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a cura di Folken

Pubblicato il 29/06/2011 alle 00:00

Nell’ottobre del 2005 il governatore della California Arnold Shwarzenegger firmava una legge contro la vendita ai “più piccoli” di giochi definiti “violenti”, imponendo una multa pari a 1000 dollari ai negozianti colpevoli di distribuire videogiochi per adulti a minorenni. Dopo anni di ricorsi, battaglie portate avanti da videogiocatori ma soprattutto dai big dell’industria, due giorni fa, 27 giugno 2011, la Corte suprema degli Stati Uniti ha accolto la decisione della Corte d’appello di Sacramento e definito incostituzionale tale legge.

Primo EmendamentoNegli Stati Uniti, esattamente come accade in Europa, esiste un sistema di rating chiamato ESRB che, in base a certi parametri, stabilisce l’età minima consigliata per poter usufruire di un titolo. La legge promulgata dall’ex Terminator trasformava, invece, il numeretto posto in copertina dei nostri amati videogiochi in un obbligo da rispettare. La decisione della Corte Suprema, impugnando il Primo Emendamento, che protegge la libertà di espressione di media come cinema, letteratura e videogiochi appunto, ha sancito che anche i bambini devono avere il diritto di accedere a questi contenuti. Paragonando i “videogiochi violenti” alle favole di una volta, il giudice Antonin Scalia nel suo rapporto di diciotto pagine sostiene la libertà di accesso a tutti i contenuti giustificando la violenza di certi titoli equiparandola a quella presente ad esempio in Cenerentola, le cui sorellastre si ritrovavano con gli occhi strappati dalle colombe, o Hansel e Gretel, i quali gettavano la strega nel forno. Inoltre ricorda come, a differenza di quanto si affermava ai tempi della firma della legge incriminata, che al momento non esistono studi certi in grado di mettere in relazione la violenza raffigurata in videogiochi, o film, e disturbi psicologici in bambini e ragazzi.

Diritti dei consumatori vs. diritti dei produttoriQuanto dichiarato da Scalia spiega le motivazioni morali e sociali di tale decisione, ma è facile immaginare anche la soddisfazione dei grandi dell’industria, i quali si vedevano minacciati i fatturati. Pensate a serie come Call of Duty o GTA, così come molte altre, grandissime campioni di incassi ma tutte marchiate da un “M” sulla copertina, ovvero indicate solo per un pubblico adulto. Tale messaggio resterà, ma i negozianti non rischieranno più salatissime multe nel caso l’acquirente fosse minorenne, tranquillizzando almeno fino al prossimo provvedimento “salva bambini”, i grossi distributori e produttori. Difficile comunque immaginare un’industria tanto grande e florida come quella dei videogiochi messa in crisi da leggi similari, facendoci dubitare sulla necessità di tali pressioni da parte delle software house. Da un punto di vista dei consumatori, è chiaro come i genitori potrebbero sentirsi in parte abbandonati dallo stato, che non si prende più la responsabilità di salvaguardare i loro figli da visioni di materiale potenzialmente disturbante, ma il giudice Scalia ha approfittato per ricordare come a suo modo di vedere, e aggiungeremmo che concordiamo, sta proprio ai genitori vigilare su cosa fanno i loro figli. Un’idea che dovrebbe costringere madri e padri ad acquisire una sensibilità sull’argomento, informandosi e non abbandonando a sé stessa la propria prole. Scalia non ha poi perso l’occasione per spendere anche qualche parola di elogio per l’ottimo lavoro svolto costantemente dall’ESRB, che grazie al suo sistema di rating riesce a fornire ai consumatori sempre un’idea piuttosto chiara della “pericolosità” di ogni titolo presente sugli scaffali.

