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Kensgold, il ragazzo che ha speso 10.000 dollari in microtransazioni

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a cura di Gottlieb

Pubblicato il 30/11/2017 alle 00:00

Siamo nel periodo storico più buio per le microtransazioni: una polemica che è arrivata dinanzi ai nostri occhi con un decennio di ritardo, una aspra critica che avrebbe dovuto prendere piede molti anni fa, se fossimo stati coerenti con noi stessi e con il mercato. La gogna mediatica sta mangiando sulla carcassa di Star Wars Battlefront II, ha provato a divorare anche L’Ombra della Guerra, chissà fin dove si estenderà. Intanto, però, c’è un rovescio della medaglia, scovato da Kotaku, uno dei magazine internazionali più seguiti in ambito videoludico e perennemente attento alle vicende sui generis da raccontare. La storia riguarda Kensgold, un ragazzo di 19 anni che ha chiesto di mantenere l’anonimato dinanzi ai lettori, ma che ha speso, negli ultimi anni da videogiocatore, 13.500,25 dollari in microtransazioni (circa 11.400 euro).

L’innocuo inizioCounter-Strike: Global Offensive, Smite, The Hobbit: Kingdoms of Middle-earth sono i tre giochi nei quali Kensgold ha investito di più negli ultimi anni: mentre Kotaku raccontava la sua storia, il giovanissimo videogiocatore era maggiorenne, ma la sua passione e la sua “perversione” per le microtransazioni risale, come egli stesso ha dichiarato, a quando aveva appena 13 anni. Il suo primo investimento arrivò su un gioco non nominato, ma che assomigliava molto a Clash of Clans: “Ho speso più o meno 30 dollari: ero molto giovane e non avevo alcun tipo di entrata economica all’epoca”. Poi è arrivato il momento di The Hobbit: Kingdoms of Middle-Earth, titolo oramai defunto e pubblicato nel 2013 per smartphone: un pay-to-win puro e semplice, che aveva alla base numerose microtransazioni che offrivano un progresso velocissimo e rapidissimo, per chi era disposto a pagare. Kensgold lo era, a quanto pare, perché costruire città, ottenere risorse, comprare eserciti e ottenere upgrade di ogni tipo era molto più facile con dei soldi reali piuttosto che impiegando del tempo. L’investimento è stato di centinaia di dollari al mese e nell’estate del 2015 la somma totale era arrivata a 800 dollari di acquisti per The Hobbit. Grazie poi all’arrivo di altri titoli, quali Clash of Kings e Age of Warring Empire, il giovane era arrivato a spendere poco più di 4000 dollari. “Chiaramente quando compi una decisione di questo genere sai di non aver fatto qualcosa di geniale – ha dichiarato a Kotaku – ma all’epoca io ero molto preso da questi giochi e non sapevo dove avrei potuto spendere tutti questi soldi. Nessuno mi diceva che dovevo fermarmi perché ero un idiota”. 

Lavorare per giocareArriva quindi il momento di un lavoro part-time al Panera (un bakery café molto diffuso in Canada e negli Stati Uniti), che permette a Kensgold di guadagnare tra 300 e i 400 dollari ogni due settimane, che lui decide di spendere quasi del tutto in microtransazioni, tutte in-app purchases: la cifra esatta, racconta, è il 90% di quanto guadagna. Nonostante i tentativi della madre di staccargli internet dall’abitazione, e anche nonostante le preoccupazioni dei nonni, Kensgold continua a giocare supportato dalla connessione dati del suo smartphone e spende, senza interruzione. Per aumentare, tra l’altro, la cifra spesa arriva anche a cercare e a trovare un secondo lavoro. Tra Steam, Google Play e Blizzard in pochissimo tempo la sua banca conferma un investimento di più di diecimila dollari in microtransazioni. Nel mentre, però, nel gennaio del 2016 Kabam, lo sviluppatore di The Hobbit, decide di vendere il prodotto a una compagnia cinese, che stravolge le meccaniche di gioco: la maggior parte degli amici di Kensgold decide di abbandonare il gioco e di lasciarlo da solo, così da non dargli più alcun tipo di incentivo per essere il migliore. I suoi compagni di scuola iniziano, allora, a spostarsi su PC e da qui inizia il periodo dedicato interamente a Counter-Strike: Global Offensive e Smite, entrambi adeguatamente attenti a offrire, dietro pagamento, dei cambiamenti cosmetici ai vari personaggi utilizzati. “Avevo speso tanto per essere competitivo in The Hobbit, quindi cosa potevano mai essere cento dollari per qualche altro acquisto su altri giochi? Se vedevo una skin e volevo acquistarla non era un problema”, ogni volta che Kensgold vedeva, quindi, un amico indossare un costume che avrebbe voluto avere, lui lo acquistava: non importava la cifra. “Quando ti chiedono se sei sicuro di voler spendere 100 euro per acquistare qualcosa non hai la sensazione di fare qualcosa di sbagliato. Non senti un pugno che ti colpisce così come sta accadendo adesso”.

Per fortuna del suo portafogli e dei suoi cari, che iniziavano a preoccuparsi, Kensgold abbandona poco dopo Counter-Strike e inizia a vedere un terapista: “Non immaginate quanto mi abbia aiutato a rendermi conto di cosa stessi facendo”. Adesso l’attenzione è focalizzata su PlayerUnknown’s Battlegrounds, al quale il ragazzo gioca dai primi passi della beta: ha collezionato gran parte degli oggetti disponibili nelle loot crate prima che gli sviluppatori iniziassero a venderle per soldi veri. Ora sta cercando di non ricadere nella trappola e resistere alla sua alta vulnerabilità. “Non ho raccontato la mia storia per lamentarmi di EA o di altre compagnie che decidono di inserire le microtransazioni nei loro giochi: ho voluto condividere la mia storia per sottolineare che il sistema non è così innocente come realmente appare. Non è come acquistare un pacchetto di gomme al negozio: possono trascinarti in qualcosa di molto più grande”. L’intervista a Kotaku si chiude con una lapidaria dichiarazione: “Non è un acquisto una tantum. Non lo è mai”. 

La storia di Kensgold è sicuramente una delle più estreme vicende legate alle microtransazioni e non rispecchia ciò che accade nel quotidiano del mercato videoludico. Ancora una volta la nostra posizione viene ribadita: con moderazione e con un utilizzo sensato di tutte le meccaniche di gioco offerte dai vari publisher nessun aspetto diventa dannoso. E questo vale tanto per i videogiochi quanto per ciò che c’è al di fuori del nostro mercato preferito. Raccontarla, come egli stesso ha dichiarato a Kotaku, serve per trasmettere a tutti un messaggio ben preciso: bisogna rendersi conto di ciò che si fa e bisogna ragionare con lungimiranza. Quello che fate oggi potreste portarvi a un pentimento tra qualche anno, quindi prima di acquistare una loot box o qualsiasi altro oggetto che richieda una microtransazione ragionateci non due, ma quattro volte.

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