Immagine di Remnant from the Ashes | Recensione - Quando Dark Souls incontra uno shooter
RECENSIONE SWITCH

Remnant from the Ashes | Recensione - Quando Dark Souls incontra uno shooter

Mettiamoci in pari prima del sequel: abbiamo approfittato della release di Remnant from the Ashes su Switch per una recensione dal doppio intento – discutere della qualità del gioco e di quello che ha da offrire il suo porting.

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a cura di Gianluca Arena

Senior Editor

Informazioni sul prodotto

Immagine di Remnant: From The Ashes
Remnant: From The Ashes
  • Sviluppatore: Gunfire Games
  • Produttore: Perfect World Entertainment
  • Distributore: THQ Nordic
  • Piattaforme: PC , PS4 , XONE , SWITCH
  • Generi: Sparatutto , Gioco di Ruolo , Soulslike
  • Data di uscita: 20 agosto 2019 (PC e console) - 21 marzo 2023 (Switch)

Quattro anni fa Remnant from the Ashes giunse sul mercato con la frettolosa etichetta di "Souls con le armi da fuoco" e, nondimeno, riuscì a ritagliarsi una sua nicchia di mercato, puntando soprattutto su meccaniche di gioco rodate, sul fattore rigiocabilità e sulla cooperativa, che seppero distanziarlo dai giochi dai quali chiaramente traeva ispirazione.

Oggi, a ormai pochi mesi dalla pubblicazione del seguito, giunge anche la versione per Nintendo Switch che, nemmeno a dirlo, abbiamo provato per voi: varrà la pena avventurarsi di nuovo nel mondo in rovina immaginato dagli sviluppatori di Gunfire Games?

Vediamolo insieme nella nostra recensione.

Portali della rovina

Quando si aprono portali verso altri mondi, la Terra diventa presto un'appetibile frontiera di conquista: purtroppo per la razza umana, i Root, creature che sembrano appena uscite da un incubo post-peperonata del sommo Lovecraft, sono i primi a giungere sul nostro pianeta, devastandolo e riducendolo ad un cumulo di macerie fumanti.

Tra di esse, fortunatamente, qualche umano è riuscito a sopravvivere e, invece di nascondersi in attesa dell'inevitabile, ha deciso di imbracciare le armi e combattere, viaggiando tra dimensioni per giungere ad una torre da cui sembra si sia espansa la piaga dei Root.

Da un bunker sotterraneo la cui posizione è ignota ai Root, parte allora la debole ma determinata controffensiva della razza umana, e inutile dire che il nostro alter ego sarà la punta della lancia di ciò che rimane degli abitanti originari della Terra.

Inizialmente interessante, la narrativa perde ritmo già dopo poche ore, quando appare chiaro che il focus del prodotto è tutto sulle meccaniche di gioco, e il prosieguo degli eventi viene affidato a cutscene recitate in maniera frettolosa e ad una narrativa oscura e a tratti volutamente poco chiara, che fa il verso a quella dei prodotti creati da Miyazaki ed il suo team, pur partendo da presupposti assai diversi.

A differenza che nei summenzionati Souls, però, qui i personaggi secondari faticano a rimanere impressi e ad ergersi con le loro personalità, con solo un paio di eccezioni (come Dente di Fango).

Alla luce di questo, nonostante le premesse narrative siano affascinanti ed il design dei mostri da incubo, la storia, dopo un incipit promettente, sembra quasi nascondersi nell'ombra per non oscurare il gameplay, salvo poi riemergere solamente nelle battute finali, con un climax soddisfacente ed un colpo di scena azzeccato, sebbene forse un po' telefonato.

Con Remnant from the Ashes, Gunfire Games ha gettato le basi per un franchise, come confermato dal venturo arrivo del sequel, e siamo sicuri che nei prodotti successivi assisteremo ad una crescita del comparto narrativo e della caratterizzazione psicologica dei personaggi.

In altre parole, non giocherete al titolo per la profondità della narrativa o per la bontà dei dialoghi, ma se vi affascina l'universo creato da Gunfire Games riuscirete comunque a godervi il viaggio.

Non senza identità

E veniamo, allora, al gameplay: Remnant from the Ashes si ispira chiaramente ai titoli della serie Dark Souls, come evidente da certi capisaldi che ritroviamo anche qui, dall'equivalente delle fiaschette alla barra della stamina, passando per le classi iniziali che comunque non limitano troppo la condotta di gioco e lasciano spazio ad una discreta personalizzazione nel percorso di crescita del personaggio.

