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Recensione

Naughty Bear: Panic in Paradise

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Avatar di Pregianza

a cura di Pregianza

Pubblicato il 17/10/2012 alle 00:00
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Il Verdetto di SpazioGames

6

In un videogioco la premessa spesso conta moltissimo. Un paio di buone idee di fondo possono divenire facilmente fondamenta inattaccabili su cui costruire titoli di tutto rispetto, spesso in grado di sostenere anche comparti non particolarmente ispirati all’interno del prodotto. Anche a sviluppatori con una scintilla di partenza piuttosto luminosa capita però di fare del casino, cosa accaduta non troppo tempo fa ai ragazzi di Behaviour Interactive – in passato noti come Artificial Mind and Movement – con il loro Naughty Bear, un videogioco che aveva catturato non poco interesse grazie al suo concept iniziale. Il motivo è presto detto: si trattava di uno stealth game ambientato in un mondo popolato da orsacchiotti di pezza, nel quale il compito del giocatore era uccidere dozzine di morbidosi orsetti con una violenza inaudita. 
Brutalità pucciosa alla Happy Tree Friends unita a uno dei migliori sottogeneri action? Pochi sono i giocatori in grado di rimanere impassibili davanti a un misto così strambo, eppure tutti i “fortunati” tester rimasero profondamente delusi da un gameplay basilare, ripetitivo e fondamentalmente mal calcolato, dai numerosi e preoccupanti bug del prodotto, e dalle varie idee sfruttate male.
Difficile credere all’arrivo di un seguito per un tale incidente di percorso, eppure in questi giorni arriverà tra noi Naughty Bear: Panic in Paradise, in una più azzeccata forma downloadabile. Il team di sviluppo avrà imparato dagli errori del passato?
Orso con machete. Siete già morti
La trama di Naughty Bear: Panic in Paradise è ridotta all’osso, solo che di ossa i personaggi coinvolti non ne hanno. Gli orsi di pezza decidono di andare in vacanza e ancora una volta non invitano Naughty Bear, che decide di ammazzarli. The End. L’impegno in questo campo è stato seriamente il minimo indispensabile, iniziamo a descrivere il genocidio di morbidosi che è meglio, suvvia. 
Meglio partire dalle buone notizie: Panic in Paradise migliora certi aspetti del predecessore, enfatizzando notevolmente l’importanza della personalizzazione dello scorbutico protagonista. Naughty potrà “rubare” numerosi costumi eliminando orsi nella vegetazione, e raccogliere svariate armi sparse per le mappe. Costumi e arnesi modificheranno in modo sensibile le sue caratteristiche e alcune capacità offensive ottenute a livelli elevati, sarà inoltre necessario migliorare la propria abilità con ogni oggetto a forza di usarlo per poterne utilizzare al meglio le qualità. Recuperare vestiti e oggetti contundenti sarà una passeggiata visto il loro numero nelle missioni, e i combattimenti ravvicinati, atroci nel predecessore, sono leggermente migliorati grazie a una maggior tendenza degli avversari all’approccio aggressivo, alla possibilità di ferirli rapidamente per impedirne una fuga rapida, e a un sistema di puntamento. 
Gran parte delle vostre azioni si baserà su una barra dell’affaticamento, indicatore da tenere sempre sott’occhio per essere sicuri di eliminare gli orsacchiotti nel modo più mostruoso possibile. Con l’indicatore pieno potrete scattare, difendervi e prendere i nemici alle spalle per spostarli comodamente verso oggetti specifici nelle diverse locazioni, che vi permetteranno di far partire uccisioni estremamente colorite. Le possibilità sono aumentate di molto e con esse anche missioni e ambientazioni, nonostante la natura scaricabile del lavoro di Behaviour. Questa volta gli obiettivi da eliminare saranno sopra la trentina, in mappe più estese e variegate ricche dei soliti obiettivi extra e di segreti – come ad esempio antiche porte a tempo da sbloccare entro un tot di secondi una volta trovata la chiave necessaria.
Buone nuove insomma, ma svaniscono in fretta quando si iniziano a leggere le cattive notizie. L’errore principale degli sviluppatori è stato in realtà solo uno, tanto semplice quanto devastante, ovvero la scelta di non modificare sostanzialmente un gameplay fallato alla base. Panic in Paradise è ancora molto, troppo simile al predecessore, e pienissimo di pessime scelte. Nascondersi nell’erba rende Naughty invisibile immediatamente, permettendo così di scappare da ogni situazione senza alcuna difficoltà. Per aumentare il livello di sfida sono quindi stati inseriti alcuni orsi impossibili da prendere e trasportare se non feriti, spesso in grado di eliminare il protagonista con uno o due colpi ben piazzati in mancanza di abiti avanzati e dell’aumento di punti vita che ne consegue. Anche con questi accorgimenti tuttavia le missioni risultano una passeggiata e ci vuole veramente poco prima che le uccisioni ambientali inizino a stancare e il gameplay diventi ripetitivo. La scelta di rendere necessarie esecuzioni un po’ più elaborate dei bersagli per superare i livelli non è sufficiente a placare la noia, e men che meno ce la fanno gli obiettivi secondari, spesso legati alla capacità di Naughty di terrorizzare e far suicidare gli orsetti o di catturarli con trappole. Si cade dopo poche ore nello stesso baratro visto nel titolo precedente, scarsamente incentivati dalle scelte allargate di personalizzazione del peloso serial killer. Uno spreco, perché la formula anche con tutte queste problematiche riesce a essere discretamente apprezzabile per giocatori senza troppe pretese, e sarebbe bastata qualche idea extra ben inserita a rendere più che discreto il prodotto.
Un orsacchiotto del cuore difficilmente è un genio
Anche l’intelligenza artificiale, comunque parzialmente lodata in Naughty Bear, non è esattamente grandiosa in Panic in Paradise. Gli orsi hanno pattern comportamentali specifici, che li spingono alla fuga, a cercare aiuto o all’attacco, ma basta un nonnulla per mandare in pappa gli script mentali dei vostri coccolosi avversari. Buttateli nell’erba e li vedrete vagare senza meta per qualche minuto prima di ritrovare la via, come una formica bloccata da un ramo. Capiterà inoltre di vedere orsi ignorare compagni brutalizzati di fronte ai loro occhi, finché non decideranno di accorgersi dello sterminio apparentemente senza motivo. Quest’ultimo baco perlomeno è molto raro, ma se capita in missioni ove è necessario far impazzire i nemici per completare gli obiettivi può infastidire.
Graficamente l’aspetto del titolo è piacevole, se non altro per il forte contrasto tra i carinissimi orsacchiotti che popolano il mondo, e la violenza sbalorditiva delle esecuzioni. Più di una volta il motore sembra tuttavia arrancare leggermente, come se dovesse muovere miriadi e miriadi di poligoni. 

– Maggiore enfasi sugli elementi di crescita del personaggio e meccaniche migliorate

– Più missioni, più variegate

– Il contrasto tra orsetti dolciosi e violenza brutale funziona ancora

– Gameplay fondamentalmente fallato che non è cambiato a sufficienza

– Diventa rapidamente ripetitivo e noioso

6.0

Panic in Paradise migliora più di un elemento del suo sfortunatissimo predecessore, ma i cambiamenti non bastano a renderlo un titolo realmente apprezzabile. La ripetitività e le pessime scelte di game design sono ancora lì, pronte a picchiare come un martello sulle già limitate potenzialità del prodotto di Behaviour Interactive. Se proprio non potete fare a meno di brutalizzare orsetti colorati fatelo vostro, ma difficilmente questo titolo saprà divertirvi a dovere.

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