Fenomenologia di un insuccesso

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a cura di Nicolò Bicego

Redattore

La storia di Nintendo, si sa, è costellata tanto di successi strabilianti quanto di clamorosi buchi nell’acqua.
Si passa dalle stelle di Wii o di Super Nintendo a stalle popolate da creature amorfe come il Virtual Boy, giusto per citare l’esempio più famoso.
Se le portatili Nintendo hanno sempre goduto di una buona fortuna (non sempre facilmente ottenuta, basti pensare agli inizi di 3DS, per rimanere in tempi recenti), lo stesso non si può dire delle home console: Nintendo 64 e Gamecube non hanno raggiunto le vendite prospettate da Nintendo, fallendo la prima nel compito di mantenere il dominio instaurato con il Super Nintendo, la seconda nel tentativo di riconquistare il mercato perduto in favore di Sony.
Più di recente, però, Nintendo ha mosso l’ennesimo passo falso: stiamo parlando, ovviamente, di Wii U. Una console che minaccia di superare il record negativo segnato da Gamecube in termini di vendite. Cifre alla mano, Gamecube chiuse il suo ciclo vitale con quasi 22 milioni di console vendute, mentre Wii U sta attualmente arrancando verso i 13 milioni di unità.Spesso le scarse vendite di Wii U vengono attribuite ad alcuni dei luoghi comuni che aleggiano intorno al nome di Nintendo: line-up scarsa, mancanza di giochi per adulti, scarsa potenza grafica, giusto per nominarne qualcuno.
Oggi analizzeremo le possibili cause dei due più grandi fallimenti in ambito home console di Nintendo, cercando di scovare come due situazioni così diverse abbiano portato al medesimo risultato, sfatando nel frattempo alcuni di questi luoghi comuni.
Insuccesso al cubo
Torniamo con la mente all’ormai lontano 2001, anno di lancio del Gamecube (in Giappone ed America, almeno: noi europei avremmo dovuto attendere fino al 2002). Nintendo usciva clamorosamente sconfitta dalla generazione precedente: il Nintendo 64 non era riuscito a consolidare la posizione della software house di Kyoto come leader del mercato, anzi. Lo scettro era passato alla nuova arrivata Sony, che con la sua Playstation era riuscita a surclassare le vendite delle storiche Nintendo e Sega. Inoltre, alcune scelte di Nintendo avevano portato a rotture importanti, come quella con Squaresoft (per ragioni che non andremo ad analizzare in questa sede), riducendo quindi il numero delle terze parti disposte a dare un pieno supporto alla neonata macchina targata N. La strada di Gamecube (GC d’ora in avanti) era quindi in salita fin dall’inizio: Playstation 2, uscita l’anno precedente, sembrava destinata a ripetere e superare il successo del suo predecessore, facendosi forte anche della retrocompatibilità totale con i titoli Playstation. Non solo: tralasciando l’ormai morente Sega, un nuovo concorrente si stava affacciando sul mercato console. Stiamo parlando, ovviamente, di Microsoft e della sua Xbox, ai tempi una totale incognita. 
Un ultimo fattore antecedente da tenere in considerazione è il cambio alla presidenza: nel 2002, lo storico presidente Yamauchi cedette il suo posto ad un giovane Satoru Iwata, lasciando a quest’ultimo il compito di portare a compimento l’ultima console progettata sotto la sua guida. Insomma, la situazione non era affatto semplice per Nintendo, e di certo non aiutò la mancanza, nella line-up di lancio, di titoli di alto rilievo. Certo, il giorno di uscita si poteva trovare nei negozi l’ottimo Luigi’s Mansion, tra gli altri titoli, ma l’assenza di altri titoli di grande rilievo e, soprattutto, delle storiche IP Nintendo al lancio fece partire Gamecube col piede sbagliato.