Ciò detto, non mancano le differenze rispetto ai Souls, alcune delle quali anche piuttosto significative: qui si combatte perlopiù utilizzando armi da fuoco (con la parziale eccezione della classe Attaccabrighe) ed è per questo fondamentale gestire gli spazi e le distanze dai mostri nemici; c'è un selettore della difficoltà, che può evitare che il livello di improperi raggiunga lo zenit, e non si perde tutto alla morte, se non il tempo speso.

Queste accortezze rendono il gioco sulla carta più abbordabile, ma la generazione casuale dei livelli da affrontare, come vedremo in seguito, può alterare significativamente la percezione del livello di sfida, comunque generalmente al di sopra della media degli sparatutto in terza persona disponibili sul mercato.

Per uscire vivi da Remnant from the Ashes è allora necessario affrontarlo con calma, dosando proiettili e scegliendo quali battaglie combattere, tenendo sempre d'occhio il posizionamento dei nemici, la linea di tiro e lo spazio alle nostre spalle, fondamentale per battere in ritirata anche mentre facciamo fuoco.

Pur senza inventare nulla di clamorosamente nuovo, le dinamiche di gioco funzionano eccome: la gamma di armi selezionabili è ampia e sufficientemente varia, la sensazione di fisicità dei colpi è buona e con essa anche le hitbox – e la presenza di decine di mod per le armi garantiscono un alto livello di personalizzazione del proprio arsenale e, in senso più generale, dell'intera esperienza di gioco.

Abbiamo trovato intuitivo il sistema di controllo, tanto in modalità televisiva quanto in portatile: non avevamo mai pensato a quanto potesse essere comodo avere l'equivalente della fiaschetta dei Souls mappata sul dorsale sinistro, com'è in Remnant from the Ashes di default, e adesso speriamo di trovare questa opzione anche nei prossimi giochi di questo tipo che inevitabilmente giocheremo negli anni a venire.

Cinque biomi differenti, una trentina scarsa di boss unici e centinaia di armi modificabili a piacere, unitamente alla generazione casuale delle mappe, assicurano non solo una certa varietà sul lungo periodo, ma anche un altissimo fattore di rigiocabilità, che non è andato perso nel passaggio a Nintendo Switch.

La nostra remora principale, come sottolineato poc'anzi, risiede però proprio nella gestione della proceduralità: se, da un lato, essa garantisce l'assenza di due partite uguali, dall'altro spoglia un po' il level design di quei tratti peculiari che abbiamo imparato ad amare con le mappe di Miyazaki e compagnia, finemente cesellate a mano e piene di scorciatoie, soluzioni ingegnose e punti di interesse unici.

Come tutti i prodotti che si appoggiano ad un algoritmo di generazione casuale dei livelli (e degli incontri), Remnant from the Ashes accusa un po' di stanchezza sul lungo periodo, risvegliando una spiacevole sensazione di deja-vu soprattutto in coloro i quali decidano di fermarsi a lungo nel mondo di gioco, per potenziarsi o per esplorarlo a fondo.

Forse per ovviare a questa pecca, il team di sviluppo ha coniato un titolo più snello in termini contenutistici rispetto a quelli a cui si ispira, completabile in una ventina abbondante di ore qualora non ci si soffermi troppo sui contenuti opzionali.

Se questo da un lato allevia la sensazione di eccessiva familiarità, sventrare oscenità tentacolari per la centesima volta in una rovina uguale a quelle precedenti non aiuta a calarsi completamente nel mondo di gioco.

Discorso affine anche per il livello di sfida: oltre alle mappe, l'intelligenza artificiale genera in maniera casuale anche il piazzamento dei nemici, il loro numero e la loro tipologia, con il risultato che, partendo da una base comunque degna della definizione di "soulslike", Remnant from the Ashes oscilla tra situazioni gestibili ed altre assolutamente fuori parametro, quelle classiche in cui si è pescata la "mano sbagliata".

Il rischio frustrazione esiste, inutile negarlo, ma se è il prezzo da pagare per un gioco potenzialmente infinito, potreste essere disposti a digerirlo più docilmente.

Non perfetto, ma solido

Pur non avendo potuto provare in prima persona la modalità cooperativa online del gioco, perché i server non erano attivi durante i nostri test, abbiamo avuto conferma del fatto che anche la versione Switch consentirà di unirsi ad altri due giocatori (tanto online quanto in wireless locale) per dare la caccia ai Root, e che l'algoritmo che gestisce la difficoltà scalabile del gioco è stato ottimizzato negli anni rispetto all'uscita originaria.

