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Genesi di un doppiaggio

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a cura di Gottlieb

Pubblicato il 03/11/2016 alle 00:00

La localizzazione: una parola che corrisponde a un incessante lavoro artistico, che è diventato sempre di più una voragine all’interno della quale catalizzare tantissime attività, tutte votate al portare, nel nostro Paese, nella nostra lingua, un prodotto che altrimenti rimarrebbe nella acerba lingua anglosassone, o giapponese nel peggiore dei casi. Allo stesso modo, mentre la localizzazione diventa voragine, turbinio di imprecazioni diventa la reazione di moltissimi fruitori del videogioco, videogiocatori sempre pronti ad additare al doppiaggio il problema cardine dell’esperienza finale. Accuse che spesso non considerano le difficoltà che devono attraversare e vivere molti studi di localizzazione, soggetti alle difficoltà del caso, che in qualche modo già Ray Chase nella sua intervista, parlando di Final Fantasy XV, ci aveva fatto comprendere. Per capire meglio la pratica di localizzazione, e chiaramente anche del doppiaggio in sé, abbiamo approfittato dello spalancarsi delle porte di Disc2Disc, l’azienda che ha permesso a noi italiani di giocare Gears of War 4 nella nostra lingua. 

Dall’onda sonora alla parolaLa procedura che precede il doppiaggio prevede l’invio di quello che è il testo da tradurre: prima di arrivare al lavoro di voce, tocca a quello di traduzione. Senza avere un riscontro visivo di quello che effettivamente succederà nel videogioco, tocca iniziare a ragionare su come adattare la lingua italiana a quella inglese, mantenendo i tempi, le durate delle battute, ma allo stesso ricordando che l’idioma anglosassone è decisamente più breve, per suoni e per fonemi, di quello italiano.«Solitamente il testo ci arriva quando lo sviluppo del videogioco è a metà: la sceneggiatura è sì finita, ma il gioco in sé non ancora. C’è quindi la necessità, e la possibilità, di dover tornare indietro per rivedere alcune cose e per effettuare delle correzioni. Si fanno dei ritocchi che sono fisiologici, per arrivare al prodotto finale. Noi in ogni caso riceviamo sempre la forma d’onda senza vedere i filmati che dobbiamo doppiare: sono delle bozze di cutscenes che ci permettono di dettare i tempi. Ogni tanto, ma raramente, ci arrivano i filmati in motion capture per poter vedere il movimento delle labbra e capire effettivamente il contesto nel quale ci troviamo».  Parte da qui il lavoro di Disc2Disc, che si fa archè di tutto ciò che anche in altri studi di registrazione accade. La storia, d’altronde, è sempre la stessa: doppiare un qualcosa da ciechi non è facile né immediato, anzi. Immaginate voi stessi, d’altronde, di dover da una stringa di testo comprendere, effettivamente, il contesto in cui vi trovate in quel momento. «La nostra fortuna è che il mixer dell’audio nei videogiochi è diverso: nel cinema quando si doppia qualcosa purtroppo si distrugge sempre la traccia, perché hai bisogno di registrare sopra. Ultimamente la tendenza si sta invertendo, perché siamo arrivati ad avere degli inserimenti in post produzione, soprattutto nei blockbuster: per esempio in Star Wars qualsiasi effetto sonoro viene aggiunto dopo, con un’altra traccia, pertanto il doppiaggio avviene senza problemi e senza rovinare i rumori di sottofondo. La presa diretta è oramai svanita, se non nei film d’autore. Nel videogioco funziona da sempre così, per nostra fortuna, perché la presenza degli effetti speciali è logicamente esasperata, quindi si hanno diverse tracce separate e soltanto successivamente si mettono tutte insieme».Se Gears of War 4, prendendo come esempio l’ultimo localizzato da Disc2Disc, è arrivato soltanto da poche settimane sul mercato internazionale, all’azienda milanese, che ora si prepara a sbarcare anche a Roma con una sua succursale, il primo plico è stato consegnato nel mese di marzo. Sono stati impiegati circa cinquanta doppiatori, affiancati da dieci tecnici. A dirigere il doppiaggio sono stati in due e va tenuto conto anche del team di traduzione, che ha dovuto adattare il testo inglese a quello italiano: erano in sei, più tre revisori e un coordinatore. La lavorazione è partita in Primavera, per essere terminata a settembre. E i numeri, paragonati agli altri lavori di D2D, sono anche bassi, perché per il caleidoscopico Lego Dimensions ha richiesto centoventi doppiatori, suddivisi in 450 personaggi. Il brand di Warner Bros., tra l’altro, ha dovuto anche affidarsi a una pratica aggiuntiva dal punto di vista della lavorazione, richiamando quei talent che avevano già prestato la propria voce a un determinato personaggio. Un impiego di forze che però non ha spaventato D2D, che ha una storia lunga all’interno della produzione audio, sicuramente più navigata della loro attività di localizzazione di videogiochi, partita lo scorso anno con F1 2016. Tre sedi, cinque studi di registrazione, un lavoro su più di 200 film all’anno e tanta voglia di fare molto di più, di ampliarsi verso altri palcoscenici, come quelli videoludici d’altronde. Tutto è partito con Codemaster, che per il suo F1 voleva un’inversione di marcia, voleva ripartire dopo qualche errore abbastanza grossolano della localizzazione dei capitoli precedenti: «L’importante in questo settore è essere affidabili piuttosto che sembrare affidabili. Bisogna puntare sul rispettare la deadline e tutto il resto, perché queste sono le poche cose che fanno effettivamente la differenza». Idee chiare e concetti precisi, per un’arte che deve necessariamente, al giorno d’oggi, fare i conti con la burocrazia e con un’industria sempre più florida.

Perché non si localizza in italiano?In chiusura, durante il nostro viaggio all’interno degli studi milanesi di D2D, non potevamo esimerci dal domandare ciò che realmente riguarda il nostro mercato, sempre più bistrattato dalle localizzazioni: quindi, perché l’italiano si vede sempre meno nei videogiochi è presto spiegato.«Non è un motivo di costi: lavorare con l’Italia è molto più economico che farlo con un paese come la Germania o la Francia, dove tutto costa di più. Bisogna capire, però, che lavorare nel nostro Paese significa anche investire su una community che non permette di avere un adeguato ritorno monetario. Il mercato tedesco è sicuramente più grande del nostro e, soprattutto, non c’è modo di dare spazio alla pirateria per i grandi controlli che vengono effettuati: se quindi in Germania riesci ad avere un ritorno di mille, in Italia devi accontentarti di 330. Bisogna tener conto di tali aspetti quando si ragiona in questi termini. E se si pensa che oramai il mercato PC in Italia non è più valutabile si capisce che l’investimento, per molte software house, non vale più la pena».

Disc to Disc è un’azienda che ci ha dato la possibilità di approfondire le tematiche del doppiaggio e della localizzazione, permettendoci di capire quanto effettivamente questo tipo di lavoro è complesso, ma edificante per chi lo porta a termine. Il sudore che è figlio del lavoro di traduzione produce tanta soddisfazione per il nostro Paese, che quotidianamente soffre le mancate localizzazioni nella nostra lingua: prendersela con degli adattamenti non ottimali non è sempre la soluzione al nostro problema, perché chi lavora con la voce e con il testo italiano è sempre messo a dura prova. Cercare di comprendere le difficoltà è il primo passaggio per migliorarci, tenendo ben chiaro che la critica, quando costruttiva, supporta le migliorie.

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