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Immagine di Bannermen Recensione | Un RTS che non lascia il segno
Recensione

Bannermen Recensione | Un RTS che non lascia il segno

Bannermen è un ritorno al passato, nostalgico, ma anche ricco di errori e di criticità.

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Avatar di Daniele Spelta

a cura di Daniele Spelta

Redattore

Pubblicato il 25/02/2019 alle 10:24 - Aggiornato il 01/04/2019 alle 16:04
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  • Pro
    • Online classico ma funzionale
    • Discreto map design
  • Contro
    • Una sola fazione
    • Tutto troppo anonimo
    • AI non pervenuta
    • Campagna banale

Il Verdetto di SpazioGames

5
In un periodo di rilancio per il genere degli strategici in tempo reale, Bannermen cerca di sfruttare questo ritorno al passato, ma lo fa con un titolo che vaga sospeso tra l’anonimato e una collezione di errori piuttosto marcati. Sfogliando quello che ha da offrire l’opera creata da Pathos Innteractive è difficile trovare qualche spunto interessante e quel poco che funziona non riesce a brillare di luce propria. La campagna in singleplayer è una lunga sequela di brevi missioni che non lasciano nulla, penalizzate da un’intelligenza artificiale assente ingiustificata, e tutte le partite sono un cliché già visto infinite altre volte e strette dentro maglie fatte da pochissime varianti tattiche. Solo il comparto multiplayer riesce a dare qualche minuto di divertimento, se non altro per l’immediatezza e la velocità con cui si consumano i duelli.

Sviluppato da Pathos Innteractive, Bannermen è un RTS classico con un’altrettanto classica ambientazione fantasy medievale, in perfetto stile Warcraft. Ora però sono costretto a chiamare gli studi di Blizzard e a chiedere scusa per il paragone: il confronto è ovviamente scorretto e non si possono porre a paragone un titolo dalla natura semi-indie e un tripla A dal budget faraonico ma, al di là delle risorse impiegate, Bannermen è un concentrato di errori di design e di idee superate da anni, condite anche da qualche poco simpatico bug e da un comparto artistico che non brilla di certo per fantasia.

RTS snow map

Al primo impatto sembra subito di trovarsi a casa e le meccaniche sono ben consolidate e non si discostano dalle medesime già viste in numerosi altri strategici classici. Se avete nel curriculum esperienze in questo campo non ci metterete molto a capire dove dirigere i vostri click e, nel caso siate nei novizi, il tutorial mette a disposizione le regole di base. La voglia di novità si infrange già durante questo primo approccio e bastano un paio di battaglie contro l’IA o una manciata di missioni della campagna per capire che la parola innovazione non fa parte del vocabolario di Bannermen. Tutto sommato questo non sarebbe nemmeno un male e, teoricamente, i tradizionalisti potrebbero apprezzare questo approccio classico, ma il condizionale è quanto mai d’obbligo dati i tanti scivoloni in cui incappa il titolo anche in questi schemi basilari. C’è la raccolta delle risorse, c’è il base building, c’è il reclutamento delle unità e c’è il solito “Rock, paper and scissors” a determinare l’esito degli scontri, ma se si osserva attentamente ciascuno di questi passaggi si scorgono parecchie incertezze.

In Bannermen ci sono solo due tipologie di materiali, legno e oro, entrambi legati a punti già prestabiliti nella mappa. Il pensiero di reclutare un lanciere usando del legno è già di per sé piuttosto bizzarro, come anche vedere una segheria accanto a due singoli alberi o, al contrario, osservare una lussuosa foresta che non viene in nessun modo intaccata dai taglialegna, impegnati a fare dentro-fuori dal loro posto di lavoro, senza nessun colpo d’accetta sferrato contro i tronchi. Andando oltre questi dettagli estetici, si scova poi la rigidità di un base building che ruota strettamente attorno a questi luoghi prefissati e, se si passano in rassegna le costruzioni e le unità da reclutare, si scopre come l’economia di Bannermen sia semplicemente rotta. Giusto qualche esempio: le case, costruzione base indispensabile per aumentare la popolazione, costano più del fabbro e qualche asse di legno in meno rispetto al campo di reclutamento, dove, a sua volta,  fanti e arcieri richiedono quasi le stesse risorse un edificio. L’elenco delle strutture si esaurisce poi in poche righe e non va oltre ai nomi noti: centro città, una sola torre per la difesa, il fabbro, il tempio e poco altro, senza un albero delle tecnologie che possa determinare lo sviluppo della propria fazione.

L’analisi delle truppe messe a disposizione non migliora affatto il giudizio. Prima di parlare della pochezza della varietà delle unità, occorre però spendere due parole sul ritmo di gioco. Non si sa bene per quale motivo, ma la coda di reclutamento è limitata a tre soli slot per ciascun edificio e questo costringe a replicare infinite volte le stesse strutture di addestramento per accelerare i tempi ed avere un esercito degno di questo nome. Come se non bastasse, i tempi di reclutamento piuttosto lunghi e, per qualche altra strana ragione, gli edifici possono essere costruiti solo da un singolo lavoratore alla volta. Sommate ora tutti questi fattori e capirete come Bannermen sia un gioco tutt’altro che dinamico.

