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Recensione

Okami HD, recensione della riedizione per PS4 e Xbox One

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Avatar di Adriano Di Medio

a cura di Adriano Di Medio

Redattore

Pubblicato il 11/12/2017 alle 00:00
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Il Verdetto di SpazioGames

8

Informazioni sul prodotto

Immagine di Okami
Okami
  • Sviluppatore: Clover Studio
  • Produttore: Capcom
  • Distributore: Halifax
  • Piattaforme: PS4 , PS2 , PS3 , X360 , WII
  • Generi: Azione
  • Data di uscita: 9 Febbraio 2007 PS2 - 1 Giugno 2008 Wii - 31 ottobre 2012 (PS3)

Tutti coloro l’hanno vissuta si ricordano quella PlayStation 2 come una generazione sperimentale. La duttile potenza di quella console permetteva di osare, provare ogni tipo di gameplay, stile narrativo e visivo. Tale fu l’ambizione dei Clover, team interno di Capcom fondato Atsushi Inaba e Shinji Mikami, le menti dietro a Resident Evil. Dopo l’esordio con un titolo di culto come Viewtiful Joe, avevano coinvolto nel loro nuovo progetto nientemeno che Hideki Kamiya, creatore prima di Devil May Cry e poi di Bayonetta. Ma prima della flessuosa strega, lo “stiloso” autore aveva infatti tentato una strada diversa, quella della mitologia. Un sentiero poco battuto perché considerato dominio esclusivo di un’altra leggenda, quella di Zelda. Eppure, questa era proprio il tipo di storia con cui Hideki era cresciuto. Il risultato arrivò nel 2006 con Okami: un’avventura fiabesca, un inaspettato raggio di sole cavalcato da un candido lupo. Un videogioco amatissimo dalla critica ma che non riuscì ad avere lo stesso impatto sul pubblico. Quasi undici anni dopo, seguendo una moda ormai imperante, lo troviamo riedito sulle console attuali: eccovi Okami HD, un sogno mitologico dipinto con acqua e inchiostro.

La leggenda eterna del lupo bianco

La premessa più importante l’abbiamo già detta: Okami racconta una leggenda. Una storia luccicante e onirica che prende a piene mani dal folklore giapponese per instaurare la narrazione delle origini, la classica lotta del bene contro il male. Quest’ultimo altri non è che Orochi, il possente e terribile demone a otto teste. L’essere è stato misteriosamente liberato dalla sua prigione, inquinando selvaggiamente le terre di Nippon. In risposta alle preghiere della sacerdotessa Sakuya la statua di Shiranui, il lupo bianco che già una volta aveva sconfitto il male, si anima. Questa altro non è che il mezzo con cui Amaterasu, la dea madre di tutto ciò che c’è di buono, può agire sul mondo terreno. Per tutta l’avventura controlleremo quindi questo candido lupo bianco, guidandolo nella sua crociata contro Orochi. Un tipo di protagonista audace ancora oggi, in un’epoca di realismo oscuro e protagoniste femminili procaci. La narrazione è volutamente semplice ma non semplicistica: teatrale e anche un po’ prolissa nei dialoghi, dedica ampio spazio ai personaggi anche secondari. Dalla spirituale Sakuya a Susano lo spadaccino “millantatore” (passando per il misterioso Waka) ognuno è notevolmente caratterizzato. Quello con cui avremo più confidenza sarà però Issun, insetto umanoide fosforescente che chiama il lupo “Ammy”. Unitosi a lui in cerca di tesori, questo verboso personaggio ne riempie i silenzi, dialogando con i vari NPC. L’insetto inoltre comunicherà direttamente anche con il giocatore, informandolo ad esempio sui punti di salvataggio o le azioni da compiere. Altro modo che il gioco ha per allacciarsi al presente sono le numerose scenette di comicità fisica, pensate in pieno stile “anime giapponese”. Per quanto oggi abbiano perso un po’ di vis comica, ancora si avverte la loro sincera intenzione di stemperare l’eccessiva serietà del mito scintoista. I riferimenti intimamente giapponesi sono tanti, ma fortunatamente nulla ci vieta di considerare la storia del gioco come mito a sé stante. I momenti epici sono pochi ma ben dosati, e la narrativa è ancora adesso d’impatto perché capace di toccare corde comuni a ogni essere umano.

