PlayStation Move, con il Wonderbook (vi ricordate il Wonderbook, sì? Era la Gamescom del 2011), e che adesso sta avendo con il PlayStation VR, un accessorio che in Giappone va praticamente a ruba, ma che in Italia si fa fatica a trovare nelle case degli addetti ai lavori, figurarsi di quelli che lo utilizzano per diletto. Le nuove tecnologie quasi spaventano, preoccupano, creano scetticismo. Lo sa bene Peter Molyneux, un pioniere del settore che si avvicinò al Kinect con il suo Project Milo, un’idea composta esclusivamente di vapore e di zero sostanza: un’intelligenza artificiale che avrebbe potuto avere ampio respiro non solo nel mercato videoludico, ma in qualsiasi tipo di mercato, ma lasciata poi morire un po’ per volontà del suo creatore un po’ perché è chiaro che le analisi di mercato suggerirono di mettere a tacere il tutto. Poi arrivarono i comandi vocali, che provarono a risollevare le sorti del Kinect: Fifa si prestò subito a questo sistema innovativo, ma che in realtà non aggiungeva niente di particolare, se non, magari, una maggior complessità di gioco. Ci provò anche Mass Effect, ma invano. 

Nei miti del motion controlling, il Kinect è morto.

Eppure il Kinect di utilità ne ha avute, davvero. L’unico problema è che non sono sempre sotto i nostri occhi. In questi anni la periferica di Microsoft si è dimostrata essere uno degli strumenti più validi e utili per il motion capture: vi basterebbe poter fare una visita all’interno degli studi di Milestone, senza dover necessariamente scomodare aerei o viaggi intercontinentali, per scoprire che esistono stanze interamente dedicate che sono state allestite con decine di Kinect, pronti a rilevare il movimento del corpo grazie alla loro tecnologia a infrarossi. Non dimentichiamo anche la Windows Mixed Reality, che hanno riscoperto a Redmond proprio grazie alla tecnologia Kinect e, infine, visto che siamo in argomento, volgiamo anche uno sguardo ad Apple, la più potente delle aziende attualmente in circolazione, capace di mandare in sold out il suo iPhone X, uno smartphone da oltre mille euro di costo, in pochissime ore: a Cupertino il sistema di identificazione Face ID ha proprio ripreso quelli che erano i dettami di Microsoft per potenziare il brevetto di PrimeSense, l’azienda di origine israeliana che nel 2013 si è unita in matrimonio alla progenie di Steve Jobs per la modica cifra di 360 milioni di dollari. Tantissimi esempi, tantissime declinazioni di una periferica che al suo interno aveva una tecnologia utile e invidiabile, che è stata apprezzata in ambito tech, ma non sfruttata nel mondo dei videogiochi. La colpa potrebbe essere da ambo le parti, senza dover necessariamente puntare il dito nei confronti del mercato videoludico, spesso sopito e conservatore – il che, per una industry così, è un incredibile controsenso – ma facendolo anche nei confronti delle software house, degli sviluppatori, di chi non ha voluto essere arrembante. C’è anche da dire che, con l’esperienza più recente del PlayStation VR, la difficoltà è palpabile e chiuderò con un triste aneddoto. 

Era la Gamescom del 2015, la mia ottava Gamescom, ma la prima con SpazioGames. Incontrai il CEO di Crytek per una delle prime prove di Robinson: The Journey, l’attesissimo lavoro che univa i dinosauri alla VR figlio di quell’azienda che anni fa aveva regalato ai PC uno dei più esigenti benchmark di sempre, ossia Crysis. Nei suoi occhi si leggeva la speranza di un futuro radioso per la realtà virtuale, ma non trovò in me lo stesso entusiasmo: non perché non ci credessi, ma perché dalla mia ho sempre schierato il cinismo al primo posto, soprattutto in questo settore fatto troppo spesso di vaporware. “Lo stesso successo del Kinect? Ma te lo ricordi il Kinect?” gli domandai. “Certo”, mi rispose lui. “Ah bene, perché nessuno se lo ricorda il Kinect“. Ed effettivamente di quella periferica non è rimasto granché. Però io l’ho usata due sere fa come webcam per streamare Cuphead sul mio profilo Facebook dall’Xbox One. A riprova del fatto che per fare cose è utilissima, ma per giocare un po’ meno.

Nel salutare il nostro amato Kinect direi di provare a raccogliere i ricordi più belli che abbiamo condiviso con questa periferica e cercare di capire, insieme, cosa realmente non ha funzionato. I pochissimi minuti trascorsi insieme con Kinect: Disneyland Adventures non giustificarono assolutamente il mio acquisto, ma sono sicuro che molti di voi ne hanno saputo fare un utilizzo più valido e più performante. Salutiamo, quindi, il Kinect al meglio delle nostre possibilità!