Recensione

Zombeer

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a cura di AR

Il Verdetto di SpazioGames

3

Analizzare un Indie è quasi sempre una bella occasione per trovarsi di fronte a soluzioni di gameplay originali ed accattivanti. Soprattutto negli ultimi anni, grazie anche alla nascita di campagne di crowdfounding estremamente redditizie, è stato il panorama indipendente a spezzare la monotonia del mercato mainstream: opere del calibro di Minecraft, Braid o l’attesissimo Starbound sono infatti riuscite a coniugare uno stile spiccatamente retro con un’esperienza di fondo dannatamente innovativa ed appagante. Siccome la vita non è un film, esistono purtroppo anche esperimenti talmente fallimentari che vorreste non averne mai avuto nulla a che fare. E’ questo il caso di Zombeer, diventato in una manciata di ore di gioco il peggior titolo che mi sia mai capitato tra le mani. 
Abbasso la “squola”!
Chi non ha mai maledetto, almeno una volta nella vita, il Magnifico Rettore? K, il protagonista di Zombeer, ha sicuramente delle motivazioni più che valide per coltivare un simile sentimento. Il dirigente del suo college è infatti riuscito a soffiargli la ragazza da sotto il naso, arrivando addirittura ad…assaggiarne le natiche! Perché è vero che uno zombie perde gran parte delle sue facoltà mentali, ma gli istinti primordiali, a quanto pare, restano immutati. Inizia così una folle avventura fatta di citazioni, morti viventi e fiumi di birra.
L’educazione è importante: non fermarti alla terza media
Il tenore dissacrante del titolo emerge dai primissimi istanti: il nostro prode K è appoggiato al bancone di un bar, sbronzissimo e con un gran mal di testa. Ricevuto l’sms della fidanzata, corre in suo soccorso armandosi di un dildo rosa (o forse un vibratore, visto che stando a wikipedia i dildi non vibrano, mentre il fallo in questione sembra ballare la samba) e di alcune lattine di birra. Tale bevanda, ribattezzata Zombeer, è il vero fulcro del gioco: soltanto un suo abuso permette a K di mantenere un briciolo di umanità, salvandolo dall’epidemia zombie che ha colpito l’intera città. Durante tutto il corso dell’avventura saremo quindi accompagnati da una barra a schermo che evidenzia da un lato la fine dell’effetto benefico, e dall’altro l’eccessivo tasso alcolico: entrambe le condizioni portano al Game Over, e obbligano il giocatore a rifocillarsi con moderazione. Della serie: bevi responsabilmente. Il vero problema risiede nel responsabilmente: per una incomprensibile e deleteria scelta di gameplay, il giocatore è costretto a bere almeno un paio di birre al minuto, diventando ben presto un elemento invadente che non aggiunge, ma anzi toglie, mordente. Qualsiasi fase è quindi falcidiata da questa seccante necessità primaria, che pur essendo molto facile da soddisfare (le ambientazioni sono piene di scorte, oltre che di distributori illimitati da hackerare tramite un banale mini-gioco), diventa ben presto una vera e propria spada di Damocle. 
Un simile autogol non è purtroppo bilanciato dal resto: le fondamenta shooter del titolo sono infatti immediatamente soffocate da una fisica delle armi raccapricciante: la sensazione è di sparare proiettili di gommapiuma, tra l’altro a bersagli dotati di una deficienza artificiale estrema. Mai una volta che si lancino in offensive ponderate: gli zombie si limiteranno a corrervi addosso frontalmente, inseguendovi in tutti gli angoli più reconditi. Questo non significa che si arrivi a fine avventura senza mai incappare nel Game Over. Soprattutto gli zombie magici, oppure gli interpreti della temibile ciucca dance (Gangnam Style ha contagiato anche i mortiviventi), riusciranno a lenirvi la salute senza che nemmeno possiate accorgervene, ma in generale il grado di sfida è più “intimo”, e risiede nell’immancabile dilemma: “chi me lo fa fare di proseguire un’esperienza così avvilente?”
Le cose non migliorano approfondendo l’ironia alla base del titolo. E’ vero, Zombeer è ricco di dialoghi scurrili, e citazioni simpatiche, ma purtroppo il non-sense non è necessariamente spassoso. E in questo caso siamo davvero lontani anni luce da tale concetto. Peccato, perché gli Easter Egg presenti toccano davvero tutti i media e le latitudini: a partire da Minecraft, fino ad arrivare a Mario, Call of Duty, Saw l’Enigmista, Lost e PSY. Ma piuttosto che rappresentare una preziosa cornice, appaiono ben presto più come un tentativo di distogliere l’attenzione dal gioco vero e proprio. Escamotage che purtroppo non raccoglie i frutti sperati, e che acuisce ulteriormente il già severo giudizio. Del resto Zombeer ai tempi dell’uscita su PC aveva ricevuto feedback molto negativi, ma gli sviluppatori, anziché cercare di correre ai ripari, si sono limitati all’inserimento di collezionabili e Trofei. Scelta che non ha minimamente pagato…
Che orrore! 
Completiamo la disanima parlando dell’aspetto più horror della produzione. Chi mi conosce sa che sono l’ultima persona al mondo interessata alla grafica: odio le elucubrazioni prettamente tecniche, e nella mia carriera non mi sono mai fatto influenzare da una cosmesi poco riuscita. A tutto, però, c’è un limite. Zombeer abbina un discutibile art design a una mole poligonale da PlayStation 2: ad aggravare la situazione è soprattutto il frame-rate, stabile, ma a 10 frame al secondo. Possibile che un paio di animazioni, perlato più legnose di una marionetta, possano mettere così in crisi l’Engine?
La situazione non migliora analizzando il comparto sonoro. Eccezion fatta per il doppiaggio in inglese (ci sono i sottotitoli in italiano) accettabile, le musiche sono totalmente prive di personalità, mentre gli effetti sonori sono spesso fuori sincrono. Non è quindi raro incappare in porte sbattute il cui fremito tarda per alcuni secondi. Segno di una ottimizzazione a dir poco deficitaria. Per non dire assente…

– Alcuni Easter Egg strappano un sorriso

– Scelte di game design inspiegabili

– Fisica inesistente

– Tecnicamente indecente

3.0

Chiudete gli occhi e immaginatevi il peggiore post-sbornia della vostra vita: parafrasate quella condizione di estremo malessere in un videogioco, e avrete Zombeer. Si tratta di un titolo in cui non funziona davvero nulla, a partire da una giocabilità ripetitiva e ulteriormente ammorbata da discutibilissime scelte di game design, fino ad arrivare ad una componente tecnica che stenterebbe ad avere consensi su PlayStation 2. Lo stesso non-sense di fondo è ben lontano dal regalare più di qualche timido sorriso. Detto in parole povere, siamo di fronte al più classico dei buchi nell’acqua. Birra permettendo…

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