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Recensione

The 25th Ward: The Silver Case, la recensione al neon della visual novel di Suda51

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Avatar di Marcello Paolillo

a cura di Marcello Paolillo

Senior Staff Writer

Pubblicato il 06/03/2018 alle 00:00
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Il Verdetto di SpazioGames

6.5

Goichi Suda è un nome che a molti genererà un brivido lungo la schiena. Suoi sono infatti titoli del calibro di No More Heroes, Lollipop Chainsaw, Shadows of the Damned e, soprattutto, quel Killer7 in grado di travolgere la comunità di videogiocatori nell’ormai lontanissimo 2005. Proprio in quell’anno, tuttavia, vedeva la luce anche un altro gioco realizzato dall’ormai noto autore giapponese. 

Stiamo parlando di The Silver Case: 25 Ward, sequel dell’originale The Silver Case e destinato originariamente solo al mercato mobile. Si trattava, a conti fatti, di una usuale visual novel ambientata in un Giappone del futuro distopico e violento, avvolto da luci al neon e crimini efferati. Considerando che il primo capitolo ha goduto alcuni mesi fa di una remastered su PS4 – dopo essere apparso fra l’altro su piattaforma PC – non sorprende che anche il seguito diretto abbia deciso di prendere la strada del remake, grazie anche e soprattutto allo splendore dell’alta definizione. Resta solo da scoprire se i crimini della regione di Kanto siano degni della nostra attenzione, oggi come ieri.

Il distretto del male di The 25th Ward: The Silver Case

Esattamente come l’uscita originale, The 25th Ward: The Silver Case è ambientato nell’universo narrativo ideato dallo stesso Suda51 e Grasshopper Manufacture, chiamato “Kill the Past“, immergendoci prepotentemente in un futuro distopico, alcuni anni dopo le vicende del primo capitolo. Nella regione costiera del Kanto, più in particolare all’interno di una stanza del complesso residenziale di Bayside Tower Land, viene trovato il corpo senza vita di una donna, le cui cause della morte appaiono inizialmente sconosciute. Questo sarà solo l’inizio di un’indagine lunga e complessa, dipanata attraverso tre linee narrative – o sarebbe meglio parlare di punti di vista – del tutto differenti, noti con il nome di “Correctness” (con protagonisti Shiruyabu Mokutaro e Shinko Kuroyanagi), “Placebo” (nel quale ritroviamo il protagonista del primo capitolo, Tokio Morishima) e “Matchmaker” (incentrata su Tsukino Shinkai). 

Ognuno di questi sarà composto da altrettanti episodi, tutti contraddistinti da personaggi e risvolti della trama differenti, attraverso una vicenda che non si nega colpi di scena decisamente surreali, alternati a lunghissimi – e spesso tremendamente logorroici – dialoghi tra i protagonisti. Poichè è meglio dirlo subito: The 25th Ward: The Silver Case, come ogni visual novel che si rispetti, pone l’accento su una narrazione complessa e spesso fuori dagli schemi, contraddistinta da personaggi spesso poco interessanti o addirittura inutili ai fini della vicenda principale. E così via, per tutte le – poche – ore di gioco necessarie al completamento.

Alcuni dei testimoni che saremo chiamati a incontrare sul nostro percorso spesso evaporeranno in un nonnulla, facendoci perdere ore a leggere wall of text assolutamente inutili ai fini della trama. Trama che, lo ripetiamo, si aggrappa con tutte le sue forze agli stilemi delle visual novel nipponiche, in primis una narrazione estremamente diluita. E non è di certo la localizzazione in lingua inglese il vero problema del titolo Grasshopper: il meccanismo si inceppa poiché è proprio la storia a non trascinare il giocatore/spettatore come dovrebbe, attraverso fiumi di testi da seguire con molta (troppa) attenzione. Va detto in ogni caso che tutti coloro che hanno seguito – e apprezzato – negli anni le oscure storie pulp del creatore di No More Heroes troveranno in The 25th Ward: The Silver Case vari motivi di ludogodimento. Dimenticatevi in ogni caso le classiche dosi di ironia o elementi grotteschi alla Let It Die: la vicenda dal tocco noir narrata in questo rifacimento del titolo del 2005 adora prendersi tremendamente sul serio per tutta la sua durata, al netto delle incongruenze narrative.