Le vere killer application avrebbero cominciato ad arrivare di lì a poco, sia da team interni a Nintendo (Super Mario Sunshine, Smash Bros. Melee, Mario Kart: Double Dash, Metroid Prime, etc.), così come dalle terze parti. Tocchiamo qui un tasto importante: si parla spesso del rapporto ambivalente di Nintendo con gli sviluppatori esterni e una delle accuse che più vengono mosse alle console Nintendo è di non godere di un adeguato supporto dalle terze parti: il che è vero solo in parte per Gamecube. Non solo la maggior parte dei titoli multipiattaforma era presente sulla console Nintendo, ma erano presenti anche esclusive importanti: si parla di titoli come Eternal Darkness, Resident Evil 0, Resident Evil (remake), Metal Gear Solid: The Twin Snakes e Geist. Niente di paragonabile (numericamente) alle esclusive di Playstation 2, ma rimane comunque una testimonianza importante di come le console Nintendo non siano mai state effettivamente deficitarie del supporto di terze parti, specie per quanto riguarda i multipiattaforma. E le esclusive sarebbero state ancora di più, se le vendite scarse di GC non avessero convinto le terze parti a tirare i remi in barca: è famoso il caso dei Capcom Four, quattro titoli nati da un accordo tra Nintendo e Capcom, inizialmente previsti esclusivamente per la console Nintendo. L’accordo riguardava titoli che sarebbero diventati dei cult, come Killer 7, Viewtiful Joe e Resident Evil 4.
Queste righe dovrebbero bastare per sfatare anche un altro luogo comune su Nintendo, vale a dire quello per cui la casa di Kyoto si sia indirizzata quasi totalmente ad un pubblico giovanile e che non sappia ampliare le tipologie di gioco presenti sulle sue console. Entrambe le accuse hanno certamente un fondo di verità: Nintendo avrebbe indubbiamente potuto fare di più per aumentare la varietà del parco titoli delle sue console, sia in epoca GC che in altre. Tuttavia titoli come quelli nominati dimostrano come certi luoghi comuni siano soltanto questo, dicerie ben lontane da una verità che è molto più complessa e stratificata. Riprendendo per un attimo Resident Evil 4, ricordiamo che il titolo uscì, poco tempo dopo il suo debutto su GC, anche su PS2, in quello che è forse uno degli esempi più emblematici del divario tecnico tra le due console: la sua versione su console Nintendo è nettamente superiore alla controparte PS2, al punto da sembrare quasi due titoli diversi dal punto di vista visivo. I colori definiti e vivaci della versione GC lasciano spazio ad un blando marroncino su PS2, testimonianza di quanto appena affermato. La potenza grafica, dunque, era dalla parte di Nintendo: il GC era secondo solamente a Xbox nel mostrare i muscoli.
Abbiamo dunque delineato quello che era Gamecube: una console tradizionale (niente a che vedere con le console progettate da Iwata di lì a qualche anno), con una potenza superiore alla concorrente principale, una line-up molto buona fatta di (molte) esclusive Nintendo ma anche di multipiattaforma ed esclusive da terze parti. Sembra strano dire che fu proprio una console del genere ad essere il più grande flop di Nintendo in campo home, soprattutto se si pensa che spesso il dito viene puntato contro tali mancanze nel parlare di Wii U. Eppure, i numeri parlano chiaro: GC faticò a raggiungere i 22 milioni di unità vendute, là dove Nintendo 64 (che non era il maggior successo Nintendo, per usare un eufemismo) aveva toccato i 35 milioni. Questo pur contando un taglio di prezzo netto, che portò GC ad essere venduto a 99$ a un solo anno dopo la sua uscita, tentativo disperato che riuscì a dare un sollievo economico alle casse della casa di Kyoto. Il fatto più grave, però, sta nel fatto che Xbox di Microsoft raggiunse i 24 milioni: al di là dei meriti della console della casa di Redmond, il punto è che Nintendo, una delle concorrenti storiche del mercato videoludico, era stata sconfitta non solo dall’agguerrita PS2, ma anche da una console neonata, cosa su cui probabilmente pochi avrebbero scommesso. Insomma, sembrava che gli utenti non volessero saperne di Gamecube, neanche quando i negozi sembravano volerlo, metaforicamente, tirare dietro ai consumatori. 
