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Alien e Prometheus

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Avatar di Marcello Paolillo

a cura di Marcello Paolillo

Editor-In-Chief

Pubblicato il 12/05/2017 alle 00:00

Alien: Covenant è atteso proprio in queste ore nei cinema italiani e in quelli di tutto il mondo (a questo indirizzo trovate la puntuale recensione targata SpazioGames) tanto da far sentire il proprio grido non solo nello spazio, dove si solito è difficile udire alcun suono, ma anche e soprattutto nell’universo cinematografico di provenienza, visto e considerato che l’opera di Ridley Scott – autore del primo, indimenticabile Alien e del discusso Prometheus – da il via a una vera e propria “saga prequel” che potrebbe durare svariati anni (e sempre che i risultati a botteghino glielo permettano, chiaramente), dando inoltre un deciso colpo di spugna a tutti i sequel apparsi successivamente al capitolo originale del 1982 (vale a dire che molte delle cose che abbiamo visto al cinema da Aliens in poi potrebbero non far parte dello stesso universo narrativo). Ad ogni modo, prima e dopo la visione di Covenant sono tanti i dubbi e le questioni lasciate in sospeso, così come le teorie di una saga lunga oltre trent’anni. Ripassiamo quindi tutto ciò che c’è da sapere, prima di svegliarci dall’ipersonno sull’astronave Covenant.
Atto I, la Genesi
Prometheus, il kolossal fantascientifico diretto da Ridley Scott e scritto da Damon Lindelof (LOST), ha posto un’infinità di questioni che rischiavano seriamente di rimanere irrisolte. Quali sono – e dove sono – i collegamenti alla saga di Alien? Innanzitutto va detto che, pur essendo il primo Alien il punto di partenza del progetto (e ci sembra chiaro), Promteheus doveva essere a tutti gli effetti una storia originale senza alcun contatto diretto alla saga dello Xenomorfo. Una sorta di “omaggio” a un film a cui Scott è sempre stato molto legato, tanto da negarsi anche nel titolo qualsiasi riferimento (Alien: Prometheus suonava male, non credete?). Non solo quindi il nome di Alien non viene mai citato, ma dopo la visione è chiaro che Prometheus non è il prequel della pellicola dell’89, bensì “il prequel del prequel”, considerando che il finale mostra un proto-Xenomorfo uscire dal torace dell’Ingegnere, a dimostrazione che prima di arrivare alla forma completa e che tutti noi conosciamo sarebbe dovuto trascorrere ancora molto tempo. Anche perché, se è nel dicembre 2093 che la Prometheus atterra sulla luna LV-233, le vicende di Ripley sono ambientate nel 2122, ovvero 29 anni dopo. Un lasso di tempo realmente grande per incastrare una vicenda che ci porterà sino al mistero dietro allo “Space Jockey”, il cosiddetto “punto di partenza” scoperto suo malgrado dal team della Nostromo. Dopotutto, sin dall’affascinante sequenza iniziale di Prometheus, il concetto di “genesi” è ben chiaro: la costruzione del DNA di queste creature, proprio come un peso donato dagli dei, va ben oltre un semplice uovo di Facehugger che si schiude in faccia a un malcapitato. La marcata presenza di una religione – o di Fede, se preferite – è ben presente sia in Prometheus che in Alien: Covenant. Tanto che non è un mistero che Ridley Scott pensasse proprio alla figura di Gesù Cristo nel momento in cui ha pensato che un Ingegnere proveniente dallo spazio potesse condizionare e “smuovere” la creazione della vita su di un determinato pianeta. 
Atto II, l’Apocalisse
E poi c’è David, interpretato da Michael Fassbender, il personaggio chiave di entrambe le pellicole. Assieme alla dottoressa Shaw, è l’unico protagonista a mettersi in salvo dopo la mattanza avvenuta all’esterno della Prometheus. Un androide sintetico creato da Weyland in persona, incarnandone sogni e speranze di vita eterna, il quale ha perfettamente capito e compreso la logica e il senso dietro la “creazione” e lo studio di un qualcosa di nuovo e ignoto. Gli Ingegneri hanno creato un particolare liquido nero, simile alla pece, capace di trasformare o “mutare” tutto ciò con cui entra in contatto. Ed è proprio David a contagiare volontariamente il dottor Holloway con questa misteriosa sostanza di colore scuro, scatenando una reazione a catena che porterà alla distruzione di ogni cosa. A quale scopo?  Sicuramente, gli Xenomorfi non nascondo da una Regina e un incidente “casuale” potrebbe aver dato il via a tutto. E questo “tutto” prende il via proprio in Alien: Covenant, un film che non solo abbraccia il nome “Alien” inserendolo di prepotenza nel titolo, ma si incastona come secondo prequel di una saga che si preannuncia lunghissima e complessa, il cui unico vero filo conduttore è proprio quel concetto di “genesi” citato poche righe più in alto. Nulla accade per caso e tutto ha uno scopo, secondo la storia scritta da Jack Plagen e Michael Green, poi sceneggiata da John Logan (Il Gladiatore). E se in tutto questo un terzo film è già stato scritto ed è pronto a vedere la luce nel prossimo futuro, Alien: Covenant promette in ogni caso di risolvere molte delle questioni che, da oltre trent’anni, attanagliano le menti di chi nello spazio ha urlato un bel po’, prima di farsi finalmente sentire da qualcuno.

Prometheus e Alien: Covenant. Due film così legati, ma allo stesso tempo così lontani per concezione e ideologia: se la pellicola uscita nel 2012 era a tutti gli effetti un “prequel del prequel”, Alien: Covenant ne riprende il filo logico e lo espande a dismisura, portando la mitologia dietro all’alieno più celebre dell’universo cinematografico verso nuove e insperate direzioni, unendo religione e scienza. Preparate le armi e occhi aperti, quindi: Alien è tornato e non ha alcuna intenzione di andarsene stavolta.

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