Come per le strutture, anche le truppe militari si limitano ad una manciata di opzioni anonime, come il solito fante, il solito lanciere, il solito arciere e qualche volto preso in prestito dal mondo del fantasy, come il chierico o – qui alzo le mani in segno di resa – il giullare. L’ambientazione poteva essere sfruttata per inserire qualche elemento esotico, come draghi o altre creature mostruose, ma il team di sviluppo ha preferito tagliare corto e rimanere ancorato ad un contesto piatto e anonimo. La varietà viene poi azzerata dalla presenza di una sola fazione. Avete presente il gameplay asimmetrico di RTS come StarCraft, Company of Heroes e via dicendo? Ecco, qui non esiste e non c’è nessuna differenza tra i due o più schieramenti opposti. Ciascuna categoria di unità ha i suoi punti vita e l’output del danno ma, come sempre, tutto è abbastanza enigmatico ed è palese la mancanza di alcuni elementi chiave, come gli schieramenti con cui disporre l’esercito, il quale avrà sempre l’aspetto di una massa confusa e informe. Oltre alle unità base, ci sono poi alcuni eroi – i protagonisti/antagonisti della campagna – dotati di abilità speciali speciali. Questi personaggi spariscono però in mezzo alle altre truppe e non esiste uno shortcut per richiamarli al volo o un tasto sull’UI che possa facilmente individuarli.

Bannermen

In Bannermen non si salva quasi nulla. Accanto alle classiche schermaglie contro l’AI e i match online c’è la campagna in singleplayer, un concentrato di missioni senza spunti e storie prive di interesse. Il protagonista dell’avventura è Lord Berrian, sopravvissuto ad una battaglia tra le forze del bene e le forze del male, costretto a vagare e a rimettere assieme i pezzi del regno per cercare di fermare l’avanzata dell’oscuro Karthor. La prima missione è il triste emblema di quello che seguirà, un concentrato di meccaniche stealth sballate dove le sentinelle nemiche viaggiano a velocità impazzita a destra e a sinistra lungo la mappa. Da qui in avanti è un turbinio di obiettivi riciclati, compiti senza senso e personaggi che vanno e vengono senza un vero perché, tra basi da difendere e assalti ai centri nemici ripetuti in loop.

Bosco Bannermen

In questi frangenti spicca poi – si fa per dire – un’intelligenza artificiale del tutto passiva, con le unità che non reagiscono agli attacchi degli avversari e che restano impassibili anche quando la propria città sta andando a fuoco a pochi passi dal loro naso. Ci sono parecchi momenti in cui si è accompagnati da alleati gestiti dalla CPU solo che, al posto di venire aiutati da questi fedeli compagni, si è costretti a raddoppiare le fatiche e a difendere anche il loro insediamento, visto che gli arcieri e le sentinelle spesso preferiscono sorvegliare un punto a caso della mappa. Per fortuna le missioni scorrono via velocemente e la durata media è difficile che superi la decina di minuti, un lasso di tempo congruo con l’impossibilità di salvare la partita a metà strada. I principali artefici di questa brevità sono le mappe, forse l’unico aspetto quasi riuscito di Bannermen. Non che spicchino per articolazione o ampiezza, ma nella loro semplicità seguono quelli che sono i canoni dettati dai classici del genere e risultano ben bilanciate soprattutto quando sono il teatro di scontri in multiplayer. I duelli contro altri umani riescono in qualche modo a mascherare le molte falle del lavoro di Pathos Innteractive, come l’arretratezza dell’AI e una difficoltà del tutto assente, ma è troppo poco per salvare Bannermen dell’anonimato.

+ Online classico ma funzionale

+ Discreto map design

- Una sola fazione

- Tutto troppo anonimo

- AI non pervenuta

- Campagna banale

5.0

In un periodo di rilancio per il genere degli strategici in tempo reale, Bannermen cerca di sfruttare questo ritorno al passato, ma lo fa con un titolo che vaga sospeso tra l’anonimato e una collezione di errori piuttosto marcati. Sfogliando quello che ha da offrire l’opera creata da Pathos Innteractive è difficile trovare qualche spunto interessante e quel poco che funziona non riesce a brillare di luce propria. La campagna in singleplayer è una lunga sequela di brevi missioni che non lasciano nulla, penalizzate da un’intelligenza artificiale assente ingiustificata, e tutte le partite sono un cliché già visto infinite altre volte e strette dentro maglie fatte da pochissime varianti tattiche. Solo il comparto multiplayer riesce a dare qualche minuto di divertimento, se non altro per l’immediatezza e la velocità con cui si consumano i duelli.

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