Dove cercare, quindi, i motivi di un tale insuccesso? Sicuramente la line-up di lancio fiacca non contribuì a dare la spinta giusta alla console all’inizio del suo ciclo vitale e certamente la mancanza di qualsiasi forma di multimedialità ha influito negativamente sulla percezione della console presso il grande pubblico, in un’epoca in cui tale aspetto cominciava a farsi strada in modo sempre più preponderante nel mercato videoludico. Ci deve essere altro, tuttavia, dietro al fallimento di una macchina siffatta. Prima di provare a rispondere, viaggiamo di nuovo nel tempo.
Squadra che vince non si cambia…?
Siamo adesso nel 2012: Nintendo, reduce dall’incredibile successo di Wii e DS, si è già lanciata nell’ottava generazione videoludica con 3DS, uscito nel 2011 con un lancio tutt’altro che entusiasmante, e si appresta a mandare in pensione anche la sua home console. Satoru Iwata decise di puntare nuovamente sull’innovazione piuttosto che sulla forza bruta della nuova macchina, cercando quindi di bissare il successo ottenuto con la formula vincente di Wii. Bisogna tenere a mente un piccolo appunto: per quanto Wii fosse una console di settima generazione, la macchina era tecnicamente molto vicina a Gamecube e molto lontana dalle console dalla grafica HD della concorrenza. Forse è anche per questo che Nintendo, alle prese per la prima volta con una macchina moderna, si è trovata impreparata con Wii U. Al lancio, infatti, la console si presentava con un solo titolo di rilievo da parte di Nintendo, vale a dire New Super Mario Bros. U. Non solo: la console si presenta afflitta da altri problemi che sarebbero stati risolti solo col tempo e numerose patch: caricamenti eccessivamente lunghi, avvio lento, crash continui. A un lancio non proprio eccellente (se si conta che la line-up consisteva quasi interamente di porting di giochi già usciti da tempo sulle console di settima generazione Sony e Microsoft) si aggiunse poi un lungo gap temporale: solamente nel luglio 2013 la console Nintendo vide una nuova esclusiva importante sugli scaffali, vale a dire Pikmin 3, titolo fin troppo di nicchia per avere un forte richiamo sulla massa. Insomma, il lancio di Wii U appariva decisamente affrettato e prematuro. Da qui, la macchina non è mai riuscita ad ingranare un buon ritmo di uscite: sebbene Nintendo fosse riuscita a rimediare alle prospettive desertiche del 2013 con uscite più regolari e stabili, non è mai riuscita a garantire un supporto simile a quello presente su Wii o GC. Se a questo aggiungiamo il ritiro delle terze parti, che hanno cessato di supportare la console fin dal 2013 (chi più, chi meno), si capisce subito la gravità della situazione della line-up.
Per quanto goda di molte esclusive dalla qualità elevatissima, la console non è mai riuscita a raggiungere, nel suo ciclo vitale, una copertura software in grado di soddisfare i palati di ogni videogiocatore. Un numero minore di uscite rispetto al passato, infatti, si traduce anche in una minore copertura di generi: insomma, per quanto Nintendo abbia cercato di tirare la coperta per coprire la console, questa coperta si è rivelata fin troppo corta, mettendo in luce l’impreparazione della casa di Kyoto nel gestire una macchina in alta definizione. Un’altra causa della sfortuna di Wii U è da ricercarsi nel suo creatore, Satoru Iwata: il compianto presidente aveva puntato fin dall’epoca Wii/DS sull’innovazione, sullo stupire il pubblico piuttosto che sul mantenere salda la tradizione. Wii U ed il suo gamepad, però, non hanno fatto breccia nel pubblico come fatto da Wii e dal Wiimote a loro tempo, e quello che doveva essere uno dei cavalli di battaglia della console è diventato presto uno dei suoi limiti più grandi. La scelta di implementare un secondo schermo non era compatibile con quella di una macchina performante dal punto di vista tecnico, pertanto Wii U si è ritrovato a gareggiare, proprio come il suo predecessore, con un hardware vecchio di una generazione, elemento che certamente ha giocato in suo sfavore presso gran parte dell’utenza.
