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Tabloid britannico: ragazzo tenta il suicidio per Fortnite, ma hanno pagato per dichiarazioni negative sul gioco

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Avatar di Stefania Sperandio

a cura di Stefania Sperandio

Ex Editor-In-Chief

Pubblicato il 02/08/2018 alle 00:00

Sta facendo parecchio discutere, in Gran Bretagna, la più recente prima pagina del tabloid Daily Mirror, nel quale ci si scagliava contro Fortnite: la fonte parla di “inferno da videogiochi per un adolescente”, titolando che “Fortnite mi ha reso un dipendente da droghe con tendenze suicide”. E le accuse al videogioco, ovviamente, si sprecano, ma non solo: dalla critica specializzata, infatti, arrivano quelle al tabloid, e per un motivo ben preciso.

Il racconto del giovane

Come riportato dai colleghi britannici di Eurogamer (link in calce), l’esclusiva è firmata dal giornalista Matthew Barbour. Dopo la prima pagina, leggiamo nelle successive che «l’ossessione di un ragazzo per Fortnite gli ha rovinato la vita e lo ha portato sulla soglia del suicidio. Suo padre ha dovuto fermarlo fisicamente dal buttarsi nel vuoto per uccidersi. Carl Thompson, di 17 anni, di Preston, ci ha detto ‘Fortnite mi ha reso uno con dipendenze da droghe, bugiardo, ladro e tendente al suicidio’.» Inutile dire che parole del genere attirino subito l’attenzione e le dita puntate di chi segnala che i videogiochi, per qualche motivo, rovinano le nuove generazioni. Da ormai qualche decennio.Nelle pagine 4-5, riportano i colleghi, il racconto di Carl prosegue, quando ci svela che prendeva delle speedball (un insieme di cocaina ed eroina) per poter continuare a giocare il più a lungo possibile. Il ragazzo svela anche di aver rubato dai suoi genitori per potersi permettere le armi in-game e gli upgrade, anche se non parla di furto per permettersi le droghe. Rivela poi di essere passato alle anfetamine, alle quali non è chiaro come avesse accesso.«Ero esausto dal giocare tutte le noti, quindi i miei amici mi hanno detto che avrei dovuto provare con le anfetamine. Sono sempre stato contrario alle droghe, ma tutto ciò che volevo era poter giocare di più e quello mi sembrava l’unico modo per farcela» ha dichiarato.La questione è andata avanti finché, lo scorso aprile, il ragazzo racconta di aver provato a suicidarsi per porre fine al suo circolo vizioso di droghe e gaming. L’articolo si conclude con un riferimento a Steve Pope, il terapista che si sta prendendo cura del ragazzo, con tanto di riferimento al suo sito web per contattarlo.

Testimonianze a pagamento

Sappiamo che la dipendenza da videogiochi – non la passione, la dipendenza – è una malattia ufficialmente riconosciuta. Rinunciare alle proprie attività quotidiane perché si sente la necessità di giocare, e perché si sta male quando non lo si fa, è una condizione per la quale non possiamo che raccomandare di chiedere aiuto a chi di competenza.Nel caso del diciassettenne britannico, però, come svelato dai colleghi di Eurogamer.net, c’è anche qualcosa di più: la volontà di avere, letteralmente, uno scoop a tutti i costi. I colleghi hanno appreso che il giornalista, Matthew Barbour, proponeva un compenso a chi si diceva in grado di fornirgli una storia forte sul tema. In precedenza, inoltre, Barbour lo aveva già fatto, quando lavorava per The Sun e aveva preparato un articolo sugli effetti negativi di Pokémon Go.Il giornalista aveva offerto £100 a chiunque potesse raccontargli gli effetti negativi che il gioco Niantic stava avendo su di lui, e nel suo annuncio suggeriva anche di raccontare di come, magari, «il gioco vi sta rovinando il sonno, o le vostre relazioni, o il vostro lavoro.»A cogliere la sua imbeccata fu Chris Bratt, redattore di Eurogamer.net, che ricamò una storia completamente inventata, in cui raccontava che sua moglie passava il suo tempo a giocare Pokémon Go con un amico, mandando all’aria il loro matrimonio. Nonostante la sua storia totalmente inventata, Bratt venne contattato dal giornalista per includere la sua testimonianza nell’articolo. «Aveva capito che alcune parti della mia storia erano un po’ ricamate, ma mi disse che non importava e che l’articolo sarebbe uscito comunque.» Nella sua testimonianza, Bratt conclude con «insomma, questi titoli ridicoli che vedete sul Daily Mirror e tutto gli altri tabloid? Ecco come ci si arriva. Si fot*ano.»Interpellato in merito, The Sun si era tirato fuori dalla polemica, definendo Barbour come freelancer e nient’altro, e quindi come non rappresentante della testata. La procedura, scopriamo, è stata la stessa anche per l’articolo dedicato a Fortnite: apprendiamo infatti che il giornalista ha chiesto «urgentemente» testimonianze a famiglie i cui figli sono ormai dipendenti da Fortnite. «Abbiamo bisogno di storie che siano il più forti possibile» le sue parole, dove prometteva l’anonimato per le fonti e una ricompensa di £300 per chi si sarebbe fatto avanti. Tra le ricompense, anche il riferimento alle cliniche o i terapisti che si stavano eventualmente occupando del videogiocatore e della sua dipendenza.I colleghi di Eurogamer hanno contattato Barbour per chiedere delucidazioni sul caso, ossia per sapere se il ragazzo dell’articolo su Fortnite aveva già avuto diagnosi dei suoi disturbi mentali. Veniva anche chiesto come aveva accesso alle anfetamine, come il giornalista era arrivato proprio a mettersi in contatto con questa famiglia e se poteva confermare di averli pagati per la testimonianza. La risposta di Barbour è stata «sarò pagato per fornire queste risposte?»Lo ribadiamo: la dipendenza da videogiochi è una cosa seria. E, nel mondo ideale, lo è anche il giornalismo.Fonte: Eurogamer.net

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