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Recensione

Severed

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Avatar di Gianluca Arena

a cura di Gianluca Arena

Editor

Pubblicato il 26/04/2016 alle 00:00
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Il Verdetto di SpazioGames

8

Mentre tutti si affrettano a darla per morta, complice il totale abbandono da parte di mamma Sony, che sembra non credere più nel progetto, PlaystationVita sta per beneficiare di una gustosa esclusiva, che porta il nome di Severed.
Opera dei ragazzi di Drinkbox Studios, brillante sviluppatore canadese che ha raggiunto una certa notorietà grazie al successo di quel gioiellino chiamato Guacamelee, il titolo coniuga una visione artistica originale e lisergica con un gameplay che, partendo dalle basi note dei dungeon crawler, si segnala per peculiarità piuttosto interessanti, in primis l’utilizzo intensivo dello schermo tattile della piccola di casa Sony.
Potrebbe essere davvero giunta l’ora di togliere la polvere dalla vostra Vita, insomma.
Il dolore della perdita
In stridente contrasto con la quantità e la saturazione dei colori a schermo, la storia che sottende agli eventi di Severed è brutale, cruda, e non lascia spazio alla speranza: c’era una volta una famiglia felice, composta da padre, madre e due fratelli, un maschio ed una femmina, ma quando inizia l’avventura, di quella famiglia non rimangono che foto sbiadite.
Vivevano felici una vita bucolica, in una cascina immersa nella natura, ma una tragedia stava per abbattersi su di loro: il gioco getta il giocatore in medias res, mettendolo nei panni della ragazza, che si risveglia nei resti di quella che, un tempo, era casa sua.
Nessuna traccia dei genitori né del fratello, e, soprattutto, nessuna traccia del suo braccio destro, mozzato poco sotto la spalla: la nostra alter ego è sorprendentemente viva, a guardarla, ma è morta dentro. Con il cuore colmo di tristezza e desiderio di vendetta, ci imbarchiamo allora, senza troppi preamboli, nell’affannosa ricerca dei membri della sua famiglia, scoprendo, dungeon dopo dungeon, nuovi indizi su cosa sia realmente successo e su dove potrebbero essere.
Il giocatore scopre insieme alla protagonista queste informazioni, ed è chiamato ad interpretarle, visto che Severed preferisce suggerire invece di dichiarare, sbirciare invece di guardare chiaramente: la vendetta e il legame con i propri cari, nonostante il minimalismo narrativo, rappresentano motivi sufficienti a spingere il giocatore alla ricerca della verità.
Se già Guacamelee non aveva lesinato particolari macabri e riferimenti ad antiche leggende oscure della tradizione messicana, il nuovo lavoro dei DrinkBox Studios compie un passo avanti, tanto nella qualità dell’intreccio narrato (semplice, ma molto efficace) quanto nel modo di raccontarlo.
Se, nel complesso questo lavoro non raggiunge le vette qualitative del predecessore in quanto a puro gameplay, di certo lo batte in quanto ad ambientazione, coraggio e spinta innovativa. Ogni volta che torneremo a casa e guarderemo la nostra eroina allo specchio, mutilata ma fiera, ci immedesimeremo in lei un po’ di più.
Un dito, una spada
La colpa di Severed è di uscire nel momento peggiore del ciclo vitale della bistrattata console Sony, perché, traendo spunto dalle sue meccaniche, molti altri sviluppatori avrebbero potuto ideare prodotti freschi ed unici, possibili solamente sull’hardware Sony. Sì, perché, il prodotto DrinkBox si regge interamente sull’interazione con lo schermo tattile, con i pulsanti frontali utili solamente per un motivo “fisico”: il sistema di combattimento ricorda, alla lontana, quello visto su dispositivi mobile con gli Infinity Blade di Epic, e rende il dito del giocatore, rappresentato dal braccio rimanente della protagonista, più letale di una spada.
I nemici, visualizzati a schermo con una fiammella, attaccano il giocatore a trecentosessanta gradi, ponendosi alle sue spalle, ai lati, in diagonale, e questi dovrà gestire lo spazio e le tempistiche in maniera intelligente, mentre, con movimenti chirurgici sullo schermo di Vita, si sbarazza di loro uno ad uno.
Ognuno di essi dispone di pattern d’attacco riconoscibili, una struttura fisica e dei punti deboli peculiari, e ognuno richiede di essere affrontato alternando fasi in cui ci si accanisce furiosamente con il dito sullo schermo ad altre in cui è preferibile aspettare l’istante giusto per colpire o contrattaccare: l’intuitività è uno dei pregi migliori del combat system, complici diversi anni di giochi mobile e l’assoluta precisione garantita dallo schermo tattile della console Sony.