E il vecchio continente?Quali ripercussioni potrebbe avere su di noi questa sentenza, che per una volta favorisce la libertà del consumatore e, perché no, la libertà del mercato, mettendo da parte il facile e vuoto perbenismo? Direttamente nessuna, ma vista la superficialità con la quale tali delicatissimi argomenti vengono trattati in Europa e soprattutto in Italia, un esempio che per molti potrebbe essere considerato positivo, dovrebbe sicuramente rappresentare un piccolo passo verso una discussione quanto meno costruttiva. Una decisione che reputiamo corretta forse non nelle ragioni (in fondo la legge non censurava alcun contenuto, non ledendo almeno in senso stretto la liberta di espressione) ma quantomeno nei risultati, in quanto la libertà va sempre e comunque difesa. Sicuramente proteggere i più piccoli da contenuti poco adatti a loro è un tema importante, ma allo stesso tempo è ora di iniziare a pensare che milioni di copie vendute di un Call of Duty qualsiasi non significano necessariamente milioni di minorenni pronti ad imbracciare le armi nella realtà. Bisognerebbe piuttosto interrogarsi su dove siano i genitori mentre i loro figli usufruiscono di materiale teoricamente non adatto a loro: ne sono consapevoli? Sono d’accordo? La responsabilità di come si cresce un figlio è sì in parte della società ma prima di tutto del padre e della madre, che dovrebbero imparare a conoscere il mondo dei propri ragazzi anziché demonizzarlo dall’esterno.Il nostro paese e con esso il vecchio continente ha il dovere di cercare di osservare il forte contrasto che caratterizza l’opinione pubblica americana, sempre costantemente divisa tra perbenismo e difesa a spada tratta della libertà di espressione, che ha forgiato col tempo una società in grado di condannare in modo quasi ossessivo qualsiasi riferimento sessuale e garantire il diritto a possedere un arma ad ogni cittadino, ed allo stesso tempo di cercare di imparare qualcosa. Forse proibire la vendita di materiale per adulti ai minorenni potrebbe non essere necessariamente un’idea sbagliata, ma non può neanche essere considerata l’unica soluzione: del resto, si sa quanto sia semplice aggirare tali controlli con un fratello maggiore o uno zio particolarmente “permissivi”. Allo stesso tempo bisogna evidenziare come in questa legge, nella sua successiva cancellazione e soprattutto nel Primo Emendamento, non vi sia alcun riferimento a censure, proteggendo sempre e comunque la libertà di espressione e la possibilità anche per gli adulti di usufruire di materiale maturo e pensato per loro, dettaglio tutt’altro che marginale. Le tematiche e lo stile narrativo di un GTA o di L.A. Noire, ad esempio, non sono certamente state sviluppate con in mente un pubblico di giovani, quanto piuttosto per persone interessate ad essere stimolate nell’affrontare tematiche complesse e comprensibili solo da chi possiede un bagaglio culturale e di esperienza di un certo tipo.

In questo spazio non ci possiamo certamente permettere la pretesa di possedere la soluzione ad una problematica tanto sfaccettata, che vede diversissimi punti di vista incontrarsi e scontrarsi di continuo, ma a nostro modo di vedere il modo più saggio per affrontare la questione è sempre la moderazione.

Vivendo noi tutti direttamente all’interno del mondo videoludico, sappiamo che sarete d’accordo con noi se affermiamo che demonizzare a priori sia sbagliato. Allo stesso tempo pensiamo che supportare e promuovere organi di informazione come l’ESRB o il nostro PEGI sia un ottimo punto di partenza. Il secondo passo dovrebbero farlo i genitori stessi, troppo spesso lontani anni luce dal mondo dei loro figli, che a volte sembrano osservare neanche fossero alieni con in mano strumenti ultratecnologici, con lo sguardo concentrato su immagini per essi totalmente incomprensibili.

A nostro modo di vedere lo stato dovrebbe quindi unicamente mettere a disposizione degli strumenti utili per acquisire le giuste conoscenze, evitando sempre la strada più facile della censura in favore della libertà. E poi ci sono le software house, che non dovrebbero sfruttare il proprio potere per influenzare l’organo legislatore, ma qui forse si comincia a parlare di utopie irraggiungibili.

Proponiamo infine un’ultima riflessione per tornare al principio di tutto il caso. Se ci pensiamo, infatti, la legge promossa da “Schwarzy” non promuoveva la censura, ma chiedeva solo un maggior rigore nella distribuzione di materiale per adulti, costringendo con sanzioni la vendita dei videogiochi solo al pubblico a cui sono indirizzati. Perdonereste un edicolante che vende del materiale pornografico a vostro figlio dodicenne o un Blockbuster che gli permette di noleggiare l’ultimo SAW?

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