Puppeteer

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a cura di Domenico Musicò

Deputy Editor

Roma – In occasione della presentazione di Puppeteer agli studi romani di Sony Italia, il game director Gavin Moore ha mostrato alla stampa la nuova e interessante opera di Japan Studio, in arrivo il prossimo 11 settembre su PlayStation 3. Dopo averci parlato in dettaglio della nascita e della gestazione del titolo, abbiamo avuto la possibilità di cimentarci in un hands-on di cui potrete trovare il resoconto su queste pagine; una volta terminata la nostra prova, abbiamo intervistato un Moore spigliato, divertente, e molto aperto alle nostre domande. Ecco cosa ci ha detto.
Spaziogames: Sappiamo tutti che dipende dal successo che il gioco avrà ma, in ogni caso, pensi che Puppeteer abbia il pieno potenziale per evolversi in qualcosa di ancora più grande e diventare un franchise più forte? E in che modo?
Gavin Moore: Credo che una delle ragioni per cui ho creato Puppeteer sia legata al fatto che non mi piace fare dei seguiti.
SG: Si tratta quindi di un gioco unico, che non si espanderà con altri capitoli?
GM: Be’, è interessante, perché l’IP non è Kutaro e la sua storia. L’IP è il teatro. In virtù di questo, un secondo capitolo potrebbe essere completamente diverso, senza punti di contatto con la storia narrata qui, con un gameplay e una grafica differenti. Il Re Leone è diverso da Macbeth, per esempio, quindi potenzialmente si possono fare parecchie cose in futuro, sperimentare, variare la formula o avere un gioco irriconoscibile rispetto a quello che hai visto oggi.
SG: Mi pare dunque di capire che un secondo capitolo sia una reale possibilità, no?
GM: Perlomeno ho già un’idea sotto mano [Ride]
SG: Credi che – magari in futuro – la formula di LittleBigPlanet di far creare livelli agli utenti e condividerli con altri giocatori possa essere qualcosa di applicabile anche per Puppeteer? Hai mai pensato a questa caratteristica?
GM: Non so se effettivamente la gente voglia fare questo. E poi è molto difficile, soprattutto per quanto riguarda la voce fuori campo, che non potrebbe essere replicata. Dovremmo dare la possibilità ai giocatori di registrare le loro voci, e c’è anche da considerare il conflitto che si creerebbe con la storia vera e propria. Insomma, direi che non è una cosa fattibile. Considera che nel gioco abbiamo circa cinquemila linee di dialogo per un centinaio di personaggi, voci che ho personalmente registrato nello studio di Londra. Sono veramente tante, è stato un lavoro molto faticoso.
SG: In un’intervista hai detto: “Una delle cose divertenti di Tim Burton è che era inizialmente un animatore, ovvero ciò che anche io ero prima di diventare direttore creativo. La sua decisione di diventare appunto un direttore è qualcosa che ha ampliato la mia visione”. Puoi dirmi qualcosa in più delle influenze, il processo creativo e le ispirazioni che hanno portato a questo gioco?
GM: Il passaggio da animatore a direttore creativo è stato qualcosa di naturale, per quanto mi riguarda. Ti ritrovi ad animare personaggi secondo le movenze che gli altri vogliono, ma poi ho capito che a un certo punto non mi bastava più. Sentivo il bisogno di muovere i miei personaggi, di farli vivere secondo quelle che erano finalmente le mie intenzioni e le mie regole. Ecco perché ho fatto il passo successivo. Per quanto riguarda il processo creativo, una della opere che mi ha maggiormente influenzato, a parte Nightmare Before Christmas…
SG: Evidente soprattutto nel livello che ci hai mostrato ambientato nel cimitero…
GM: Sì assolutamente… a parte quella, devo menzionare anche Vincent, un corto di Burton che ho amato e che – non so se ricordi – ha un modo di raccontare la storia del tutto simile a quello di Puppeteer, con un narratore onnisciente. C’è da dire che Burton ha ridefinito quello che è il significato del gothic: la sua idea di “Gotico” è diventata la stessa idea che tutti hanno oggi, è innegabile.
SG: Anche il suo modo di fare humour è stato d’ispirazione?
GM: Sì. Non credo si possa fare un lavoro troppo serioso senza un po’ di humour. Se prendi le cose troppo sul serio, non sono più serie. Il mio tipico umorismo inglese mi fa vedere le situazioni in questo modo, anche nella vita reale. Sono convinto che si debba avere il giusto bilanciamento tra l’humour e la serietà.
SG: Per quanto riguarda il multiplayer, invece? Ci avete mai pensato o credi che non sia una caratteristica in linea con Puppeteer?
GM: Tutto è possibile in futuro, ma onestamente Puppeteer è stato originariamente pensato per essere un titolo da giocare nel proprio salotto, avendo una persona accanto per potergli dire: “Vai laggiù, prendimi questo”. Se sei munito di un microfono e dici le stesse cose, dall’altra parte ti direbbero: “Laggiù dove?”, capisci? Puppeteer mi è venuto in mente mentre giocavo con mio figlio, visibilmente annoiato dai giochi tutti uguali che escono oggi. Puppeteer è qualcosa di diverso e che offre il meglio di sé se giocato insieme a un’altra persona nella stessa stanza.
SG: Durante la presentazione di Puppeteer hai parlato dei cambiamenti che avvengono ogni 5-10 minuti mentre si gioca, è questo il principale motivo dietro ai 3 anni di sviluppo? Voglio dire, quanto è stato difficile riuscire in questo compito, sulla carta abbastanza arduo da portare a termine?
GM: Puppeteer è un grande gioco. Ecco il motivo dei 3 anni di gestazione. Considera anche che il nostro principale nucleo di sviluppo è composto da quindici persone, ma nonostante tutto per noi non è stato poi così difficile riuscire a variare la formula continuamente in tempi così brevi. Il blocco creativo avviene se cominci a pensare ai frammenti di gameplay come se fossero dei compartimenti stagni, invece nel nostro caso è stato un processo molto naturale, che veniva adattato senza forzature con l’avanzare della storia e con le situazioni che si venivano a creare all’interno di un gameplay funzionale e in linea con gli eventi narrati. Poi è chiaro, i tre anni di sviluppo sono legati al fatto che gli scenari sono stati disegnati a mano, che la cura riposta nel progetto è parecchia e che ci teniamo a consegnare il prodotto al meglio. In Japan Studio hai il dovere di essere molto bravo e anche se le persone coinvolte in un gioco a volte non sono moltissime, dobbiamo ottimizzare tempi e risorse affinché tutto funzioni come si deve. Japan studio è impegnato contemporaneamente in molti progetti: The Last Guardian, Rain, e l’elenco potrebbe continuare, ma questa non deve mai essere una scusa per fermarci, anzi. Ci sarebbero poi altri motivi che hanno portato ai tre anni di sviluppo, ma non posso dirteli…
SG: Non voglio indagare, me li farò bastare.

Gavin Moore, nonostante fosse in evidente stress da jet lag, ha presentato con grande piglio e simpatia un gioco che potrebbe potenzialmente essere un’altra delle perle di Japan Studio. Il prezzo contenuto (che non deve ingannare sulla qualità del gioco) inoltre, è un motivo in più per provare questo interessante platform, che trova la sua centralità nel teatro dei burattini giapponese e nel suo modo di essere eclettico e stimolante fin dalle prime battute di gioco.