Questo vuol dire che chiedere aiuto e unire le forze sarà sicuramente una buona mossa, ma non aspettatevi che per questo il gioco diventi una passeggiata di salute: come già sottolineato, aspettatevi di sudare le proverbiali sette camicie.

Come ci è capitato in altre occasioni, soprattutto quando il budget dietro ai titoli che recensivamo non era esattamente quello di un titolo tripla A, dobbiamo fare una distinzione tra la direzione artistica ed il comparto tecnico in sé: l'una ci ha soddisfatto non poco, con un ricorso continuo ma mai pedissequo ai canoni orrorifici imposti da Lovecraft e ripresi dalla letteratura e dal cinema nei decenni, con mostri talvolta davvero raccapriccianti e boss dalle fattezze mostruose. Non siamo ai livelli raggiunti da FromSoftware, ma Gunfire Games ha fatto decisamente un buon lavoro da questo punto di vista.

L'altra, quella meramente tecnica, invece, ci ha soddisfatto solo in parte: la versione Switch oggetto di questa recensione (la trovate su Amazon) si difende sufficientemente bene pur non eccellendo, soprattutto se paragonata a molti dei port migliori visti sulla console ibrida dela grande N.

Per mantenere i 30 fps, peraltro non sempre granitici quando su schermo il numero di minion avversari si impenna, il team di sviluppo è dovuto scendere a compromessi non solo sul LOD generale, ma anche sulla qualità delle texture di superficie, evidentemente in bassa definizione e piuttosto sgradevoli alla vista qualora optiate per la modalità televisiva.

In compenso siamo rimasti positivamente colpiti dalla resa in portatile, che non solo non vede la risoluzione abbassarsi drammaticamente al di sotto della soglia fisiologica dell'alta definizione, ma nasconde la perdita di dettaglio e aiuta a godersi il gioco senza evidenziarne gli oggettivi limiti in quanto a modellazione poligonale e fluidità delle animazioni.

I 60 fps con risoluzione 4K della versione PS5 sono insomma molto lontani, com'era d'altronde lecito aspettarsi, ma Switch si dimostra ancora in grado di far girare benone in portabilità anche titoli piuttosto recenti, quantomeno quando i rispettivi team di sviluppo si dedicano all'ottimizzazione e all'adattamento ad un hardware oggettivamente arretrato come quello della macchina Nintendo.

Se avete a disposizione una piattaforma più performante che faccia girare il gioco, già disponibile su console Microsoft, Sony e anche su PC, complice il prezzo ribassato rispetto a questa versione, fareste bene ad optare per una di quelle già sul mercato, ma qualora Switch fosse la vostra unica opzione, questo port non toglierebbe nulla alla godibilità del prodotto e all'esperienza di gioco, aggiungendovi peraltro il mai troppo lodato vantaggio della portabilità.

Versione recensita: Nintendo Switch

Voto Recensione di Remnant: From The Ashes - Recensione


7.8

Voto Finale

Il Verdetto di SpazioGames

Pro

  • Esperienza di gioco altamente personalizzabile

  • Simile ai Souls, ma non senza identità

  • Estremamente rigiocabile

  • Coop PVE

Contro

  • Tutti i limiti connessi alla generazione procedurale

  • Bilanciamento non sempre cristallino

  • Versione Switch discreta ma non eccezionale

Commento

Anche in versione Switch, nonostante qualche inevitabile compromesso a livello tecnico, Remnant from the Ashes si rivela una validissima alternativa ai soulslike più tradizionali, con un'enfasi maggiore sul combattimento a distanza e sulla personalizzazione delle bocche da fuoco a rimescolare le carte in tavola. Come spesso accaduto anche in passato, la scelta di design di affidarsi alla generazione procedurale dei contenuti porta con sé pregi e difetti, aumentando la rigiocabilità ma sbilanciando il livello di sfida – ma al netto di essa, il prodotto Gunfire Games si conferma solido e divertente anche a quattro anni dal debutto sul mercato. Difficile pensare che non possa essere terreno di conquisto a coloro che amano il sottogenere inventato da FromSoftware e che hanno scelto Switch come loro principale console. Gli altri, va detto, potrebbero però trovare alternative tecnicamente più performanti e più economiche nei rispettivi cataloghi delle piattaforme su cui il titolo è già disponibile.
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