Ricordo ancora, con una lucidità che oggi sa di beffa, il momento esatto in cui decisi di abbonarmi a Xbox Game Pass.
Era il culmine di un'era difficile per Xbox, quella successiva al disastroso lancio della Xbox One, un periodo in cui Microsoft sembrava aver perso la bussola, inseguendo goffamente un'idea di "all-in-one entertainment center" che nessuno aveva chiesto.
Poi, dal nulla, arrivò Game Pass. Dapprima un servizio poco interessante, a tratti dimenticabile, ma che in poco tempo prese tutta un'altra direzione, divenendo il focus principale di Microsoft per il futuro del brand di Xbox.
L'offerta, con svariati giochi al day one, era troppo bella per essere vera nel cinico mondo del business videoludico.
L'inizio dell'illusione
Dopotutto, pensiamoci: un catalogo sterminato, i first party presenti dal giorno uno a un prezzo che era poco più di un caffè a settimana. Come si poteva anche solo pensare di dire di no?
Per anni, quel patto quasi sacro ha retto, trasformandosi nel pilastro su cui si fondava non solo la strategia Xbox, ma l'identità stessa del brand. Era diventata un'oasi felice, un baluardo contro l'inarrestabile marea di prezzi crescenti, edizioni deluxe e microtransazioni invasive.
Ieri, dopo aver aperto la notizia che annunciava il nuovo listino prezzi, mi sono reso conto che quella sensazione, quella di far parte di una rivoluzione giusta, è completamente svanita , sostituita da un'amara e profonda delusione. La luna di miele è finita.
L'azienda di Redmond ha annunciato una ristrutturazione che, dobbiamo essere onesti, dietro la maschera del "valore aggiunto", nasconde un tradimento della filosofia originale.
L'aumento del 50% per il piano Ultimate, che schizza alla cifra quasi oltraggiosa di 26,99€ mensili, e l'introduzione di un sistema a tre livelli che frammenta deliberatamente un'offerta nata sotto il segno dell'inclusività totale.
Sul tavolo, per addolcire la pillola, sono state gettate nuove esche: l'inclusione di Fortnite Crew (ma chi l'ha chiesto?), l'accesso a una selezione di titoli Ubisoft+ Classics (ma chi l'ha chiesto, e due?), e la promessa di oltre 75 titoli disponibili al day one ogni anno (e ci mancherebbe anche).
Ma perché questo aumento? Ovviamente si tratta di una manovra finanziaria, fredda e calcolata, nata nei piani alti di Redmond con un unico, chiarissimo obiettivo: placare la fame insaziabile degli investitori.
Analizziamo per un istante la vacuità di queste "aggiunte". Il Fortnite Crew Pass è un contentino per una fetta molto specifica dell'utenza. Chi è un giocatore hardcore di Fortnite, probabilmente lo aveva già. Chi non lo è, non percepirà certo questo bonus come una giustificazione per un rincaro di oltre dieci euro al mese.
Sembra più il risultato di un accordo commerciale tra Microsoft ed Epic Games, il cui costo viene semplicemente scaricato sulle spalle dell'utente finale.
E l'Ubisoft+ Classics? Un nome altisonante per nascondere quella che è, a tutti gli effetti, una manciata di titoli datati del catalogo Ubisoft, giochi che la maggior parte degli appassionati ha già giocato, acquistato a prezzi stracciati durante i saldi o persino ricevuto in regalo.
La narrazione ufficiale, quella che ci parla di un catalogo in costante espansione, di accordi di licenza onerosi e di costi di produzione insostenibili, è una facciata di comodo.
Un aumento ingiustificato
La verità e che ora diventa palese nella sua brutale onestà, è un'altra. Xbox Game Pass, contrariamente a quanto alcuni scettici amavano ripetere, è un servizio profittevole da anni. Phil Spencer e Satya Nadella lo hanno confermato in più occasioni (e recentemente anche Sarah Bond).
Il problema non è mai stato la sostenibilità del modello, ma la sua velocità di crescita. Dopo la colossale, titanica acquisizione di Activision-Blizzard-King per quasi 70 miliardi di dollari, la pressione degli azionisti per vedere un ritorno economico rapido e massiccio si è fatta insostenibile.
Wall Street non ragiona in termini di community building o di fiducia a lungo termine; ragiona in trimestri, in utili per azione, in grafici che devono avere una sola direzione: in alto, e in fretta.
Dato che la crescita degli abbonati ha subito un inevitabile e fisiologico rallentamento (il mercato non è infinito e chi era interessato, in gran parte, è già a bordo) Microsoft si è trovata di fronte a un bivio: perseverare con una politica pro-consumatore, confidando in una crescita organica e nella lealtà del pubblico, oppure tirare la leva più semplice e immediata per gonfiare i ricavi.
Ha scelto la seconda. Aumentare il prezzo medio per utente (l'infausto acronimo ARPU, Average Revenue Per User) è la via più breve per mostrare agli investitori quelle percentuali di "revenue growth" che tanto agognano prima della prossima chiamata agli utili.
È una scommessa pericolosa, fondata sull'arroganza di credere che la propria offerta sia diventata così indispensabile da poter sopportare qualsiasi rincaro. Ma il rischio di un effetto domino inverso è enorme.
Le disdette, ne sono certo, fioccheranno. Molti, forse la maggioranza degli attuali utenti Ultimate, non vedranno giustificato un tale esborso e migreranno verso il nuovo piano Premium da 12,99€, o peggio, abbandoneranno del tutto la nave.
