Ormai da qualche anno le parole "remake" e "reboot" le accogliamo un po' con un sospiro di sufficienza.
Vengono viste come il sintomo di un'industria a corto di idee, un modo facile per capitalizzare sulla nostalgia senza rischiare nulla di nuovo. Eppure, con il tempo ho cominciato a pensare che questa visione è non solo riduttiva, ma profondamente errata.
Quando eseguiti con cognizione di causa, rispetto e una chiara visione artistica, i remake e i reboot non sono il segno di una crisi creativa, ma piuttosto un potente defibrillatore, capace di rianimare franchise in difficoltà, persino quelli che credevamo clinicamente morti. Ovviamente, sono qui per chiarire un aspetto importante: non parliamo di remaster, che sono essenzialmente restauri conservativi che ben poco servono in questo mercato.
Quello di cui voglio discutere oggi sono i remake, la ricostruzione da zero di un'opera su fondamenta moderne, e di reboot, il coraggioso azzeramento di una timeline per raccontare una nuova origine.
Resident Evil 2 e la cura per l'identità perduta
Per capire il potere di un remake, non si può che partire da Resident Evil 2. Prima del suo arrivo, il franchise di Capcom era in una profonda crisi d'identità che stava cominciando a tornare a respirare grazie a un buon settimo capitolo.
Dopo il capolavoro del quarto episodio, infatti, la serie si era progressivamente allontanata dalle sue radici survival horror per abbracciare un'anima da blockbuster d'azione, culminata nel criticatissimo e caotico Resident Evil 6.
Tutti noi eravamo un po' disillusi e il marchio, che un tempo significava terrore e gestione delle risorse, era diventato sinonimo di esplosioni e QTE.
Il risultato è stato un successo incredibile, poiché è riuscito ad accontentare i fan storici, che hanno ritrovato lo spirito dell'originale, e in più ha conquistato un pubblico completamente nuovo, che forse non avrebbe mai tollerato le legnosità del gioco per PlayStation.
Resident Evil 2 ha dimostrato che un remake può essere un reset stilistico, un modo per dire: "Ci eravamo persi, ma ora sappiamo di nuovo chi siamo". Non per altro, il suo successo ha dato a Capcom la fiducia per continuare su questa strada, di fatto salvando e ridefinendo l'intero franchise per il futuro.
Silent Hill 2 e la scommessa sulla resurrezione
Se Resident Evil era un paziente malato, Silent Hill era un morto. Dopo i primi, leggendari capitoli del Team Silent, il franchise è passato in mano a sviluppatori occidentali che, pur con qualche sprazzo, non sono mai riusciti a catturarne l'inafferrabile anima.
La serie era diventata una parodia di se stessa, fino a svanire nel nulla, con la cancellazione del promettente Silent Hills di Kojima e Del Toro come lapide definitiva.
Il remake di Silent Hill 2 da parte di Bloober Team non è quindi solo il rifacimento di un gioco, ma è stato un tentativo riuscito di resurrezione spirituale per un'intera saga.
A differenza di Resident Evil 2, la cui grandezza risiedeva anche nel suo gameplay, il capolavoro di Konami viveva e moriva sulla sua atmosfera psicologica, sulla sua narrazione matura e sui suoi temi complessi di colpa e lutto. Il gameplay, a dire il vero, era l'elemento più datato.
Qui sta la sfida e l'importanza di questo remake. Il suo scopo non era solo modernizzare i controlli, ma usare la tecnologia odierna per amplificare la visione originale.
L'Unreal Engine 5 ha potuto finalmente trasformare la nebbia di Silent Hill da un espediente tecnico per mascherare i limiti hardware a un vero e proprio velo opprimente e vivo.
Considerando anche la componente fortemente narrativa dell'originale, qui le espressioni facciali moderne hanno reso il tormento di James Sunderland ancora più straziante.
Il remake di Silent Hill 2 stato un test fondamentale: può un'opera così legata al suo contesto tecnologico e culturale essere "tradotta" per un nuovo pubblico senza perdere la sua anima?
Secondo me ci è riuscita e non ha solo solo riportato in vita un gioco, ma ha riaperto le porte della città nebbiosa per nuove storie come Silent Hill f, dimostrando che l'horror psicologico profondo ha ancora un posto importante in questo mercato.
Campaign Evolved e il rinnovamento di un mito
Sebbene la saga sia ancora un franchise importante, le sue campagne per giocatore singolo hanno faticato a replicare l'impatto rivoluzionario del primo, iconico capitolo.
Con Halo: Campaign Evolved, annunciato di recente, Microsoft e Halo Studios non stanno semplicemente lucidando un classico, ma stanno tentando di realizzare pienamente la promessa originale, cercando al contempo di rivitalizzare il franchise dopo il deludente Infinite.
Un remake, costruito da zero con le fondamenta dell'Unreal Engine 5 ha il potenziale per essere fondamentale per la serie.
Questo tipo di remake ha lo scopo di correggere i difetti storici (chiunque abbia giocato l'originale rabbrividisce ancora al pensiero del livello "La Biblioteca") e di arricchire la mitologia.
Sappiamo, per esempio, che questo remake proporrà ben tre missioni prequel che potrebbero arricchire non posso il contesto narrativo di gioco.
Halo: Campaign Evolved non serve a sostituire l'originale, ma a creare la versione definitiva della sua leggenda, un punto di partenza perfetto per i nuovi giocatori (soprattutto quelli PS5) e una riscoperta per i fan di lunga data, riaffermando Master Chief come icona immortale e spingendo la serie verso un nuovo inizio.
Tomb Raider e il potere del reboot
Infine, c'è il caso del reboot, l'opzione più radicale. E l'esempio perfetto è Tomb Raider del 2013. Alla fine degli anni 2000, Lara Croft era diventata la caricatura di se stessa: un'aristocratica invincibile con due pistole e un'attitudine da supereroina.
Il franchise era stagnante e Crystal Dynamics ha preso la coraggiosa decisione di buttare via tutto e ripartire da zero.
Il reboot ha presentato una Lara giovane, inesperta e vulnerabile, gettata in una situazione di sopravvivenza più brutale.
L'idea di fondo era quella di umanizzare un'icona, rendendola incredibilmente più vicina e interessante per il pubblico moderno. Il gameplay, ispirato a successi come Uncharted, era solido e nonostante qualche criticità, era soddisfacente.
Il reboot ha funzionato perché ha capito che per salvare Lara Croft, doveva prima "distruggerla", o meglio, distruggere l'immagine stereotipata che si era creata attorno a lei.
Ha dato al franchise la scossa di cui aveva disperatamente bisogno, generando una nuova trilogia di ottima qualità e dimostrando che nessun personaggio è irrecuperabile se si ha il coraggio di reinterpretarlo.
Insomma, alla fine di tutto, che si tratti di ricostruire un capolavoro, resuscitare un fantasma, evolvere un mito o ricominciare da capo, remake e reboot sono strumenti creativi di fondamentale importanza che possono salvare un intero franchise se pensate con senso logico.
Chiaro, l'industria non deve assolutamente adagiarsi su questo, ma può essere un buon modo per riscoprire l'origine di un successo e ritornare sulla strada giusta.