I panni degli altri spesso ci stanno stretti, ma nei videogiochi li mettiamo di continuo

I videogiochi sono bravissimi nel farci fare una cosa che spesso non siamo disposti ad accettare: metterci nei panni degli altri.

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a cura di Stefania Sperandio

Editor-in-chief

L'empatia è sottovalutata. Tra i tanti talenti richiesti a un essere umano in un'epoca come questa, probabilmente l'empatia dovrebbe essere una di quelle skill da mettere in evidenza nel proprio curriculum. Invece, per alcuni è addirittura vista come una debolezza: sei troppo empatico, il mondo ti masticherà e ti sputerà.

Il che probabilmente è vero. Ma altrettanto probabilmente ne vale la pena. Non è questa la sede opportuna per discuterne, ma avrete sicuramente seguito sui notiziari di qualsiasi testata di cronaca i recenti fatti che stanno scrivendo la prossima pagina dell'Afghanistan. Le immagini che arrivano da Kabul mi hanno riportato alla mente i temi e i messaggi di un titolo che giocai qualche tempo fa.

Si chiama Bury me, my Love e, anche se l'Afghanistan non c'entra, è una di quelle opere che ti ricordano il potere veicolante della proiezione. A volte le persone hanno difficoltà a recepire le emozioni, i sogni e le problematiche altrui, ma in un videogioco che cancella le distanze tra destini diversi generati unicamente da un tiro di dadi alla grande lotteria della nascita, eccoli lì – quelle emozioni, quei sogni, quelle problematiche.

Alla fine, a che latitudine e longitudine ha residenza esclusiva il futuro?

Siamo diventati un po' "abituati a tutto", soprattutto dopo l'ultimo paio di anni. Ci siamo abituati a sopravvivere adattandoci alle incombenze e questo può rendere ancora più difficile mettersi nei panni degli altri.

Ma i videogiochi, beh, i videogiochi invece sono proprio fatti per mettersi nei panni degli altri. E in Bury me, my Love vi mettete i panni di una persona che ha deciso di scappare dal suo Paese natio, la Siria, perché se c'è guerra non c'è speranza. E la vita non è abbastanza lunga per accettare di viverla senza speranza.

Ho deciso, domani parto

Uscito qualche anno fa, Bury me, my Love è costruito su una struttura apparentemente semplice e basilare: siete un uomo siriano, Majd, che, a fronte dei conflitti affrontati di recente dal Paese, insieme a sua moglie Nour è giunto alla conclusione che la prospettiva meno rischiosa sia quella di lasciare tutto. Casa, soldi, amici, lavoro, certezze, per tentare di raggiungere con qualsiasi mezzo l'Europa.

Il gioco è strutturato come una schermata di un'app di messaggistica qualsiasi, che sia WhatsApp o Telegram, e vi vede scambiare messaggi con Nour mentre la donna comincia per prima il suo viaggio, perché avete concordato che fosse più sicuro mettere prima in salvo lei e perché la madre di Majd aveva bisogno di aiuto in Siria e non poteva essere lasciata da sola.

La famiglia dei due coniugi si divide così tra la vecchia vita in Siria, in realtà già cancellata dai conflitti, e la ricerca di quella nuova, sperando di raggiungere il Vecchio Continente come rifugiati.

I giorni si rincorreranno e, mentre Nour vi aggiornerà su come stia andando il suo viaggio, vi chiederà consigli su alcune decisioni fondamentali da prendere. E qui vi ritroverete di fronte a dei dilemmi morali importanti, a tu per tu con la vostra empatia.

La donna si troverà in gruppi di rifugiati che tentano di varcare delle frontiere e, fidandosi dei vostri consigli, sarà influenzata da voi, quando magari le consiglierete di non dividere con nessun altro la sua acqua e il suo cibo, o di non aspettare le altre persone che viaggiavano con lei, se non hanno la forza di tenere il suo passo.

I protagonisti di questa vicenda sono così dettagliatamente umani che rimarrete sorpresi quando Nour vi chiederà magari di cercare un indirizzo o la traduzione di una parola su Google, perché una delle difficoltà di un viaggio come questo è attraversare Paesi in cui non sai nemmeno come chiedere aiuto, se mai ti servisse. E, soprattutto, se mai ci fosse qualcuno disposto a dartelo.