Il calcolo che Microsoft deve aver fatto è se l'aumento dei ricavi generato da chi resterà fedele all'Ultimate riuscirà a compensare le perdite derivanti dalle cancellazioni e dai downgrade di massa. Un gioco d'azzardo sulla pelle della sua stessa utenza, di cui pure io faccio parte.
Le possibilità non valutate di Microsoft
Ciò che rende questa mossa ancora più frustrante è la palese mancanza di fantasia e di ascolto verso le reali esigenze della community.
Microsoft aveva a disposizione un ventaglio di alternative molto più intelligenti, eque e rispettose. Immaginiamo per un momento un Game Pass modulare, una struttura flessibile dove è l'utente a decidere cosa pagare.
Si sarebbe potuto creare un tier base, magari a 12,99€, con i soli titoli degli Xbox Game Studios e le produzioni indie partner. Un secondo livello, a 17,99€, avrebbe potuto aggiungere l'intero, immenso catalogo di Bethesda.
Infine, un terzo pacchetto, a 22,99€, avrebbe incluso il mondo di Activision-Blizzard, con l'accesso anticipato alle beta di Call of Duty e ai classici del passato.
Una soluzione del genere avrebbe dato potere di scelta al consumatore, permettendogli di cucirsi addosso l'abbonamento perfetto, pagando solo per i contenuti a cui è realmente interessato.
E l'assenza più clamorosa, quella che grida vendetta da anni: perché non introdurre, finalmente, un piano Famiglia? Una delle richieste più sentite e ignorate dalla community.
In un'era in cui ogni servizio digitale, da Spotify a Netflix, offre soluzioni per il nucleo familiare, l'ostinazione di Microsoft nel non volerla implementare appare quasi dolosa.
Un piano famiglia, magari anche a 54,99€ per 4 utenti, non solo avrebbe attirato nuovi abbonati, ma avrebbe fidelizzato intere famiglie all'ecosistema Xbox, creando un valore a lungo termine incalcolabile. Invece, si è preferita la strada della forzatura.
Eppure, in questo quadro a tinte fosche per il mondo console, si intravede una luce, un'indicazione chiarissima sulla rotta futura di Microsoft.
Mentre il Game Pass su console viene spremuto come un limone, la sua controparte su PC, pur con un ritocco a 14,99€, rimane un'offerta dalla convenienza quasi imbarazzante, un affare che qualsiasi giocatore su computer non può ignorare.
E questa, per quanto mi riguarda, è una dichiarazione d'intenti bella chiara. Microsoft ha capito, forse prima di altri, che la guerra delle console, combattuta a colpi di hardware venduto in perdita e esclusive miliardarie, è un gioco a somma zero, un vicolo cieco strategico.
Il futuro, per l'azienda di Redmond, non è la scatoletta di plastica sotto la TV; il futuro è il software, sono i servizi, è un ecosistema agnostico che trascende l'hardware e se proprio deve esserci quest'ultimo... beh, allora che sia il PC.
La strategia è cristallina: rendere l'esperienza su PC talmente vantaggiosa da erodere lentamente la centralità della console.
I segnali sono ovunque. Il rilascio di titoli first-party su piattaforme concorrenti, le voci sempre più insistenti di una "console" di nuova generazione che sarà, in sostanza, un PC da salotto.
Un dispositivo ibrido, aperto, forse più costoso di una console tradizionale, ma capace di far girare non solo i giochi del Game Pass, ma l'intera libreria di Steam, Epic Games Store e GOG. Microsoft non vuole più venderci una console; vuole venderci un abbonamento che ci segua ovunque.
E il veicolo perfetto per questo modello di business non è un sistema chiuso e proprietario come Xbox, ma la piattaforma aperta, universale e immensamente più vasta del PC, dove può integrare i suoi servizi direttamente nel suo sistema operativo, Windows.
L'aumento spropositato su console e la convenienza mantenuta su PC sono i due binari paralleli su cui corre questo treno.
Quale futuro per l'abbonamento?
Insomma, ci troviamo di fronte a un doloroso punto di svolta. Il Game Pass, da faro di speranza e innovazione pro-consumatore, si è trasformato nel suo esatto contrario: uno strumento di pura speculazione finanziaria, un prodotto "maturo" da cui estrarre il massimo profitto possibile.
La promessa di un "Netflix dei videogiochi" si è realizzata, ironicamente, nel peggiore dei modi: non solo nella vastità del catalogo, ma nell'arroganza degli aumenti di prezzo e nella segmentazione spersonalizzata dell'offerta.
Microsoft ha aperto il vaso di Pandora, mostrando che anche il più amato dei servizi può essere sacrificato sull'altare del profitto a breve termine, stabilendo un precedente pericoloso per l'intero mercato (sì, perché Xbox Game Pass sarà solo l'inizio di un domino di aumenti sui servizi).
Per me, e credo per molti altri, questo aumento non è solo un rincaro. È la fine di un'illusione, la triste constatazione che, alla fine, a dettare le regole non sono i giocatori, ma le spietate e impersonali leggi del mercato.
E mentre valuto, con amarezza, se declassare il mio abbonamento o cancellarlo del tutto, un pensiero non fa che tormentarmi: abbiamo perso qualcosa di più di qualche euro al mese. Abbiamo perso un'idea di futuro che sembrava, per la prima volta dopo tanto tempo, davvero dalla parte di noi consumatori.