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Recensione

Solo: A Star Wars Story, la recensione senza spoiler dello spin-off

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Avatar di Marcello Paolillo

a cura di Marcello Paolillo

Senior Staff Writer

Pubblicato il 17/05/2018 alle 00:00 - Aggiornato il 10/08/2018 alle 11:08
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Il Verdetto di SpazioGames

8
Quando fu annunciato Rogue One: A Star Wars Story furono in molti ad attaccare la nuova filosofia Lucasfilm legata agli spin-off, colpevoli – a detta di un certo pubblico – di voler mungere la mucca in maniera del tutto ingiustificata. Il risultato, una volta che il film uscì nelle sale, fu quello di un prodotto estremamente fan service e citazionista, capace (specie negli ultimi 15 minuti) di incarnare al massimo la visione lucasiana della saga originale, specie la trilogia nata con Una Nuova Speranza. Cosa aspettarsi quindi da Solo: A Star Wars Story? Già il fatto che Disney abbia precedentemente resettato l’intera produzione, mandando a casa i registi Phil Lord e Chris Miller, ha fatto intuire che la lavorazione dello spin-off su Han Solo non stava procedendo per il verso giusto, così come l’aver preso un regista scaltro e di mestiere – lo stesso Ron Howard del bellissimo Rush e de Il Codice da Vinci – lasciava intuire che la Casa di Topolino avesse assoluta necessità e sete di controllo su di un progetto piuttosto problematico, almeno sulla carta. La prima scorribanda del giovane Solo sarà quindi andata secondo i piani?
La vicenda ha luogo in un periodo prima degli eventi di Episode IV: l’Impero è da poco appena salito al potere e Han (Alden Ehrenreich) vive di piccoli furti sul pianeta Corellia, sognando di diventare il più grande pilota dell’universo. Il destino lo porterà a incontrare gente di malaffare come Tobias Beckett (Woody Harrelson) e Lando Calrissian (Donald Glover), al fine di risolvere una questione di debiti con lo spietato Dryden Vos (Paul Bettany). Una vecchia amica di Han, Qi’ra (Emilia Clarke), giocherà un ruolo fondamentale in tutto questo, senza contare che una banda di predoni spaziali capeggiati dal misterioso Enfys Nest cercheranno di rallentare la caccia al tesoro di Solo e compagni. Una trama, quella di Solo: A Star Wars Story, che saccheggia sia dall’universo canonico che da quello espanso, andando ad unire i tasselli di un quadro decisamente più ampio e articolato. Il primo incontro tra Han e Chewbacca, la “nascita” del Millennium Falcon e vari momenti più o meno significativi non rappresentano certo l’ossatura principale del film di Howard, nonostante il citazionismo sia comunque molto forte.Solo spinge infatti l’acceleratore su alcuni dei più adrenalinici momenti d’azione della saga creata da George Lucas (vedrete uno dei migliori “assalti al treno” di tutti i tempi), senza contare che di Spade Laser e poteri della Forza a questo giro neanche l’ombra. Ci sta, considerando che l’intera sceneggiatura è una storia di cowboy dello spazio armati solo di forza di volontà e buon senso, così come è altrettanto palese che il film poteva – e doveva – prendersi libertà creative che la nuova trilogia inaugurata da Il Risveglio della Forza non poteva permettersi. Doppi giochi, inseguimenti, sparatorie e ancora inseguimenti, partite a carte e “la rotta di Kessel in meno di dodici parsec” sono tutti elementi che non avrebbero funzionato nella linea narrativa di Rey e Kylo Ren.

Il film è anche una delicatissima prova del fuoco per Alden Ehrenreich, che non solo doveva risultare credibile nei panni di una delle canaglie cinematografiche più amate di sempre, ma anche apparire citazionista e “onesto” nei confronti del personaggio originale interpretato dal leggendario Harrison Ford. Fortunatamente, è andata molto meglio di quanto potessimo augurarci. Se avete presente il “prologo” de Indiana Jones e l’Ultima Crociata, in cui un River Phoenix alle prime armi viveva la prima avventura del giovane Indy, immaginate ora una cosa del genere lunga oltre due ore. E sì, Han spara sempre per primo. Tutta la schiera di comprimari, da Harrelson a Bettany, passando per il Lando di Donald Glover (che, a quanto pare, presto avrà un film tutto per lui) sono piuttosto funzionali al contesto. Nota assolutamente negativa invece per Emilia Clarke, un’attrice incapace di trasmettere alcun tipo di empatia, qualunque sia il ruolo assegnatole (come dimenticare l’imbarazzante Sarah Connor di Terminator: Genisys). Il fatto che la Clarke sia entrata nell’immaginario nerd collettivo per via dell’iconico personaggio di Daenerys Targaryen nella serie Game of Thrones, non la autorizza a inquinare pellicole di un certo peso con una recitazione imbarazzante e priva di carisma.Solo: A Star Wars Story è quindi un vero e proprio film western che tra un inseguimento, una sparatoria e una missione suicida, propone allo spettatore un susseguirsi di momenti cinematografici divertenti e assolutamente privi di chissà quale velleità artistica. Etichettarlo come una “americanata” suona non solo offensivo verso il genere di appartenenza, ma anche verso il marchio stesso di Star Wars, da sempre lontano da velleità filosofiche o fantascientifiche accurate e realistiche (ricordiamoci sempre che parliamo di una saga fantasy a tutti gli effetti). E nei pochi momenti in cui il film perde quota, potete star certi che subito dopo si risolleverà grazie a una battuta, una citazione o un riferimento all’universo di Guerre Stellari (e ve ne saranno, potete starne certi).

Il primo, vero western in chiave Star Wars.

Alden Ehrenreich raccoglie bene l’eredità di Ford.

Alcuni momenti d’azione davvero esaltanti.

La pessima Emilia Clarke.

Durata a tratti eccessiva.

8.0

Solo: A Star Wars Story non è un film perfetto. Così come non lo è stato Rogue One, per motivi diversi. Ciò non toglie che il lavoro di Ron Howard – rigidamente supervisionato da Disney e Lucasfilm – è una pellicola di circa due ore e mezza ricca, ricchissima di fascino e momenti davvero esaltanti, come non se ne vedevano da anni nella saga. Forse, il suo fascino sta proprio nell’essere scavezzacollo e dal carattere spigoloso, quasi come lo stesso protagonista del film, interpretato da un Alden Ehrenreich più che cosciente che mai e poi mai potrà prendere il posto del buon Harrison. E anche solo per questo, il fatto che riesca a “sparare per primo” è un vanto non da poco.

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