I chilometri percorsi da Nour diventeranno sempre di più e vi renderete conto, via via che la mappa si traccerà, di quante nazioni separino la vecchia vita dalla nuova. Il suo itinerario è influenzato direttamente dal giocatore, a seconda dei consigli che le darete via messaggio e del tipo di scambio che avrete con lei, e potreste vedere la donna arrivare in Croazia e poi Italia, o magari in Francia, o Germania. O non arrivare affatto.

In attesa di messaggi da una persona che non esiste

Una parte straordinaria dell'esperienza con Bury me, my Love è che il gioco uscì originariamente per smartphone e qui le ore che dovevano trascorrere tra l'arrivo di un messaggio e l'altro erano reali.

Questo significa che il giocatore rimaneva davvero in ansia di ricevere la notifica del prossimo messaggio da Nour, chiedendosi se l'ultima decisione presa fosse quella giusta, o se si dovesse accettare di non avere mai più notizie da lei.

Giocandoci su Nintendo Switch o PC, dove tutto avviene consecutivamente via via che procedete nel gioco, il fattore di attesa sicuramente si disinnesca, ma rimane molto forte quella sensazione di aver vestito panni che sarebbe stato difficile vestire con qualsiasi altro medium.

Il viaggio di Nour è fatto di paure scacciate, ma anche di emoji buffe, di messaggi sbagliati corretti inviandone un altro subito dopo perché le digitazioni sul touchscreen sono quelle che sono; è fatto di complicità con il proprio marito e a volte di musi per un disaccordo su qualcosa, come qualsiasi coppia. Semplicemente, è il viaggio di un essere umano.

Un essere umano che vi scrive, ha bisogno di voi, e che sperate di cuore riesca a mettersi in salvo. Tutto questo, pensate, per un essere umano che nemmeno esiste davvero. Esiste davvero, in compenso, il viaggio compiuto da Nour. Ed esiste, e questa probabilmente è la cosa migliore che si può apprendere da quello che potremmo a tutti gli effetti considerare un derivato più ludico dei serious game, quello che avete provato per lei, la speranza di vedere buone notizie dopo quella notifica di un nuovo messaggio.

Il gioco alla sua uscita venne sepolto da review bombing (provate a vedere perfino il rapporto di like e dislike e i commenti nei video in embed in questo articolo) da parte di una fetta di potenziali videogiocatori, che lo accusarono di fare propaganda a favore dell'immigrazione e di essere per questo sgradevolmente politico (a tal proposito, raccomando una lettura al link in evidenza poco sotto).

Tuttavia, il gioco non si sbilanciava in un messaggio manifesto scritto nero su bianco: si limitava a rappresentare in tutte le sue sfaccettature, il che non ha e non può avere la pretesa di essere esauriente, il vissuto di chi affronta un simile percorso – perché lo fa, quanta strada fa, come la fa, che tipo di compromessi si ritrova davanti (compreso lasciarsi alle spalle un'altra donna con bambino al seguito perché «mi rallentano»), con che tipo di persone deve avere a che fare. In sintesi, il gioco metteva in scena ed era il giocatore a dover trarre qualcosa.

Per alcuni è stata empatia, per altri ne sono scaturiti interrogativi razionali su condizioni che altrimenti non avrebbero mai visto da vicino. Per altri sono sorte polemiche e review bombing perché rappresentare i rifugiati tra una foto da casa e una emoji inviata al marito è stato tradotto come propaganda a favore della clandestinità.

Sta violando la legge, è vero, è scritta nero su bianco e c'è poco da dibattere in merito, ancor di meno in una sede come questa dove ci concentriamo su videogiochi e medium e non possiamo avere l'ardire di discettare in modo esaustivo di esodi e geopolitica. Ma noi, nella prospettiva videoludica e in quanto Majd, ora che la dimensione non è collettiva e generica ma individuale e personale, vorremmo solo sapere Nour ancora viva: è davvero un sogno così grave e imperdonabile? Sperare che abbia una vita migliore, in un Paese lontano e forse idealizzato, ma baciato dal lusso della pace, per Majd e Nour lo è?

Strana cosa, l'empatia, che spesso viene irrisa come eccessiva bontà d'animo. Perché a quanto pare esiste – l'eccessiva bontà d'animo.

Ma bella cosa, l'empatia. Speriamo che i videogiochi continuino a ricordarcelo. La Storia ci insegna che ce ne sarà sempre bisogno.

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