La feature che doveva garantire il successo di Wii U si è rivelata un buco nell’acqua, mettendo ancora più in luce l’arretratezza tecnica della console, allontanando di fatto sia l’utente medio che, di conseguenza, le terze parti, poco convinte a sviluppare su un hardware arretrato e dalle vendite scarse. Non solo: il paddone di Wii U ha anche impedito a Nintendo di giocare un’ultima carta, la stessa usata ai tempi di GC, vale a dire il taglio di prezzo: è ragionevole pensare che proprio la presenza del pad abbia impedito un calo netto del costo della console, che si ritrova attualmente a competere con PS4 e Xbox One, nel pieno del loro ciclo vitale, ad un prezzo che di competitivo ha poco. L’ultimo affossamento nelle vendite è dovuto, probabilmente, all’annuncio fin troppo prematuro di NX, che ha dato il colpo finale al già breve ciclo vitale della console: di NX si parlava già a marzo 2015, e per quanto i vertici dell’azienda abbiano poi cercato di rimediare dicendo che NX non avrebbe sostituito Wii U e che l’azienda avrebbe continuato a supportare la macchina di ottava generazione, il danno ormai era fatto.
Un tentativo di analisi
Come abbiamo visto, le due sfortunate console Nintendo hanno avuto storie e problemi diversi, ma un minimo comune denominatore: l’insuccesso. Dovuto in parte a scelte sbagliate da parte della casa di Kyoto e in parte a semplice avversità del caso, il fallimento delle due console è tuttavia innegabile. E sicuramente ci sono colpe oggettive da attribuire a Nintendo e alle sue personalità di spicco: questo è fuori da ogni dubbio.
Allo stesso tempo, però, ad aver influito sulle due console è il nome stesso di Nintendo: un nome così importante è un onore, ma anche un onere, specie quando si porta dietro tanti luoghi comuni come quelli che aleggiano intorno alla compagnia nipponica. Mancanza di titoli per adulti, scarsa line-up, uso ripetuto delle stesse IP, scarsa potenza grafica: solo alcune delle colpe che vengono imputate a Nintendo. Come abbiamo visto, però, questi luoghi comuni hanno ben poco di veritiero, e quando anche toccano la verità, ne sfiorano solo la superficie. Sicuramente, Nintendo deve rimediare ai problemi avuti con Wii U, ma il cambiamento fondamentale deve avvenire in ambito di marketing, soprattutto per quanto riguarda l’immagine stessa della compagnia presso la general audience: mosse come la pubblicazione di Bayonetta 2 e Devil’s Third sono certamente mosse azzeccate in questo senso.
La speranza di chi scrive è che i vertici dell’azienda imparino dagli errori del passato e che, dalle ceneri di una console che non è riuscita ad esprimere il proprio potenziale, nasca una macchina capace non solo di raccogliere l’eredità di Wii U, ma anche di riportare il logo Nintendo nei salotti delle case di tutti i videogiocatori.
La motivazione per la tarda uscita di NX – avere un’ottima line-up di lancio – sembra indicare che qualcosa, forse, si sta muovendo tra i vertici, e che forse davvero le batoste subite negli ultimi anni sono servite a svegliare un’azienda dormiente.

Non si tratta di un argomento semplice, tuttavia, la riflessione, condivisa o meno, spero possa dare adito a ulteriori riflessioni in chiunque abbia voglia di indagare a fondo sulla storia di quella che è una delle colonne portanti del videogioco moderno fin dai suoi natali.

Perché puntare il dito è semplice, indagare a fondo sugli eventi e cercare di capirne i meccanismi, però, non lo è altrettanto.