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Recensione

Mercenary Kings

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Avatar di Domenico Musicò

a cura di Domenico Musicò

Deputy Editor

Pubblicato il 07/04/2014 alle 00:00
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Il Verdetto di SpazioGames

7

Uscito in precedenza su Steam e appena arrivato nella Instant Game Collection di aprile rivolta agli abbonati PlayStation Plus, Mercenary Kings arricchisce un catalogo di titoli PS4 per ovvi motivi non ancora al top, proponendosi come una delle opere indie più interessanti dell’ultimo periodo. Sebbene a una prima sbrigativa e superficiale occhiata sia molto semplice accostare il gioco di Tribute Games a classici come Metal Slug o Contra, basta già qualche partita per rendersi conto che l’apparenza – mai come questa volta – inganna gli utenti poco attenti.

No more Heavy Machingun
Inutile negare che la fonte di ispirazione principale è essenzialmente la storica serie di SNK, sia per quanto riguarda le ambientazioni, sia per un aspetto generale che strizza con decisione l’occhio a un tempo ormai passato ma non per questo meno incisivo rispetto alla stantia spettacolarità dei giochi moderni. Ci sono prigionieri da salvare, si procede facendo fuori tutto ciò che si trova sullo schermo, e parecchi elementi sono presi di peso dalle vecchie glorie da sala giochi che tutti ormai conoscono, ma Mercenary Kings è strutturato diversamente e prevede un tipo di progressione a missioni che si avvicina più allo stile di un metroidvania. Tribute Games (mai nome fu più azzeccato), pesca inoltre da altre serie entrate ormai nell’immaginario collettivo del pubblico; solo per fare qualche esempio, non potrete fare a meno di lasciarvi sfuggire un sorriso quando scoprirete che le comunicazioni via radio avvengono esattamente come nei vecchi Metal Gear Solid, o che alcuni stralci di conversazione ricordano le peripezie di Snake almeno quanto la bandana che il protagonista si lega attorno alla testa a inizio missione. Nonostante si possa a questo punto pensare che Mercenary Kings sia una sorta di furbo collage degli elementi più riusciti presenti in altri giochi, la realtà è che questo progetto indie è ben più della semplice somma di tutte le sue componenti. Dietro la facciata c’è insomma un cuore pulsante e vivo, c’è una personalità ben precisa e c’è, soprattutto, la volontà di offrire ai giocatori qualcosa in più rispetto a quanto ci si aspetterebbe da un titolo simile. Si parte sempre da un fornito campo base nel quale è possibile gestire ogni aspetto del gioco, dalla selezione delle missioni suddivise in gradi militari fino ad arrivare alla personalizzazione completa delle armi. Quest’ultima, è forse la caratteristica più interessante del gioco, poiché oltre a permettere un potenziamento rapido e intuitivo dell’armamentario, rende le protezioni più efficaci. I materiali si reperiscono dopo la dipartita dei nemici, la loro frequenza e la loro tipologia è assolutamente casuale, e spesso capiterà che alcune missioni richiedano l’acquisizione di un certo numero di oggetti. Una volta entrati in possesso di bocche da fuoco dalla potenza maggiore rispetto all’arma standard, il gioco diventerà più semplice da gestire; nonostante ciò, va ammesso che la curva di difficoltà è calcolata abbastanza bene e non presenta picchi anomali in cui le situazioni di gioco diventano troppo ostiche o eccessivamente complesse. Ciò che invece non è stato calcolato alla perfezione, è il minutaggio di alcune particolari missioni, che costringono il giocatore a portare a termine gli obiettivi nel tempo prestabilito.

Am I still here?
In altre situazioni, non ci sarebbe davvero nessun problema a sottostare a un timer, ma la struttura aperta delle mappe apre inevitabilmente al backtracking, soluzione che per l’appunto è poco affine alla velocità di movimento tra un punto e l’altro. Capiterà spesso di andare a cercare un boss o un prigioniero all’interno di una mappa, ma non saprete mai se la direzione intrapresa è quella giusta o se si tratta di uno dei tanti vicoli ciechi o zone poco utili. A questo proposito, va detto anche che il riciclo degli stessi scenari non è di certo il massimo, e risulta anzi essere una sorta di giustificazione per vantarsi di un’offerta che prevede molti livelli in cui esibirsi in scorribande armate. Peccato che a un certo punto – e in verità anche dai primissimi livelli – vi renderete conto che alcuni gruppi di quest si svolgono sempre all’interno dello stesso scenario. Ci sono in sostanza delle varianti alla stessa formula, e dove prima, per esempio, dovevate far fuori un certo numero di cecchini, nella missione successiva vi verrà chiesto di sbarazzarvi di un’indeterminata quantità di animali per ottenere le loro pelli. Soprattutto per questi motivi, non si può fare a meno di frenare un po’ gli entusiasmi quando ci si cimenta nelle missioni di Mercenary Kings, perché a onor del vero, sarebbe stato meglio badare più alla qualità che alla quantità di cose da fare sempre nello stesso posto. Considerate anche che il respawn dei nemici è costante e avverrà tutte le volte che vi riavvicinerete nel punto esatto in cui il nemico avrebbe dovuto essere. Per essere ancora più chiari, basti pensare che uccidere un nemico non significa farlo sparire per sempre: è sufficiente superare di poco la zona, voltarsi, e d’improvviso ve ne ritroverete uno uguale. Questa soluzione potrebbe essere accettata se il gioco permettesse il respawn nemico a ogni superamento delle schermate fisse, ma così, molto spesso, uccidere diventa un processo tedioso almeno quanto ripartire dall’infermeria e rifare la stessa strada in cui si è morti. Magari proprio per mano di un soldato che è spuntato fuori per l’ennesima volta.
Questi, sono difetti che mettono in luce tutte le debolezze di Mercenary Kings, che nel complesso propone però una serie di ottime idee, anche ben implementate e funzionali alla tipologia di gioco. Pure la ricarica attiva presa di peso da Gears of War è un’ottima trovata, perché rende più cadenzato il passo lungo gli stage e costringe l’utente a entrare in sintonia coi tempi di attacco del nemico. Sbagliate il momento giusto per ricaricare la vostra arma e vi ritroverete per un attimo senza difese, cosa assolutamente sconsigliata quando sarete circondati da un nugolo di nemici pronti a eliminarvi con un paio di colpi che arrivano da ogni dove. Online, il gioco riesce a essere ancora più divertente, soprattutto se deciderete di affrontare le missioni assieme a un altro amico. Potrete arrivare fino a un massimo di quattro giocatori, ma la soluzione migliore, dopo diversi tentativi, è probabilmente quella in coppia. Mercenary Kings è poco più di un buon gioco, che sa come amalgamare elementi vincenti e proporne altri con personalità, ma cade sgraziatamente sulle basi che dovrebbero sorreggere l’intera struttura e motivare l’utente a proseguire con la costante fame per la scoperta.

– Buon sistema di crafting

– In coppia dà il meglio di sé

– Commistione di elementi azzeccata

– Riutilizzo degli assets

– Backtracking spesso forzato

– Controverse scelte di game design

7.0

Mercenary Kings dà un colpo al cerchio e uno alla botte: porta avanti un’idea di fondo senz’altro buona e ci aggiunge una serie di elementi inseriti al posto giusto. Tuttavia, la ripetitività delle ambientazioni e qualche scelta di game design infelice, condanna il titolo di Tribute Games a non svettare come avrebbe potuto. Ed è davvero un peccato.

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