Il pennello salverà il mondo

Nostro strumento principale nella lotta contro l’Oscurità sarà il pennello, strumento divino di Amaterasu. In ogni momento potremo “congelare” la situazione, imprimendola su un foglio di carta di riso. Con la levetta e un tasto frontale potremo quindi usare il pennello su di essa, in modo da cambiarla o influenzarla in uno sbuffo di inchiostro. Si tratta di gesti semplici ma riconoscibili: disegnare un cerchio in cielo per far sorgere il sole e collegare due estremità di un ponte rotto per ricostruirlo sono solo due delle possibilità. Il pennello divino è la trovata che tiene in piedi tutto il gameplay, e possiamo con sicurezza dirvi che non è invecchiata di un giorno. Appresa l’indispensabile manualità, si rimane ancora sorpresi di quanto sia spontaneo e divertente da usare, oltre che fonte di altre intelligenti trovate di design. Ammy inizierà il viaggio con l’abilità innata del far sorgere il sole. In un perfetto percorso di crescita, tutte le altre verranno donate progressivamente dalle altre quattordici divinità degli elementi, rappresentate nel gioco come costellazioni.
In sé, comunque, il gameplay si dimostra perfettamente calato nei suoi anni. Un videogioco lontano dai guidatissimi titoli moderni, che indirizza il giocatore solo per il minimo indispensabile. Il suo basarsi sulla deduzione e sulla ricerca della strada giusta è la scusante per l’esplorazione di Nippon. Ciò alle volte si manifesta con una vocazione piuttosto marcata al backtracking, sempre comune negli anni Duemila ma oggi inevitabilmente fuori posto. Come contraltare troviamo numerosi minigiochi, come la pesca e lo scavo, e qualche Quick-Time Event da concludere però sempre con un colpo di pennello. Dispiace vedere come non tutti questi diversivi siano invecchiati bene, rivelandosi a volte prolissi o cervellotici.
Aiutare i vari NPC frutterà Lodi (Praise), da spendere poi per il potenziamento di Amaterasu. Il mondo di gioco è infatti quanto di più simile possibile a un Legend of Zelda: una terra lontana che si dischiude progressivamente man mano che le nostre abilità crescono. Una struttura di fondo assolutamente utile per rendere Nippon un coacervo di segreti e avventure, dove contano più la logica che il combattimento. I momenti in cui bisognerà affrontare i nemici saranno comunque presenti: nelle mappe fluttuano infatti pergamene spettrali, al contatto delle quali il campo si restringe e i nemici si materializzano. Ammy dovrà quindi combatterli usando sia il pennello che le varie armi recuperate (o donate) nel corso delle missioni. È in questi casi che emerge il lato più marcatamente “stiloso” di Kamiya, fatto di tecniche apprendibili e un contatore combo che annulla i danni subiti in maniera proporzionale. Le bossfight comunque non inseguono la via della forza bruta, obbligando anzi il giocatore a studiare l’arena e l’avversario per esporne col pennello i punti deboli.

La pittura, dodici anni dopo

La descrizione del gameplay lascia facilmente intendere come il livello di difficoltà non sia particolarmente alto. Ammy può subire una quantità notevole di colpi prima di morire, e neppure il denaro sarà un grosso problema. Più che una sfida a tutti i costi, il gioco vuole prima di tutto offrire un viaggio e una storia di un mondo lontano, calato in uno stile grafico ancora unico nel suo genere. Okami è infatti disegnato come un vero e proprio quadro in movimento in stile sumi-e, la pittura giapponese a inchiostro e acqua. Questo è ottenuto tramite un cel-shading fortemente stilizzato, dove le linee dritte dei comprimari si sposano alla perfezione con i colori brillanti e le morbide volute nere disegnate dal giocatore. Considerando quanto tale aspetto fosse già compiuto e convincente già all’origine, in questa edizione si è saggiamente scelto di non toccarlo. Oltre a stabilizzare il frame rate, l’unica modifica è stata rimuovere il filtro che su PS2 dava allo schermo un aspetto granuloso, col fine di amplificare ancora di più il sentore da “pergamena antica”. I più nostalgici potranno comunque riattivarlo dalle opzioni.
Se da un lato questo contribuisce a fa risaltare ancora di più i colori e le immagini, dall’altro emerge (tristemente) la solita constatazione: che quella che abbiamo davanti è una remaster. Il gioco conserva quindi tutti i segni che ne testimoniano l’origine da PlayStation 2. Le texture del terreno sono piatte, mentre alta definizione e 4K fanno a volte sfarfallare i contorni delle figure.
Un discorso simile va fatto per la mistica colonna sonora. Ariosa durante l’esplorazione e stridente nei combattimenti, è per la maggior parte realizzata con strumenti tradizionali giapponesi. L’equalizzazione tra musica, effetti sonori e voci non è però perfetta, e permane una certa “lentezza” nello scorrimento dei dialoghi. Come da tradizione “zeldiana” il gioco infatti non presenta doppiaggio, ma solo effetti che imitano le voci mentre i dialoghi scorrono. Lascia di nuovo interdetti che non vi sia stata neppure stavolta una traduzione italiana, considerando la mole non indifferente di sceneggiatura.

-Artistico, in tutti i sensi

-Un intero mondo mitologico da esplorare

-Il pennello è invecchiato benissimo…

– … un po’ meno altri minigiochi

-La telecamera è rimasta goffa

– Equalizzazione audio non perfetta

8.0

Okami HD è una riproposizione. Porta su PS4 e One uno dei videogiochi oggettivamente più coraggiosi, belli e ispirati di due generazioni fa, da provare anche solo per cultura personale. L’avventura di Ammy e Issun non può che catturare ogni volta, immergendo il giocatore in un mondo meraviglioso che dipinge a mano la propria mitologia. Di contro, il gameplay non è invecchiato bene in ogni sua parte, così come la grafica. Non escludiamo che le qualità intrinseche del gioco potrebbero però valergli nuova giovinezza. In ogni caso vale il solito principio, già più volte sentito in occasioni simili: il consiglio d’acquisto della remaster è da indirizzare solo a coloro che non hanno mai sentito parlare del gioco in questione. A coloro che invece già lo conoscono o ne possiedono una copia (che sia PS2, PS3 o Wii) non ci sono ragioni per cui dovreste riprenderlo.

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