I nemici hanno, esattamente come il giocatore, una barra che si carica con il tempo, al riempimento della quale sferrano un attacco: se il giocatore non è sufficientemente lesto nel contrattaccare nella breve finestra concessa dal gioco, subirà dei danni sempre crescenti.
Se, durante le prime ore di gioco, i duelli singoli (o, al massimo, doppi) sono ampiamente gestibili, già a partire dal secondo dungeon il giocatore dovrà fronteggiare nemici multipli, spesso dai cinque in su, dando vita a scontri frenetici in cui ruotare su se stessi a velocità supersonica per interrompere gli attacchi nemici: è l’unico modo per restare vivi.
In queste fasi (ecco il motivo “fisico” di cui sopra), i tasti frontali servono per ruotare in senso orario o antiorario, consentendo, così, di impugnare la console con la mano sinistra, lasciando la destra libera di alternarsi tra lo schermo tattile e i tasti fisici: non tutti troveranno questa presa comoda, va detto, ma è il solo prezzo da pagare per godere di un sistema di combattimento frenetico, immediato, preciso e soddisfacente. I dungeon, dal canto loro, godono di un level design intricato e mai banale, che costringerà il giocatore ad esplorare in lungo e in largo e ne premierà gli sforzi con parti di cuore o di cervello, utili ad aumentare, rispettivamente, la salute e la barra del mana massime dell’eroina.
Ad un combat system tanto peculiare non poteva che corrispondere un sistema di crescita del personaggio altrettanto originale: riempita un’apposita barra, il giocatore entrerà in uno stato di berserk, durante il quale, azzerata la salute dei nemici, sarà possibile amputarne parti del corpo, da spendere poi, in un apposito menu, per potenziare le proprie caratteristiche fisiche, l’efficacia degli attacchi ed un buon numero di altre abilità.
Ve lo avevamo detto che Severed era un titolo maturo ed a tratti raccapricciante.
Arte oscura ma a colori
Le limitazioni tecniche della console ospite e la natura indipendente del progetto, che non poteva contare su fondi illimitati, non hanno impedito allo sviluppatore canadese di dotare Severed di un comparto artistico che supera, in molti punti, il già ottimo lavoro svolto con Guacamelee: la stilizzazione del mondo in cui la nostra sfortunata eroina si muove, il design dei nemici (sebbene non manchi qualche reskin di troppo), la gamma di colori impiegati riportano tutti ad uno stile a metà tra il folklore centroamericano e i fumetti statunitensi degli anni ’70, materializzando un incubo dal quale ci si vorrebbe svegliare quanto prima.
La tavolozza lisergica e lo stile che pervadono ogni particolare consentono di passare sopra a sfondi inanimati, a tratti brulli, e fanno dimenticare, per un attimo, che su questa stessa console girano prodotti come Uncharted Golden Abyss e Muramasa Rebirth: i valori produttivi, d’altronde, sono diversi, ma quella di Severed è nondimeno arte.
Espressionista, astratta, dai tratti molto semplici, ma capace di rapire il giocatore, soprattutto se immerso nella fatidica accoppiata cuffie – luci spente.
La piega che ha preso il mercato indipendente consente a talentuosi team di sviluppo come DrinkBox di pubblicare titoli come questo, imperfetti ma coraggiosi, e qualunque possessore di Playstation Vita, desolatamente abbandonato a se stesso, farebbe bene a dare almeno una possibilità a questa produzione, se non altro per premiarne il coraggio e l’originalità.

– Unico nel suo genere, e possibile solo su Vita

– Combat system di rara frenesia

– Visivamente ammaliante

– Buon dungeon design

– Costringe ad impugnare la console in una maniera che non tutti troveranno comoda

– Qualche reskin di troppo tra le fila nemiche

8.0

Qualcuno potrebbe obiettare che il combat system è stato utilizzato più volte in ambito mobile, qualcun altro che, dietro un’ottima direzione artistica, c’è un comparto tecnico poco più che sufficiente, altri ancora che tenere la console con la sinistra e muovere la destra tra schermo tattile e tasti frontali non è esattamente comodo.

Ai primi bisognerebbe rispondere che in ambito console (non solo portatili) raramente abbiamo visto un combat system tanto frenetico e puntuale, ai secondi che la cosmesi del titolo non risente delle limitazioni tecniche e ai terzi che basta un po’ di pratica.

Severed è meno riuscito, nel suo complesso, rispetto a Guacamelee, ma dimostra, ancora una volta, il coraggio ed il talento di una tra le più brillanti software house della scena indie, capace di confezionare un’esclusiva tetra, matura e divertente e di regalarla al pubblico della console più bistrattata della generazione.

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