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Immagine di The Good Life è un (pessimo) incontro tra Animal Crossing e Ray Bradbury | Recensione
Recensione

The Good Life è un (pessimo) incontro tra Animal Crossing e Ray Bradbury | Recensione

Il nuovo titolo di SWERY è un gioco in piena crisi d'identità.

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Avatar di Nicolò Bicego

a cura di Nicolò Bicego

Redattore

Pubblicato il 16/10/2021 alle 13:18
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  • Pro
    • Ha un fascino inspiegabile
  • Contro
    • Tecnicamente siamo a due generazioni fa
    • Un'accozzaglia di generi di gioco mal pensata
    • La storia si perde più volte per strada

Il Verdetto di SpazioGames

4.7
Mancanza di visione unitaria: vogliamo riprendere questo concetto, già espresso nella nostra recensione a più riprese, per riassumere la nostra opinione su The Good Life. L'ultima fatica di SWERY sembra un'accozzaglia di idee prese da altri, tenute insieme da un filo troppo sottile, tanto sul fronte narrativo quanto sul fronte gameplay. Ci sono piccoli barlumi, saltuari guizzi di brillantezza, ma vengono completamente oscurati da un'esperienza vuota e confusionaria.

Informazioni sul prodotto

Immagine di The Good Life
The Good Life
  • Sviluppatore: White Owls
  • Produttore: White Owls
  • Distributore: PLAYISM
  • Piattaforme: PC , PS4 , XONE , SWITCH
  • Generi: Gioco di Ruolo , Avventura
  • Data di uscita: 15 ottobre 2021

Chi segue con attenzione il mondo dei videogiochi, ricorderà il nome di SWERY, al secolo Hidetaka Suehiro, che ha svolto il ruolo di game director su opere come Deadly Premonition e D4: Dark Dreams Don’t Die.

I suoi titoli sono stato in grado di polarizzare le opinioni di pubblico e critica: da una parte c’è chi ha ritenuto i suoi giochi delle vere e proprie gemme grezze, dall’altra chi, invece, ha visto in essi delle più banali ciofeche. Anche per questo siamo stati molto incuriositi da The Good Life, la sua ultima fatica uscita su PlayStation 4, Nintendo Switch e PC: volevamo capire se, finalmente, l’autore sarebbe riuscito a conquistare definitivamente i favori di pubblico e critica.

Ad incuriosirci però è stato anche il cambio di tono rispetto ai suoi precedenti titoli più famosi: The Good Life, all’apparenza, sembra richiamare le atmosfere scanzonate di Animal Crossing e di altri life simulator, senza tracce di horror. Ci siamo quindi tuffati nell’avventura con delle buone aspettative. E abbiamo fatto male.

Un debito da pagare (ma i procioni non c’entrano, stavolta)

La storia di The Good Life si apre con Naomi Hayward, una fotografa giunta a Rainy Woods, definita dai suoi abitanti la città più felice del mondo, con lo scopo di ripagare un pesante debito maturato con la redazione del Morning Bell News.

Il suo intento, nello specifico, è quello di scoprire i segreti della città e riuscire così a trovare uno scoop che possa risollevare le sorti della sua carriera, rimettendo i conti in pari con il giornale. Ben presto, Naomi capisce che la città ha molti segreti da nascondere: la sera del suo arrivo, scopre infatti che gli abitanti della città si sono trasformati in animali.

Guarda su

Questo è soltanto il primo mistero che Naomi si proporrà di risolvere: ben presto, si ritroverà ad avere a che fare anche con un caso di omicidio, che starà a lei risolvere. Ora, non vogliamo andare nei dettagli della trama: come sempre, vogliamo evitare di rovinarvi la sorpresa, per quanto possibile. The Good Life, però, è davvero difficile da giudicare anche sotto questo aspetto.

Se alcune trovate narrative sono strane ma interessanti, altre non hanno semplicemente senso o non vengono approfondite a dovere nel corso dell’avventura. Molte domande rimangono senza risposta, alcune cose non vengono spiegate: in generale, abbiamo avuto l’impressione di assistere ad una serie di eventi tenuta insieme da un labile filo conduttore piuttosto che ad una trama orizzontale pensata dall’inizio alla fine.

La storia di The Good Life riesce ad incuriosire all'inizio, ma si perde presto per strada.

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Lo stesso si può dire dai dialoghi. Alcuni personaggi riescono a manifestare la loro personalità, ed interagire con loro ci darà l’impressione di vivere davvero nella loro stessa cittadina. Per altri, però, non è così.

Ci troveremo spesso a leggere dialoghi che non hanno né capo né coda, personaggi già incontrati che si comporteranno come se non li avessimo mai visti prima. Insomma, sul fronte narrativo The Good Life sembra un’opera appartenente al genere weird, partorita da una penna molto, molto meno capace di quella di grandi autori come Ray Bradbury.

Ciò nonostante, dobbiamo ammettere che proprio questi difetti hanno dato al gioco un certo fascino, che ci ha inspiegabilmente portati a continuare l’avventura nonostante la storia facesse acqua da tutte le parti.