Un solo omicidio, molti antieroi

Per questo rifacimento ad alta definizione, i Grasshopper hanno optato per il cosiddetto sistema di “Film Window“, non troppo differente da quanto visto nel precedente The Silver Case. Vale a dire un’impostazione a schermate principalmente fisse, in cui potremo talvolta spostarci in direzioni prefissate ma senza alcuna reale libertà di movimento. L’impostazione tradisce infatti la sua provenienza di titolo mobile, cosa questa che lascia interdetti quando si gioca al titolo su di un televisore da 40 pollici. 

Va detto, però, che come ogni buona visual novel che si rispetti, anche The 25th Ward: The Silver Case non tradisce la sua impostazione di base smaccatamente rétro, proponendo di fatto una sana dose di enigmi – spesso e volentieri legati a combinazioni numeriche o testuali – che hanno il retrogusto di un gioco uscito al calar degli anni 90. Cosa del resto assolutamente vera, visto che il gioco originale è datato 1999. Che i difetti di The 25th Ward siano quindi in realtà dei pregi sotto mentite spoglie? Non esattamente: anche se chi mastica visual novel sa benissimo che la frenesia e l’azione non sono di casa, dall’altra si aspetterebbe quantomeno un ritmo adeguato al contesto che, o ripetiamo, in questa remaster non manca di certo. 

Dopotutto, Suda51 è un maestro nel proporre background assolutamente acidi e fuori dagli schermi, con una palette di colori e una resa monocromatica dei personaggi che vi sorprenderà. Peccato solo che in The 25th Ward: The Silver Case la sorpresa duri un battito di ciglia, visto che dopo solo la prima ora sarete colti dalla sensazione che Suda abbia già sparato le sue cartucce migliori. Fortuna vuole che un impianto audio strepitoso, contraddistinto da musiche composte nuovamente da Masafumi Takada – capaci di alternare acid jazz a musica elettronica con grande disinvoltura – aiuteranno a creare un’atmosfera che si taglia con il coltello. 

Ed è proprio questo il rammarico più grande, una volta portato a termine il nuovo (vecchio) titolo dal creatore di Killer7: nonostante sia stato reso disponibile per la prima volta al di fuori del Giappone, non è stato fatto nulla per renderlo meno spigoloso e imperfetto, quasi a voler urlare in faccia al giocatore “o te lo fai piacere così, o tanti saluti”. Solo i veri estimatori dell’istrionico game designer giapponese, quindi, riuciranno con molta probabilità a carpirne l’essenza, godendone appieno. Per tutti gli altri, non garantiamo.

Atmosfera surreale

Incarna appieno l’estro creativo di Suda 51

Intreccio narrativo caotico

Sente addosso il peso degli anni

Giocabilità ridotta al minimo sindacale

6.5

The 25th Ward: The Silver Case è un gioco tremendamente difficile da decifrare. Il tocco di Suda 51, game designer notoriamente dotato di un estro graffiante e visionario, ben si sposa al concetto di visual novel dalle tinte fosche proposto dal titolo in questione. Ciò che non funziona, è proprio la vicenda che fa da sfondo ai vari capitoli di gioco. Una crime story poco chiara, estremanente frammentata, lasciata allo sbando da libertà creative spesso e volentieri senza alcuna logica apparente. In ogni caso, nonostante tutto, la remastered messa in piedi dai Grasshopper è un prodotto esteticamente molto ricercato, specie per tutti coloro che desiderano scoprire – o riscoprire – uno dei primi titoli sviluppati da Goichi Suda, ben prima che Killer7 diventasse il cult che tutti noi conosciamo.

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