Purtroppo, le cose non migliorano quando andiamo ad analizzare il lato tecnico, anzi. La nostra prova si è svolta su Nintendo Switch, ma considerando che il gioco sembra appartenere a due generazioni fa dubitiamo che i problemi possano essere attribuiti all’ibrida Nintendo. Le ambientazioni sono spoglie, poco dettagliate; lo stesso vale per i personaggi, talmente legnosi e poco espressivi da essere quasi comici.

Come se non bastasse, il gioco ha costanti cali di frame rate, che accadono anche in momenti in cui sullo schermo non sta succedendo assolutamente niente. Insomma, non avevamo alte aspettative sul lato tecnico (anche Deadly Premonition non era certamente avanti in questo campo), ma mai ci saremmo aspettati un risultato del genere. Le cose vanno leggermente meglio con il comparto sonoro, nel senso che almeno quello funziona senza problemi. Non ci sono tracce memorabili, ma siamo già un passo avanti.

La caratterizzazione dei personaggi è un altro degli aspetti altalenanti del gioco.

Crisi d’identità

Dopo aver passato al vaglio storia e comparto tecnico, veniamo al gameplay di The Good Life. Teoricamente le cose dovrebbero farsi più semplici da qui in poi: il gioco, all’apparenza, sembra ricordare da vicino la famosa serie di Animal Crossing.

Abbiamo una protagonista che si trasferisce in una città lontana, un debito da pagare, il tempo che passa, un giardino da coltivare fuori dalla nostra casa. Insomma, gli ingredienti per un buon life simulator sembrano esserci tutti. Peccato che il gioco sembri soffrire di una pesante crisi d’identità.

Ben presto, infatti, capiamo che il focus del gioco non è sulla vita quotidiana della nostra protagonista (sebbene siano effettivamente presenti numerose attività tipiche dei life simulator), ma sulle quest da portare a termine.

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Alcune quest faranno infatti progredire gli archi narrativi principali del gioco, mentre altre serviranno semplicemente ad ottenere ricompense e favori da parte dei nostri concittadini. Avremo a che fare con diverse tipologie di missione, e spesso ci ritroveremo ad usare le abilità di fotografa di Naomi.

In effetti, da questo punto di vista, la fotografia ricopre un ruolo talmente centrale da far pensare al recente New Pokémon Snap. Peccato che qui, però, le missioni siano perlopiù banali fetch quest, e che la noia cominci già a farsi sentire dopo la prima manciata di ore.

Non aiuta il fatto che il gioco consenta di tenere solo una missione attiva per volta: le altre missioni saranno nel frattempo completamente inesistenti, e questo significa che potremo potenzialmente passare vicino ad un punto di interesse senza neanche accorgercene, dovendo poi tornare sui nostri passi solo perché in quel momento il marker della missione non era attivo.

Le abilità da fotografa di Naomi ricopriranno un ruolo centrale nel gioco.

Naomi ha a sua disposizione due trasformazioni (che acquisiremo nel corso dell’avventura): gatto e cane. Sulla carta, esse dovrebbero servire a rendere più variegato il gameplay: il gatto è infatti in grado di arrampicarsi su alcune pareti specifiche, contrassegnate da dei graffi visibili soltanto a lui; il cane, invece, è dotato di un olfatto superiore alle sue controparti, che lo rende in grado di seguire una pista.

Purtroppo, entrambe le trasformazioni hanno un utilizzo estremamente circostanziale, e risultano poco integrate nel gameplay generale del gioco. Come se non bastasse, The Good Life sembra prendere spunto anche dai survival: Naomi può infatti ammalarsi, sentire la mancanza di sonno e di cibo. Dovremo trovare gli ingredienti per realizzare i medicinali appositi, ed assicurarci che sia sempre in forma.

Queste meccaniche, seppur basilari, non presentano particolari problemi, ma hanno contribuito a darci l’idea di un gioco senza un’identità definita, che sembra pescare qua e là tra le idee degli altri senza avere una propria visione che consenta di tenere insieme le cose.

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Mancanza di visione unitaria: questo concetto riassume benissimo The Good Life. Si sente nel comparto narrativo, dove una serie di eventi accadono semplicemente perché accadono, senza una trama orizzontale in grado di dare un senso a tutto. E si sente nel gameplay, dove SWERY ha preso idee da altri titoli senza unirli in qualcosa di nuovo e, soprattutto, sensato.

Le varie componenti del gioco (che oltretutto non sempre sono ben riuscite) cozzano tra loro, come se non fossero pensate per stare insieme. A dare il colpo di grazia ci pensa un comparto tecnico semplicemente non all’altezza dell’attuale generazione di console (e a che a dire il vero sembra appartenere all’epoca PS3/Xbox 360). Insomma, purtroppo ci troviamo a dover dare un’altra bocciatura per un titolo di SWERY, ed è un peccato perché, anche in questo caso, di tanto in tanto si notano dei barlumi di originalità e di brillantezza, oscurati però da una completa mancanza di visione.

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